Rétrospective

I percorsi del sapere

Algirdas J. Greimas, Eric Landowski

 

“Introduzione” alla raccolta, a cura di A.J. Greimas e E. Landowski,
Introduction à l’analyse du discours en sciences sociales
(Paris, Hachette, 1979, pp. 5-27).
Traduzione di Gianfranco Marrone.

 

Publié en ligne le 31 août 2025
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2025n9.73086
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1. Preliminari

Sorta dalla doppia eredità della linguistica strutturale e dello studio del folklore e delle mitologie, la semiotica ha cominciato, a partire dagli anni 60, ad affermare la propria vocazione all’autonomia, sia in quanto riflessione generale sulle condizioni della produzione e della ricezione della significazione, sia come insieme di procedure applicabili all’analisi concreta degli oggetti significanti. Lo sviluppo relativamente rapido della sua strumentazione teorica e metodologica le ha permesso di moltiplicare incursioni in domini altri rispetto al campo mitologico e folklorico che costituiva il suo terreno d’origine. Benché questo ampliamento sia stato effettuato innanzitutto in direzione del letterario e del poetico, le ricerche semiotiche si sono ben presto estese (senza negare peraltro lo studio dei sistemi di significazione non linguistici) a numerosi discorsi non letterari, tra cui, ad esempio, testi religiosi, filosofici, giuridici o socio-politici. Allargando in tal modo il proprio terreno d’investigazione a realtà testuali o culturali molto eterogenee, la semiotica ha rivendicato implicitamente lo statuto di una teoria (e di una metodologia) capace di rendere conto, nei limiti dei propri principi di pertinenza, di un ventaglio assai ampio di forme di produzione sociale del senso. Accostandoci allo studio del discorso a vocazione scientifica — entro il dominio delle scienze sociali — aggiungiamo adesso una tappa importante nel percorso che, a partire da forme relativamente semplici, e in ogni caso figurative, dell’etno-letteratura, ha condotto i semiologi a interessarsi, poco a poco, a organizzazioni significanti che comportano un grado crescente di complessità e di astrazione.

1.1. Verso una semiotica del discorso cognitivo

Se volessimo, in via preliminare, seguire questa piccola ‘storia della semiotica’, dovremmo, parallelamente al processo di diversificazione dei campi di ricerca, descrivere la serie di rimaneggiamenti riguardanti gli strumenti di analisi che hanno accompagnato e al tempo stesso reso possibile l’accostarsi a nuovi oggetti teorici. Si vedrebbe in tal modo che, se la teoria semiotica s’è progressivamente resa più complessa e più ricca, è accaduto soprattutto grazie all’impulso e sotto il controllo della pratica analitica. Inversamente, una delle ragion d’essere degli sforzi dell’analisi risiede nella speranza di arricchire un minimo la teoria : cosa che vale sicuramente per la maggior parte delle letture raccolte nel presente volume. Ma la nostra retrospettiva storica dovrebbe mostrare altresì, a seguito dell’annessione progressiva di corpora estranei fra loro che sono oggetto di studio di discipline già affermate, la necessità di riformulare il progetto semiotico globale e soprattutto di situarne le estensioni particolari rispetto alle discipline vicine.

Così, nel caso presente, si pone la questione di sapere in quale misura il metalinguaggio semiotico si fondi su principi e miri a obiettivi distinti da quelli di altri metalinguaggi esistenti (come la logica, l’epistemologia o la teoria della conoscenza) che, con prospettive diverse, prendono anch’essi a oggetto il discorso scientifico. Il nostro proposito non è quello di intraprendere, sul piano epistemologico, l’esame di ciò che costituisce la specificità di ognuno di queste piste di ricerca ; ci limiteremo a sottolineare, per quel che riguarda gli obiettivi dell’approccio semiotico, che non si tratterà in ogni caso né di formulare dei giudizi sulla validità del contenuto dei discorsi scientifici presi come oggetto di studio, né di definire regole per la produzione di un sapere vero. Il nostro scopo sarà unicamente quello di esplicitare alcune forme discorsive e di proporne una tipologia. Questa mira tipologica non deve essere peraltro confusa con una qualche regolamentazione dei discorsi delle scienze sociali : la semiotica esprime giudizi circa l’‘essere’, cioè circa i modi di esistenza degli oggetti semiotici e non si preoccupa di instaurare un ‘dover essere’ o un ‘dover fare’ : né necessità né norme — cosa che non esclude affatto la possibilità di esaminare i modi in cui i discorsi-oggetto le instaurano al proprio interno. Così come l’analisi dei testi letterari ha permesso di esplicitare le regolarità logiche e grammaticali delle forme narrative in termini che non coincidono né con le formalizzazioni della logica propriamente detta né con i modelli della grammatica linguistica, analogamente il riconoscimento delle forme discorsive che organizzano i testi a carattere scientifico dovrebbe condurre verso una teoria semiotica del discorso cognitivo che si situerà in un altro piano, diverso da quello dell’epistemologia in senso stretto.

La presente raccolta apporta un primo contributo all’elaborazione di una tale teoria. Tuttavia, conformemente all’attitudine comune a molti semiologi, non concepiamo la costruzione dei modelli indipendentemente dal loro confronto col materiale concreto di cui essi sono delegati a rendere conto : il nostro studio infatti del discorso scientifico consisterà in una serie di analisi testuali. Una posa che non impedisce, in un secondo momento, uno sforzo di sistematizzazione. In tal modo, testimonieremo, da una parte, le generalizzazioni presentate a seguito delle singole analisi dei vari partecipanti al libro, dall’altra, cercheremo in questa introduzione di proporre un modello teorico unificante.

Detto ciò, nonostante il privilegio metodologico che accordiamo alle operazioni d’analisi, la scelta di testi sottoposti a esame riveste una importanza capitale. La definizione del corpus deriva così da due diversi criteri di selezione, ora concernenti la rappresentatività, ora riguardanti lo statuto semiotico dei testi da analizzare.

1.2. La rappresentatività dei testi sottoposti ad analisi

Riunire ed esaminare un piccolo numero di testi rappresentativi delle principali tendenze di ricerca nel campo delle scienze umane e sociali in Francia dall’inizio del secolo XX, tale é stato l’idea generale a partire della quale gli contributori di questa raccolta sono stati invitati a decidere come scegliere il loro proprio oggetto di analisi. Piuttosto che cercare, in modo del tutto utopico, di colmare la totalità del campo delle conoscenze sociali, s’è trattato di confrontare un numero ristretto di percorsi al tempo stesso storicamente significativi e diversi fra loro. Tenuto conto dei gusti e degli interessi dei singoli partecipanti, sono stati privilegiati tre o quattro domini di ricerca : quello antropologico (rappresentato da testi estratti dalle opere di Georges Dumézil e Claude Lévi-Strauss), quello sociologico e storico (Marcel Mauss, André Siegfried, Pierre Francastel, Lucien Febvre), quello filosofico (Gaston Bachelard, Maurice Merleau-Ponty, Paul Ricœur) e quello semiologico (Roland Barthes) : pleiadi in cui il Collège de France si trova tanto abbondantemente rappresentato da far sorgere il sospetto d’aver confuso i nostri propri criteri di selezione con quelli dell’eleggibilità a questa prestigiosa istituzione — confusione che, incidentalmente, non sarebbe stata sufficiente a giustificare le lacune del nostro presunto ‘campione’.

Oltre alla totale omissione di alcune discipline, in primo luogo la linguistica e l’economia, ci si potrebbe interrogare sull’assenza di alcune opere più importanti proprio nei domini indicati : Jean-Paul Sartre, Raymond Aron, Michel Foucault, Jacques Lacan, Louis Althusser, ad esempio. Queste esclusioni, a parte gli ultimi tre, sono arbitrarie : hanno a che fare esclusivamente con le preferenze dei vari membri dell’équipe di ricerca, il cui numero ristretto non avrebbe potuto permettere alcuna eventuale completezza. Ma queste contingenze non spiegano il fatto che nessuna delle nostre analisi concerne ricerche dei grandi rappresentanti dello ‘strutturalismo’ (anche se sappiamo che tale etichetta é stata rifiutata da alcuni di loro) : che si tratti della lettura (althusseriana) di Marx o del ritorno (lacaniano) a Freud, abbiamo a che fare, superficialmente, con ‘discorsi d’autorità’ organizzati intorno alla relazione quasi profetica che lega il discorso dell’interprete a quello del fondatore ; ma, più profondamente, si tratta di percorsi al tempo stesso parenti e rivali della semiotica, implicando una problematica del Soggetto (Lacan), una concezione dell’Ideologia (Althusser) e una riflessione generale sull’‘ordine del discorso’ (Foucault) che non possono essere discusse in poche pagine. Più che una serie di analisi puntuali, c’è in quei casi materia per un vero e proprio dibattito teorico, la cui ampiezza esclude che possa essere intrapreso in questa sede — ma che affronteremo altrove.

Per contro, ci è parso utile, in un’ottica comparativa, aggiungere al nostro campione due tipi di testi moto diversi, i quali, pur collocati entro il dominio umanistico, si situano ai margini del progetto propriamente scientifico, mirando unicamente a forme di ‘comprensione’ : la critica letteraria e il commentario religioso. La loro analisi permetterà di riconoscere in negativo alcune delle esigenze del discorso a vocazione scientifica, in particolare per quel che concerne il problema del metalinguaggio. Per esempio, nel caso della critica letteraria, lo statuto dei meta-termini in uso — spesso considerati ‘comuni’ al critico e al lettore — permettono a Sorin Alexandrescu di specificare la natura del discorso interpretativo tenuto entro questo dominio — discorso fondato sull’impiego di un metalinguaggio implicito che permette di sovrapporre le interpretazioni senza che appaia chiaramente il legame logico fra di esse. Ecco posto il problema della gerarchia delle interpretazioni. Con il discorso del commentario, analizzato da Louis Panier, siamo al contrario trasportati verso il problema della tipologia delle interpretazioni che, trasposto a livello del discorso scientifico, sta al cuore delle nostre interrogazioni delle scienze sociali.

Se c’è una qualche rappresentatività, essa si definisce non tanto rispetto al ventaglio delle discipline che abbiamo preso in considerazione, ma rispetto ai tipi di orientamento osservabili. Da questo punto di vista, la serie di autori che abbiano considerato ci sembra che possa essere ordinata, se pure in modo sommario, in tre grandi famiglie di attitudini di ricerca, alle quali corrispondono le tre sezioni di questo libro :

1) il discorso in cerca di certezze scientifiche ;

2) le interrogazioni sul senso stesso della ricerca ;

3) il discorso interpretativo.

La prima attitudine riflette in qualche modo l’ottimismo della prima generazione di fondatori (Mauss, Siegfried, Dumézil, Febvre, Lévi-Strauss) ; la seconda esprime al contrario, mediante una riflessione nettamente più filosofica, lo stato di ‘crisi’ delle scienze sociali : da cui l’inclusione, da una parte, di testi che concernono sia una ‘filosofia dei segni’ (Merleau-Ponty) sia una ‘filosofia del linguaggio’ (Ricœur) e, d’altra parte, di testi che sono spia di un’oscillazione tra la pura interrogazione epistemologica e il fare scientifico propriamente detto (Bachelard, Francastel, Barthes). Da un canto, in quanto ricerca di certezze, il discorso delle scienze sociali è necessariamente portato a prevedere le condizioni della veridizione dei propri enunciati : il problema del ‘dir vero’ costituisce la riuscita finale del discorso scientifico stesso. Inversamente, d’altro canto, nel momento in cui la ricerca si fa interrogazione sulle proprie finalità, il problema della veridizione si sposta : non si tratta più di sanzionare a cose fatte un sapere precedentemente acquisito ma di garantire in anticipo i fondamenti epistemici di un discorso a venire. In opposizione a queste due attitudini, c’è la tendenza ad annullare ogni preoccupazione relativa sia ai fondamenti sia alla sanzione del discorso che caratterizza gli approcci puramente interpretativi.

1.3. Statuto semiotico del corpus

Per mettere in pratica le procedure di analisi semiotica ed evitare che le nostre stesse letture prendano la forma di altrettante interpretazioni, più o meno stringenti e difficilmente controllabili, ci è sembrato prudente, se non necessario, limitare l’orizzonte di analisi a testi relativamente brevi ottenuti per estrazione da libri interi (peraltro riproducibili nel corso della analisi). Ecco dunque che un’altra serie di restrizioni, relative questa volta alla dimensione e soprattutto allo statuto dei testi-oggetto da considerare, ci ha portato a optare, attraverso una precisa definizione del corpus, per un livello di approccio al discorso scientifico che, in quanto tale, determina largamente la problematica generale di questo libro.

Volendo esser completi nelle nostre giustificazioni, bisogna forse risalire alle ‘condizioni di produzione’ del discorso scientifico, osservando che, in modo affatto elementare, ogni attività di ricerca, prima ancora di portare a compimento quel che promette e produrre un sapere, si caratterizza per un certo numero di esigenze e coinvolge il consumo di risorse : di denaro, di energie intellettuali e — per quello che ci interessa, pur sembrando banale — di quantità di carta che materializza ogni tappa del processo della ricerca, dal semplice progetto iniziale fino all’ultima diffusione dei risultati, passando per ogni sorta di documenti intermedi (appunti di lavoro, abbozzi di programma, prime redazioni etc.). Ognuna di queste tracce meriterebbe d’essere anch’essa analizzata. Tuttavia, dato che la prospettiva semiotica mette in secondo piano una prospettiva genetica, non ci si stupirà se abbiamo scelto di analizzare testi che rappresentano il prodotto finale del lavoro di ricerca, o quanto meno ciò che si pone come sua espressione (anche provvisoriamente) ‘compiuta’. Forse il discorso scientifico non è per intero contenuto nei libri o negli articoli il cui statuto editoriale (riviste specializzate, edizioni universitarie, librerie di settore) gli garantisce una scientificità. In ogni caso, ci siamo fermati a questa forma consacrata di letteratura.

Ma ecco un altro problema, ancora più concreto per noi. Dato che analizzeremo soltanto piccoli brani testuali, quale tipo di frammento scegliere ? Due risposte sono possibili : isolare sequenze rappresentative del fare scientifico ‘in atto’, cogliendo il ragionamento dell’autore nel momento stesso in cui si compie (essendo tuttavia ammesso che nessuna lettura può dare direttamente accesso alle procedure concrete della ricerca, dato che il discorso delle scienze sociali effettua costantemente una ricostruzione della prassi che lo fonda) ; oppure, al contrario, attingere al metadiscorso mediante cui gli autori, desiderosi di giustificare il proprio orientamento, inquadrano — sotto forma di prefazione o di conclusione teorica — l’esposizione propriamente detta della ricerca. I partecipanti a questo libro hanno adottato entrambe queste soluzioni, privilegiando per lo più la seconda. Nel primo caso, la scelta di ciò che è ‘rappresentativo’ resta assai intuitiva, ma, come dice Jean-Claude Coquet, la pertinenza di questa scelta risiede nell’ipotesi di una coerenza del discorso analizzato. Nel secondo caso, la prospettiva è tutt’altra : non si sono studiate le procedure ‘realmente’ messe in opera dallo scienziato (per quanto possano essere accessibili), ma ‘elaborazioni secondarie’, simulacri di procedure, ‘osservate’ da un soggetto scientifico che s’è a questo proposito raddoppiato.

Il fatto che la maggior parte dei partecipanti a questo volume abbia privilegiato segmenti metadiscorsivi ha alcune conseguenze. Innanzitutto, permette di conciliare la ristrettezza materiale del corpus (al massimo qualche pagina) con una prospettiva più globale circa l’orientamento dei vari autori presi in considerazione — per il modo in cui essi stessi lo autorappresentano o sperano di rappresentarlo. Ma al tempo stesso ciò comporta il fatto che l’obiettivo tipologico che ci siamo posti riguarderà meno il discorso scientifico ‘al primo grado’ e più una problematica ‘al secondo grado’, mirando a studiare i discorsi che ‘mettono in scena’ la ricerca del sapere : sfalsamento da cui deriva una lettura meno attenta alle tecnologie di scoperta e più concentrata su quella che potremmo chiamare una scenografia della ricerca. In rapporto al nostro proposito iniziale, la questione risulta un po’ falsata : al posto di analizzare il funzionamento — il modo d’esistenza e di produzione — del discorso delle scienze sociali, la scelta delle metasequenze ci ha condotto soprattutto verso il tema dei fondamenti dell’orientamento scientifico. Da cui l’importanza forse eccessiva delle preoccupazioni epistemologiche presenti in questo volume. Per inciso, è probabile che la responsabilità di questa ‘deviazione’ non dipenda soltanto dal nostro partito preso di analisti, e che la relativa arbitrarietà manifestata nella scelta di un tipo determinato di corpus corrisponda alla fin fine anche a certe proprietà intrinseche del campo preso in esame. Si pensi quanto, per esempio, in logica, la debolezza dei fondamenti (retti da assiomatiche molto spesso discutibili) si opponga alla solidità del calcolo (su cui risiede l’aspetto tecnologico del suo fare scientifico). Non si tratta, per contrasto, dell’indicazione della ‘debolezza’ di un discorso — quello delle scienze sociali — tenuto a riformulare costantemente il proprio ‘cominciamento’ (con un ritorno implacabile alle proprie condizioni di possibilità), gesto necessario, prima ancora che per ‘funzionare’, per ‘produrre’ sul modo algoritmico?

2. Problematica : il discorso cognitivo come racconto

In modo un po’ rozzo, possiamo considerare ognuno dei frammenti analizzati in questa raccolta come un piccolo racconto, a condizione di considerare quest’ultimo come una trasformazione di stati : a partire da un primo stato di mancanza (caratterizzato, sulla dimensione cognitiva, come un /non sapere/), si tratta, conformemente allo schema proppiano, del passaggio a uno stato finale di congiunzione con un oggetto di valore (un determinato /sapere/), di modo che l’eliminazione della mancanza iniziale è operata da un soggetto operatore preliminarmente dotato di una precisa competenza cognitiva. A dispetto del suo carattere schematico, per definizione riduttivo, una tale griglia di lettura comporta in realtà molteplici livelli di funzionamento — e dunque di comprensione — del discorso cognitivo.

2.1. Organizzazione semantica e sintassi di superficie

Lo schema narrativo appena abbozzato convoca innanzitutto, a livello profondo, l’esplicitazione delle operazioni logico-semantiche che rendono conto del passaggio tra due forme di organizzazione del contenuto (/contenuto invertito/ => /contenuto posto/), di cui una, rispetto al nucleo centrale riguardante la ricerca del sapere, concerne il ‘prima’ del racconto, e l’altra un ‘dopo’ (trasformazione figurata, per esempio in Bachelard, attraverso il passaggio da una ‘storia superata’ a una ‘storia sanzionata’). Questa sostituzione operata sul piano del contenuto ha come omologo modale una trasformazione del tipo /non sapere/ => /sapere/ che, nell’intervallo fra una ‘domanda’ e una ‘risposta’ (Siegfrid, Dumézil), contiene implicitamente un programma di acquisizione (del sapere) e sottende al tempo stesso l’organizzazione di un livello di superficie, cioè di una sintassi narrativa propriamente detta. Come vedremo, è soprattutto a questo livello che operano le analisi qui presentate : operazione prevedibile già dal momento in cui abbiamo assunto come nostro obiettivo l’esplicitazione delle procedure (effettive o ‘messe in scena’ poco importa) della ricerca piuttosto che l’analisi — e men che meno l’apprezzamento — dei contenuti che tale ricerca manipola o produce. Va osservato comunque che la componente semantica non viene in tal modo del tutto trascurata, poiché, quanto meno nell’intervento di Joseph Courtés su Lévi-Strauss, si mostra il ruolo fondamentale dei fenomeni di transcodifica (un’isotopia che ne descrive un’altra) e di metaforizzazione (processo connettore di isotopie) nell’elaborazione del metalinguaggio scientifico. Entro una prospettiva assai diversa, si tratta in fondo dello stesso problema sollevato da Sorin Alexandrescu e Louis Panier quando esaminano il discorso interpretativo — metalinguistico, ma non scientifico — che, rispettivamente, si sovrappone alla critica o viene sottinteso al commentario.

Rispetto all’analisi semantica prospettata, il cui obiettivo ultimo sarebbe quello di descrivere l’organizzazione sistematica del sapere a livello dei discorsi-oggetto che rappresentano le teorie costituite (o, per ricorrere alla terminologia dell’epistemologia anglosassone, a livello dei grandi ‘paradigmi’ scientifici), l’analisi sintattica praticata dalla maggior parte dei partecipanti ha come obiettivo un livello più superficiale : quello in cui si espone il fare cognitivo che è rappresentativo del processo di produzione del sapere — restando inteso che, in ragione dello statuto metadiscorsivo del corpus considerato, si tratta, ricordiamolo, di un fare ‘ricostruito’. Nel primo caso, quello di un fare cognitivo considerato dal punto di vista del sistema, l’analisi concerne i discorsi enunciati, avendo essi, attraverso la procedura di débrayage attanziale, acquisito una loro autonomia rispetto all’istanza dell’enunciazione, la quale a sua volta non è a questo stadio pertinente per l’analisi. Viceversa, nel momento in cui ci si sposta dal lato del processo, dove le procedure di narrativizzazione del discorso cognitivo divengono oggetto di studio, la problematica dell’enunciazione emerge come uno degli elementi essenziali dell’analisi. L’attività cognitiva, in quanto fare narrativizzato, deve essere necessariamente presa in carico da un ‘soggetto’ semiotico (sia direttamente installato nel discorso, sia da esso presupposto) i cui interventi manifestano (più o meno esplicitamente) la presenza di attanti della comunicazione (e, a seconda del tipo di embrayage effettuato, possiamo parlare tanto di un rapporto fra narratore e narratario quanto di un rapporto fra un enunciatore presupposto e un enunciatario implicito).

I metadiscorsi introduttivi di cui ci occupiamo non si articolano dunque soltanto come racconti di ricerca o di costruzione che mirano alla messa in gioco di oggetti (di conoscenza) ; al contempo, e soprattutto, essi sono da considerare come racconti per così dire di iniziazione, che narrano della fondazione di soggetti (conoscenti). Forse potremo domandarci — dal punto di vista di una tipologia dei generi — a quale topos di scrittura gli autori esaminati implicitamente si conformano introducendo le loro opere attraverso un discorso fortemente narrativizzato (potremo forse osservare, d’altro canto, che questa stessa introduzione non sfugge alla tendenza alla drammatizzazione dei preliminari della ricerca). Lasciando per un po’ da parte la questione della funzione di tale dispositivo, possiamo in ogni caso, con l’aiuto degli strumenti semiotici al momento disponibili, andare un po’ più avanti specificando la natura delle sue regolarità sintattiche.

2.2. Due principi di strutturazione del racconto

Per limitarci agli aspetti generali che caratterizzano il funzionamento del livello di superficie, possiamo dire schematicamente che la narratività si manifesta secondo due grandi principi di articolazione sintattica : la ‘polemizzazione’ del discorso e la ‘programmazione’ del racconto.

La struttura polemica (termine che non deve essere sottoposto ad alcun giudizio di valore) ha due forme combinabili fra loro. Talvolta si traduce in un raddoppiamento sintagmatico del discorso cognitivo, facendo apparire prima un racconto di scacco e poi uno di riuscita. È il caso di Barthes, Febvre e Dumézil. In Francastel invece la prima sequenza è articolata in /scacco virtuale/ (le ‘direzioni pericolose e rischiose’) vs /scacco realizzato/. Talaltra, si tratta della proiezione paradigmatica di un anti-soggetto che, per l’occasione, acquisirà una particolare forma figurativa (come per esempio in Barthes i ‘primi analisti del racconto’, o, in Mauss, quel tal gruppo di antropologi in opposizione al narratore per quel che riguarda l’interpretazione di un ‘verso difficile’ : “gli uni comprendono, (...) gli altri interpretano : (...) ; io parteggio per la seconda spiegazione”). In molti casi tuttavia l’anti-soggetto conserva quanto più ‘naturalmente’ una forma astratta tanto più la sua apparizione si situa non tanto a livello del fare cognitivo propriamente detto (il discorso operativo) quanto a quello dei preliminari epistemologici e della modalizzazione di quel fare cognitivo (il discorso fondativo — ci torneremo nel prossimo paragrafo). Così per esempio i presupposti della descrizione etnologica o dell’interpretazione filologica (in Mauss) o, ancora più generalmente, l’‘intuizionismo’ (in Francastel) si configurano come minacce, in quanto attitudini epistemologiche rappresentative dell’antisoggetto, ai fondamenti del progetto scientifico del soggetto-enunciatore. Di solito alla dicotomia delle posizioni attanziali (soggetto vs anti-soggetto) corrisponde la dualità di attori in presenza (Mauss : ‘gli uni’ vs ‘gli altri’ ; Siegfried : “molta gente pensa che (...) io ho invece la convinzione che”), nulla impedisce di concepire una ‘interiorizzazione’ della contraddizione in un solo attore ; sincretismo particolarmente evidente in Dumézil (l’enunciatore, che è prima portato allo scacco e poi alla riuscita, assume correlativamente su di sé i due ruoli attanziali) e in Merleau-Ponty (dove il soggetto epistemico appare al contempo come soggetto e come anti-soggetto).

Una volta individuato questo genere di dispositivi, essi acquisiscono tutto il loro valore se li interpretiamo entro un modello più generale, nel quale possono essere integrati con i meccanismi della segmentazione sequenziale e della distribuzione dei ruoli attanziali. Questo modello teorico — o quanto meno questo quadro ipotetico che può di primo acchito assicurare la coerenza del nostro attuale metadiscorso sui testi non è altro che il secondo principio menzionato sopra, ossia l’organizzazione del discorso cognitivo sotto forma di programmi narrativi, che ci fornisce il modo per immaginarne i primi livelli di articolazione.

2.3. Livelli di articolazione e tipi di discorso

Possiamo ipotizzare due formulazioni distinte del modello narrativo, che confluiscono in rappresentazioni più o meno equivalenti : una formulazione attanziale (particolarmente presente nelle analisi di Coquet e Floch), e una formulazione funzionale (che privilegeremo nei paragrafi successivi). La prima è fondata sulle differenze di statuto semiotico dei soggetti discorrenti che prendono rispettivamente in carico le sequenze logiche del programma cognitivo ; così per esempio il ‘soggetto epistemico’ che padroneggia la ricerca del sapere è in linea di principio distinto dal ‘soggetto scientifico’ che dovrà esercitarla. L’altra formulazione mette direttamente in rilievo la funzione narrativa di ogni sequenza da considerare ; in tal modo essa permetterà (i) di distinguere e di mettere in relazione i livelli discorsivi, quando ci si trova in presenza di testi che sovrappongono in tutto o in parte gli strati previsti dal modello ; (ii) di porre l’esistenza — quando ci si trova di fronte a testi che si caratterizzano per la dominanza di uno solo dei livelli logicamente prevedibili — di tipi di discorso, ognuno dei quali definibile a partire dalla natura specifica del ‘disequilibrio’ introdotto nell’organizzazione del modello canonico.

Da un lato, questa pluralità di punti di vista non ci preoccupa più di tanto, dato che le differenti formulazioni alle quali s’arriva sono, diciamolo, pressappoco equivalenti. Importa poco che un medesimo oggetto-testo sia analizzato in funzione dello statuto dei soggetti (epistemico, scientifico etc.) che vi sono installati, oppure che venga descritto sulla base della sua articolazione gerarchica in livelli (fondativo, operativo etc.), oppure ancora che sia riversato in uno dei ‘tipi’ corrispondenti. E ciò perché queste diverse realtà semiotiche, così come le terminologie che le designano, sono omologabili.

Da un altro lato però, rispetto all’orientamento di questa raccolta di saggi, emerge una sorta di ambiguità, dato che l’analisi gerarchica — che scompone l’unità apparente dei testi-oggetto distinguendo i loro livelli d’organizzazione interna — sembra non poter essere compatibile con la mira tipologizzante che, da parte sua, volendo costruire tipi o classi discorsive, prende i testi-oggetto come componenti unitarie. Questa difficoltà si riflette sull’organizzazione del presente volume : la distribuzione delle sue tre parti principali (che formano il corpo dell’opera), determinata dal raggruppamento dei nostri autori secondo le tre grandi famiglie di attitudini prima ricordate, si iscrive nella prospettiva tipologizzante (dato che i discorsi della ‘ricerca di certezze’ corrispondono schematicamente al tipo operativo, le ‘interrogazioni sul senso della ricerca’ corrispondono al tipo fondativo e le ‘interpretazioni’ analizzate nella terza parte possono esser fatte corrispondere, in negativo, al tipo veridittivo). Al contrario, l’altra prospettiva, ‘gerarchizzante’, che regge la nostra visione di insieme, permette la costruzione di un modello ipotetico destinato a rendere conto dell’architettura canonica del discorso cognitivo, di modo che i discorsi-occorrenza e i tipi reperiti appaiono, a cose fatte, come la semplice realizzazione parziale del modello.

3. Gerarchia e tipologia

3.1. Livello operativo : la produzione del sapere

L’insieme dei testi analizzati mette l’accento, a diversi gradi, sulla logica delle operazioni costitutive del processo di ricerca di cui essi ripercorrono lo sviluppo. Beninteso, queste operazioni sono interpretabili in funzione degli attanti che fanno intervenire, ossia, quanto meno, del soggetto che le effettua e degli oggetti ai quali si applicano. Tuttavia, indipendentemente dall’analisi attanziale di cui si profila la necessità, è possibile, tenuto conto della ricorrenza della serie di predicati che lessicalizzano le attività cognitive del soggetto operatore (‘constatare’, ‘osservare’, ‘esaminare’, ‘precisare’, ‘accostare’, ‘comparare’, ‘calcolare’ etc.), riconoscere e isolare metodologicamente, con la denominazione di discorso operativo, un primo livello discorsivo autonomo. Che si tratti di un semplice fare informativo, ora passivo (‘si vede che’, ‘appare che’ etc.) ora attivo (‘se si guarda’, ‘esaminando attentamente’ etc.), o che si tratti, fra i vari tipi di discorso cognitivo possibili, di un fare tassonomico (fondato su un qualche principio di classificazione logica o di organizzazione semantica), o ancora di un fare comparativo (che mira a precisare le relazioni fra gli oggetti riconosciuti o costruiti grazie alle operazioni precedenti), abbiamo a che fare, a questo livello, dal punto di vista delle forme narrative, con un discorso composto da enunciati di fare che riportano le performance produttrici del sapere — in opposizione, a loro volta, agli enunciati modali che, vedremo (par. 3.2), fondano la competenza del soggetto operatore, oppure agli enunciati di stato (par. 3.3) che si applicano agli oggetti stessi del sapere.

Come vedremo, la terminologia può variare da un contributo all’altro — soggetto del fare scientifico o metodologico in alcuni, soggetto operatore o performatore in altri, o ancora soggetto cognitivo in senso stretto : tutte queste denominazioni si equivalgono, laddove la coerenza fra le diverse strategie è da ricercare, più profondamente, sul piano metodologico. Essa è garantita dal ricorso al principio comune che fuoriesce dalla scomposizione del discorso cognitivo in /programmi di performance/ (livello operativo) vs /programmi di competenza/ (livello fondativo). In tal modo il nostro stesso fare operativo consiste innanzitutto, molto concretamente, nel reperimento di ‘disgiunzioni formali significative’ (Ivan Darrault a proposito del testo di Roland Barthes) che, nella disposizione linguistica dei testi manifestati, traducono la programmazione narrativa del discorso. Allo stadio della performance (laddove la fase anteriore di acquisizione della competenza viene presupposta — ci torneremo presto), si tratta della costruzione dell’oggetto cognitivo che orienta il percorso del soggetto — termine il cui valore metaforico non sembra travalicare il problema, tenuto conto dell’importanza delle figure di spazializzazione e di temporalizzazione nella ‘messa in discorso’ del processo della ricerca. Fosse pure la più sofisticata quanto alle procedure, o la più teorica quanto agli oggetti, la ricerca del sapere resta comunque, sul piano dell’immaginario narrativo, un ‘cammino da percorrere’ (Bachelard). Da cui il ricorso frequente, nelle analisi che seguono, a disgiunzioni temporali o spaziali come criteri di segmentazione testuale.

Queste distribuzioni figurative non sono altro che la traduzione superficiale e semplificata della logica operativa che viene messa in gioco per accedere al sapere ‘scientifico’. A seconda dai generi che vengono volta per volta utilizzati, le forme discorsive — dalle più semplici alle più complesse — che rivestono la narrazione del fare cognitivo possono essere molto diverse. Da un lato, ricondotta alla sua espressione più pura, la ricerca del sapere può mettere in opera programmi minimi che si riducono all’implementazione di un piccolo numero di azioni puntuali (attendere => vedere; guardare => scoprire) : cosa che accade per lo più nella letteratura sul folklore e la mitologia. All’opposto, quando si tratta di discorsi a maggiore vocazione scientifica, la performance cognitiva si scompone in una molteplicità di atti a loro volta organizzati in sotto-programmi (o programmi d’uso) che mediano l’accesso alla conoscenza. A seconda della logica che li articola fra di loro appaia definita ex ante oppure ex post, possiamo distinguere due categorie del discorso della ricerca : un discorso di tipo algoritmico da una parte, che si sviluppa come una sequenza di manipolazioni che agiscono direttamente sull’oggetto della ricerca procedendo ‘conformemente a regole’ (Lévi-Strauss) più o meno legate a un metodo stabilito in anticipo (le quali si configurano come la competenza del soggetto) ; un discorso di tipo euristico, dall’altra parte, che rende conto, viceversa, delle operazioni necessarie all’acquisizione, per piccoli passi, degli strumenti metodologici e dei principi di organizzazione (relativi ai materiali considerati come oggetto) indispensabili alla realizzazione del programma principale. È così per esempio che, nel caso del comparativismo di Georges Dumézil, in seguito a uno scacco iniziale dovuto alle insufficienze di una prima operazione di classificazione, la comparazione delle figure mitiche viene realizzata con successo solo dopo la messa in gioco di una nuova organizzazione tassonomica (che sostituisce una logica qualitativa di tipo semantico alla logica di inclusione usata nel primo tentativo).

Forse l’accento avrebbe potuto essere posto, con un certo guadagno, sulle ‘strategie’ della conoscenza scientifica. Nei vari contributi si troveranno comunque elementi di una riflessione generale su ciò che ne costituisce il tratto comune e la ragion d’essere, ovvero la costruzione dell’oggetto, insieme a quel suo correlato indispensabile che è la messa a punto del principio di pertinenza — che si tratti, fra gli altri esempi, della definizione di una ‘sociologia dell’arte’ (Francastel), di una ‘geografia dell’opinione’ (Siegfried) o della ‘valutazione del testo’ (Barthes). Il nostro obiettivo comparativo si concretizza infine, a questo livello, nella descrizione di un fare tassonomico, le cui principali varianti registrate — tipologico in Mauss, comparativo in Dumézil, omologico in Lévi-Strauss — aprono la possibilità di un confronto che meriterebbe d’essere ripreso e sviluppato.

3.2. Livello fondativo : le condizioni del sapere

Per essenziali che siano (dato che forniscono una rappresentazione del processo di produzione del sapere), gli enunciati del fare cognitivo hanno una esistenza semiotica, ripetiamolo, soltanto in funzione del dispositivo attanziale che ne permette l’articolazione. Analogamente, il discorso della ricerca, che abbiamo isolato, può essere concepito come uno strato intermedio, compreso fra due altri livelli discorsivi con i quali intrattiene delle relazioni di presupposizione logica. Dobbiamo così considerare adesso, in primo luogo, un livello discorsivo precedente, che espone le condizioni della performance cognitiva, e cioè lo statuto modale — la competenza — del soggetto ; e, in seguito, simmetricamente rispetto al nodo centrale della performance cognitiva, un livello successivo che mette in campo gli enunciati che parlano dei risultati del fare cognitivo, dunque la loro validazione. È chiaro a questo proposito che le operazioni cognitive (per esempio di tipo tassonomico o comparativo), condizionando la produzione dei risultati, presuppongono, per poter essere esercitate, il supporto di un soggetto modalizzato. Dal punto di vista antropomorfo che regge la sintassi superficiale del discorso, ne scaturiscono questioni come il ‘desiderio di comprendere e la curiosità’ (Siegfried) derivanti dall’‘esperienza’ personale del soggetto, oppure, che è quasi la stessa cosa, i richiami che vengono dall’esterno (come per esempio il ‘bisogno collettivo’ che, secondo Lucien Febvre, giustifica la ‘funzione sociale della storia’) — altrettanti rivestimenti figurativi, rispettivamente, del /voler-sapere/ e del /dover-sapere/. Tutti elementi che, ‘motivando’ il ricercatore potenziale, permettono di abbozzare le grandi linee del programma cognitivo come virtualità del fare. In seguito a ciò, il possesso degli strumenti di riflessione e di analisi — ‘teorie’ e ‘metodi’ rappresentativi, rispettivamente, del /poter-fare/ e del /saper-fare/, autorizzando il cammino del soggetto, rendono possibile il passaggio allo stadio di attualizzazione — fase necessaria alla realizzazione finale del fare cognitivo.

Abbiamo così sovrapposto, agli enunciati del fare, un secondo livello discorsivo, composto da enunciati modali, deputato ad abilitare il soggetto a intraprendere al meglio la sua ricerca del sapere. Questo discorso fondativo (nel senso che fonda la competenza del soggetto) corrisponde, dal punto di vista della suddivisione del discorso in sequenze narrative, alla prova qualificante — in opposizione al discorso operativo che, descrivendo il fare scientifico propriamente detto, corrisponde alla prova decisiva. Affinché il soggetto (in quanto operatore) entri in contatto con l’oggetto, esso deve essere precedentemente correlato a un attante destinante, il quale può manifestarsi ora come un’istanza autonoma, che attribuisce (transitivamente) al ricercatore i mezzi per produrre enunciati ‘veri’, oppure può apparire in sincretismo con l’enunciatore, di modo che costui si dà (riflessivamente) le pezze d’appoggio per giustificare il proprio ‘diritto’ all’enunciazione. In entrambi i casi, al di là delle modalizzazioni del ‘ricercatore’ e della sua vera e propria trasformazione in un soggetto-eroe (che, a differenza del soggetto del racconto popolare, esercita la sua attività sul piano cognitivo e non pragmatico), ecco le condizioni epistemiche del ‘dir-vero’ — o, in altre parole, le condizioni teoriche di possibilità — che sono in gioco al livello fondativo.

Così, la posizione e lo statuto assegnato al destinante in quanto istanza epistemica ci forniscono un criterio supplementare per la distinzione dei tipi (e sotto-tipi) del discorso cognitivo : discorso della scoperta, da una parte, presente quando la funzione del destinante tende a oggettivarsi in una figura distinta da quella del soggetto discorsivo ; discorso dell’interrogazione riflessivo, d’altra parte, che emerge quando il soggetto enunciatore si pone come destinante di se stesso. A questa prima opposizione, reperibile nell’organizzazione narrativa della sintassi attanziale, corrisponde sul piano discorsivo e semantico una parallela differenza circa il modo di presenza e il grado di pregnanza relativi, a seconda degli autori, di due grandi isotopie — epistemologica e metodologica — caratteristiche del discorso scientifico in generale.

3.2.1. Il discorso della scoperta

In quanto configurazione narrativa, il dispositivo della ‘scoperta’ costituisce uno degli schemi comuni all’insieme dei testi analizzati nella prima parte di questo volume (mentre si concretizza in modo solo accessorio e parziale negli altri saggi). Il modo d’apparizione dell’istanza epistemica si correla così all’irruzione di un evento, più o meno inatteso (un ‘accidente’ secondo la terminologia di Dumézil), che consiste nell’incontro, a un momento dato del percorso del soggetto conoscente, con l’oggetto di conoscenza; incontro dal quale nasce una certezza, un’evidenza immediata. Il destinante, garante della ‘convinzione’ in tal modo acquisita, può, come in Dumézil, restare nascosto e conservare l’anonimato, oppure, come in Lévi-Strauss, svelare poco a poco la sua identità, nella misura in cui ‘qualcosa che assomiglia a un ordine inizia a trasparire dietro il caos’ : è lo ‘spirito umano’, al tempo stesso destinante e oggetto del sapere, che lascia trasparire i principi del suo funzionamento. In entrambi i casi l’autonomizzazione dell’istanza epistemica (in quanto attante narrativo), ovvero la sua proiezione al di fuori del soggetto, si accompagna, a prima vista paradossalmente, a una quasi-atrofia della dimensione epistemologica (in quanto isotopia discorsiva). A guardare le cose più da vicino, è come se, piazzato dinnanzi all’oggetto di conoscenza che enuncia quasi da sé la sua ‘verità’ (dove comunque alcune condizioni preliminari, lo vedremo, sono state assolte), il soggetto si trovasse, dal canto suo, dispensato dal fornire per proprio conto le prove a priori della sua competenza epistemica : attitudine che implica la preesistenza di alcuni modelli di intelligibilità in rapporto al fare del soggetto conoscente. Da questo punto di vista, è lo stesso ruolo di garante della conoscenza che, facendo fede sul ‘reale’ in Lévi-Strauss, si trova, in Mauss, investito da una ‘atmosfera’ essa stessa significativa, in Dumézil, nell’organizzazione del corpus mitico di riferimento, o ancora, in Siegfried, nella ‘intelligibilità’ e nelle ‘leggi’ inerenti alla politica.

Beninteso, questo partito preso di ‘oggettivazione’ delle condizioni epistemiche del fare cognitivo non deve essere confuso con l’attitudine, epistemologicamente ingenua, che consiste nel concepire la produzione del sapere a partire dall’apprensione e dalla descrizione immediate del dato empirico. Questo perché le strutture che garantiscono la possibilità del sapere non appaiono, in nessuno degli autori considerati, come immediatamente manifeste. Al contrario, perché s’impongano all’enunciatore, è necessario che tali strutture siano prima ‘scoperte’ : da cui la metafora della ‘nebulosa’ (Lévi-Strauss) e più generalmente la necessità, per il soggetto, di gestire, attraverso la propria attività, la possibilità stessa dell’incontro con il destinante epistemico, sia, per esempio in Francastel, rompendo preliminarmente con l’istanza contraria dell’anti-destinante (rappresentato sotto forma di ‘intuizionismo’), sia invece, per esempio in Lévi-Strauss, esercitando inizialmente una scelta ‘intuitiva’ chiara, o ancora, come in Mauss e Siegfried, riuscendo a trovare quella che potremmo chiamare una ‘buona distanza’ dall’oggetto.

Nella misura in cui il soggetto resta malgrado tutto, qui, il beneficiario di una competenza che, nell’essenziale, gli è attribuita come un ‘dono’ (o di una ‘iniziazione’ conferita da una qualche ‘Dea della sottigliezza’ — Siegfried), non possiamo stupirci che costui, almeno in questa tappa del suo percorso, porti i segni di un attore nettamente individuato : a dispetto di un ancoraggio spazio-temporale strettamente definito (che occorrerà in seguito superare — Mauss, Siegfried, Febvre), è la singolarità di un’avventura individuale, vissuta in solitudine (Bachelard, Barthes) e talvolta aneddotica (cfr., in Mauss, la storia del manoscritto del suo amico Hertz), che giustifica una sorta di ‘predestinazione’ del soggetto dinnanzi alla ‘grazia’ della scoperta. Tuttavia questi elementi di individualità sono per natura destinati a scomparire. Nel momento in cui il cammino della scienza implica la riproducibilità delle procedure adoperate e la comunicabilità dei risultati, il sapere del soggetto non può conservare a lungo lo statuto di una pura e semplice ‘convinzione intima’. Deve piuttosto accedere a quello della ‘verità dimostrata’ — per quanto relativa, dato che ‘non possono esistere nella scienza verità incontrovertibili’ (Lévi-Strauss). Da qui il necessario raddoppiamento del percorso epistemico individuale attraverso un cammino metodologico di carattere più impersonale. Ed è proprio questa necessità a rendere conto della distinzione fra discorso della scoperta e discorso della ricerca o, come l’abbiamo chiamato prima, discorso operativo, dove questa denominazione riceve adesso una nuova giustificazione, nel senso che il discorso della ‘ricerca’ appare come il luogo di una ‘operazionalizzazione’, mediante il soggetto cognitivo (assimilabile a un attante collettivo sintagmatico), dei modelli di intelligibilità preliminarmente ‘scoperti’ dall’attore individuale (col favore dell’incontro con l’istanza epistemica).

3.2.2. Il discorso dell’interrogazione

D’altro canto, il discorso della scoperta che, dal punto di vista sintagmatico si articola con quello della ricerca (essendo due tappe necessarie di uno stesso discorso logico), dal punto di vista paradigmatico si oppone a quello che abbiamo proposto di chiamare discorso dell’interrogazione riflessiva. Per situare concretamente la portata di questa distinzione, basterà menzionare le difficoltà, in linea di principio diametralmente opposte, che alcuni partecipanti hanno trovato nella scelta del frammento da analizzare. Da una parte, alcuni di coloro che si sono interessati a testi appartenenti al tipo discorsivo della scoperta, ma che non erano meno interessati a cogliere i fondamenti teorici di questa esperienza, si sono scontrati con l’estrema discrezione dei loro autori sul piano dei preliminari ‘meta-scientifici’ : reticenza comune, su registri diversi, a dei praticoni della ricerca come Lévi-Strauss o Dumézil, Mauss o Siegfried, nei quali l’avvento della possibilità di sapere è da attribuire all’incontro con l’oggetto di conoscenza — e non da una precedente garanzia di una qualche auto-affermazione teorica, più o meno perentoria, del soggetto conoscente. Altri ricercatori invece, trovandosi in presenza di opere più speculative, hanno provato una gran pena a liberare dalla ganga delle auto-giustificazioni di ordine epistemologico un segmento chiaramente rappresentativo della messa in gioco di un metodo o di un fare operativo : fuga costante verso un dogmatismo meta- o pre-scientifico di cui il discorso sociologico di un Georges Gurvitch avrebbe potuto fornire un esempio eccellente1.

1 Come è stato testimoniato dall’analisi presentata oralmente da Paolo Fabri in una delle sedute del seminario all’Ecole des hautes études en sciences sociales (1976), comunicazione che purtroppo non è stata ripresa in forma scritta.

Rispetto a un caso limite come questo, i percorsi fondativi di cui si troveranno le analisi nella seconda parte di questo volume presentano senz’altro un altro grado di complessità e aprono altre prospettive. Per quanto tali percorsi fondativi si caratterizzino per una notevole crescita del livello epistemologico (a detrimento di quello operativo), non possono essere ricondotte a pure petizioni di principio. Dato che il soggetto vi si manifesta come investito di un /dover-fare/ tanto teorico quanto inefficace (poiché non dotato delle procedure indispensabili alla messa in opera di un /fare/ propriamente detto), essi tradiscono, in generale, una posa di tipo filosofico quasi al limite con la ricerca del sapere ; né trionfalisti né prescrittivi, essi rispecchiano un qualcosa che bisogna riconoscere come una ‘crisi’ delle scienze sociali. Più che pretendere di regolamentarla, la riflessione epistemologica diviene così una interrogazione sulle condizioni della conoscenza ; di più, questa messa in questione si trasforma in una vera e propria interrogazione sull’interrogazione : messa in questione (epistemica) sull’identità del soggetto (cognitivo) concepito come luogo originario della domanda sul mondo : ‘comprendere (questa interrogazione)’ prima, scrive Merleau-Ponty, ‘(divenire) il soggetto cosciente dell’atto di comprendere’, prosegue Bachelard.

D’altro canto, se rapportiamo questa modalità — ‘filosofica’ — del discorso fondativo non più alla variante ‘dogmatica’ (della quale bisogna domandarsi in che misura essa ‘fondi’ qualcosa di effettuale), ma al dispositivo che articola il nostro ‘discorso della scoperta’ , lo spostamento di prospettiva al quale si assiste può esplicitarsi, dal punto di vista narrativo, nel modo seguente : più che di qualificazione (data nell’incontro con un destinante incaricato di attualizzare il /poter-fare/ del soggetto), si tratta dell’instaurazione stessa del soggetto, di modo che la riflessione si concentra sulla modalità (virtualizzante) del /voler-fare/ : ‘quale testo accetterei di scrivere (riscrivere) ?’ (Barthes). A questa distinzione relativa al contenuto del valore modale trasferito, si sovrappone l’opposizione segnalata prima fra due principi di organizzazione della struttura attanziale : da un lato, autonomia del destinante epistemico in rapporto al soggetto cognitivo, e dunque transitività del processo di attribuzione della competenza nel discorso della scoperta ; dall’altro, al contrario, riflessività dell’atto di instaurazione del soggetto nel discorso dell’interrogazione, con la fusione di due attanti (destinante e soggetto) nell’istanza di un ‘io’ che scaturisce dalla migrazione di un soggetto dell’enunciazione (epistemica vs cognitiva) in un altro.

I testi analizzati da Bordron, Darrault, Geoltrain, Coquet e (anche se a un grado minore, trattandosi di Francastel) Floch sono esemplari a questo proposito : indecidibilità del luogo da cui si enuncia la ‘coesistenza dei contrari’ ; esplosione dell’istanza enunciativa in soggetto vs antisoggetto in Merleau-Ponty (e in Francastel) ; senso che risulta dalla tensione (Bordron) esercitata dall’uno sull’altro ; dialettica di una comunicazione interattanziale iscritta all’interno stesso dell’‘io’ (in Ricoeur) ; sovrapposizione delle istanze cognitive e movimento di disambiguazione in Bachelard ; instaurazione di un soggetto che implica un necessario superamento dello ‘psicologismo’, anche quando ‘lo sforzo di costruzione’ riguarda l’io individuale del ricercatore. Nel momento in cui l’enunciatore interviene come il suo proprio destinante epistemico, l’introduzione del discorso metodologico — discorso impersonale preso in carico dall’attante collettivo sintagmatico di cui abbiamo parlato a proposito degli enunciati della ricerca — pone qui con particolare acuità il problema del passaggio da un discorso fortemente individuale (al limite, è il corpo che parla — Barthes) al discorso socializzato necessario per il lavoro del fare operativo. Alla fin fine è il testo di Barthes (estratto da S/Z) che fornisce la traduzione più forte di questa dualità di livelli, laddove la sparizione dell’‘io’ iniziale a profitto di un ‘si’ impersonale segna improvvisamente, nel seguito del discorso fondatore, il ritorno a un discorso sul metodo.

3.3. Il livello veridittivo : lo statuto del sapere

Se gli enunciati del fare (di cui si compone il discorso operativo) presuppongono, da un lato, come s’è appena visto, enunciati modali analizzabili come fondativi della competenza — in particolare epistemica — del soggetto operatore, il fare cognitivo del soggetto ha esso stesso, da un altro lato, come risultato il fatto di rendere possibile una nuova categoria di enunciati. Si tratta, a questo terzo livello, dei giudizi o delle conclusioni a cui il soggetto cognitivo giunge a partire dalle sue investigazioni (fare informativo) e manipolazioni (fare tassonomico etc.) relativamente al modo di esistenza dell’oggetto a proposito del quale si esercita il suo sapere. È qui che si mette in discorso l’esito sostanziale della ricerca, sotto la forma di enunciati di stato (retti da predicati come ‘essere’ o ‘apparire’ e simili) che costituiscono quello che potremmo chiamare discorso oggettivo, o quanto meno un livello di discorso che vuol farsi passare per tale. Precisiamo che il criterio grammaticale sul quale fondiamo il riconoscimento di questo livello non pregiudica la forma — statica o dinamica — delle descrizioni scientifiche di cui si tratta di rendere conto. Anzi, sono prevedibili due sottoclassi di discorso, a seconda che gli enunciati di stato del discorso oggettivo prenderanno essi stessi come oggetto sia enunciati che descrivono l’/essere/ degli oggetti semiotici, sia enunciati descrittivi di un /fare/ referenziale : descrizioni di tipo sistemico, distribuzionale o tassonomico nel primo caso, trasformazionale o generativo nel secondo.

Non è escluso che i tre tipi di enunciato che abbiamo isolato si articolino sintagmaticamente all’interno di un solo segmento linguistico. Così per esempio è facile riconoscere in una sola corta frase di Siegfried :

a) l’equivalente lessicale di un enunciato modale che specifica un aspetto della competenza del soggetto cognitivo (riguardo alle condizioni del /poter-fare/) : ‘con un po’ d’attenzione, e soprattutto di indietreggiamento...’;

b) un enunciato del fare cognitivo (all’occorrenza di tipo strettamente informativo) : ‘... distinguiamo che..’;

c) l’enunciato di stato che ne risulta, discettando sull’esistenza dell’oggetto (sul modo dell’essere) : ‘... ci sono regioni politiche come ci sono regioni geografiche...’;

d) e a questa tripla articolazione segue subito dopo, nello stesso frammento testuale, la considerazione seguente, di cui occorre anche rendere conto : ‘... questo è così vero che ci si serve istintivamente del vocabolario geografico per parlare dei partiti’.

Il sotto-segmento c) che, in quanto enunciato di stato, riguarda il discorso oggettivo, è preso in carico anaforicamente (dal deittico questo) e nello stesso tempo trasformato in un discorso referenziale in d). Una volta referenzializzato l’enunciato oggettivo, il soggetto cognitivo non si trova più nella posizione di intervenire direttamente nei confronti del suo oggetto. Ma la sua posizione gli consente di valutare le sue proprie formulazioni — segmento c) — prendendole appunto come referenza. Passiamo così da un primo livello di modalizzazioni, dette aletiche (necessità / contingenza, impossibilità / possibilità), che reggono predicati di esistenza del discorso oggettivo (per esempio ‘c’è’ = /non-poter-non-essere/ = necessità), al livello gerarchicamente superiore delle modalizzazioni epistemiche (certezza / incertezza, probabilità / improbabilità) che sovradeterminano gli enunciati del sapere stabilendo la loro validità (per esempio : ‘questo è così vero che’ = certezza).

Abbiamo prima suggerito (par. 3.2) la possibilità di una prima omologazione tra livello discorsivi e sequenze narrative (livello operativo : prova decisiva ; livello fondativo : prova qualificante). Tale accostamento ci conduce logicamente a esaminare adesso in quale misura il livello veridittivo (dove si effettua la validazione del discorso oggettivo referenzializzato) può essere messo in parallelo con la sequenza della prova glorificante, nella quale si conclude il percorso figurativo dell’eroe. L’analogia formale fra le strutture della veridizione (discorsiva) e della glorificazione (narrativa) appare chiaramente se consideriamo la relazione attanziale sottesa a entrambe : nei due casi, si tratta della comunicazione, attraverso il soggetto, di un oggetto di valore già acquisito (nello stadio della prova decisiva) e adesso sottomesso alla sanzione di un destinatario. Nel quadro del discorso figurativo, questo trasferimento si configura come trasmissione di un valore pragmatico e sfocia nel riconoscimento del soggetto-eroe da parte di una istanza che, inizialmente mandante, appare alla fine dell’itinerario narrativo come il destinatario giudice dele performance somatiche dell’eroe. Parallelamente, nel caso del discorso a vocazione scientifica, l’asse della comunicazione serve da supporto per il trasferimento di un oggetto-sapere (costruito in favore del fare cognitivo del soggetto-enunciatore) : il sapere si trasforma così in un far-sapere rivolto a un enunciatario che si incarica di valutarne il valore di verità. Niente osta che un solo attore, spostandosi sull’asse della comunicazione, assuma alternativamente i due ruoli attanziali del destinante e del destinatario. Anzi, nel nostro corpus è il caso più frequente : figura sincretica e incessantemente mobile, il soggetto del discorso scientifico non cessa di far variare il ‘luogo da cui parla’ : talvolta, installato nella posizione dell’enunciatore, costui si manifesta come il soggetto di un discorso persuasivo costituito da enunciati obiettivi, anch’essi modalizzati in termini aletici e garantiti dalla logica del fare operativo di cui costituiscono l’esito ; talaltra, posto in posizione di enunciatario, costui si manifesta come il soggetto di un discorso interpretativo che valuta e sanziona (mediante la modalizzazione epistemica) il discorso obiettivo che viene, dopo averlo prodotto, referenzializzato. In questi casi, la procedura di referenzializzazione appare come il punto finale della ricerca, che consente di chiudere il programma cognitivo del soggetto.

Tuttavia, tenuto conto della relatività dei dispositivi di temporalizzazione e della loro subordinazione alle strutture logiche della narrazione, ciò che qui riguarda il ‘dopo’ potrebbe pure stare in una sequenza iniziale. È quanto accade quando il discorso che occorre deriva non direttamente dalle operazioni effettuate dall’enunciatore stesso, ma da un discorso basato sull’ (o attribuito all’) enunciatario, distinto dal soggetto che attualmente discorre : convocazione di un sapere referenziale collettivo, ‘debraiato’ rispetto all’istanza e al tempo dell’enunciazione. Questo ‘discorso dell’altro’ non è necessariamente ‘vero’, nel senso che non è geneticamente la riproduzione della storia (o del percorso storico) di una scienza, ma una ricostruzione, per selezione del soggetto enunciatore, di un discorso ideale (che forse nelle scienze dure prende la forma di un algoritmo operazionale) concepito in termini generativi. In quanto tale, il discorso referenziale può inglobare enunciati di provenienza molto diversa : discorsi scientifici anteriori — dall’autoriferimento più preciso (Dumézil) sino all’appello diffuso al discorso delle scienze sociali considerate nel loro insieme (Francastel) — oppure semplici discorsi doxastici intercettati nel flusso della comunicazione sociale (Febvre, Siegfried). Non avendo essi il medesimo statuto veridittivo, la loro interpretazione da parte dell’enunciatore si traduce sia in termini epistemici negativi di rifiuto (dove per esempio certi argomenti derivanti dal fare scientifico anteriore appaiono, in Dumézil, come ‘sofistici’ e dunque irricevibili), sia in termini positivi di registrazione, come certezze di partenza, fra gli elementi costitutivi della competenza del soggetto. Il livello veridittivo si definisce così come il luogo dialettico del consolidamento del discorso referenzializzato, garante della trasmissione e dei ‘progressi’ della conoscenza.

4. Grammatica discorsiva e socialità del discorso

Abbiamo insistito sin qui sulle somiglianze possibili fra l’organizzazione, più o meno astratta, del discorso a vocazione scientifica e le forme figurative del discorso narrativo di tipo letterario o mitico. Il riconoscimento di questo parallelismo formale fra manifestazioni discorsive in apparenza molto lontane fra loro e il puntuale reperimento dei livelli di differenziazione costituiscono ai nostri occhi un primo risultato. Un secondo risultato appare sul piano metodologico, laddove la relativa novità del materiale studiato conduce soprattutto ad affinare lo studio delle strutture enunciative e delle articolazioni modali, che hanno dimostrato in questa sede una capacità euristica inaudita. Più generalmente, lo sforzo intrapreso si inserisce nel progetto di costruzione di una grammatica discorsiva : da cui la necessità di sviluppare una teoria capace di rendere conto in modo omogeneo della più grande diversità delle forme di enunciazione del sapere, quale che sia il loro grado di scientificità.

Da questa nascente teoria possiamo in ogni caso aspettarci una presa di posizione relativamente serena entro il dibattito presente oggi un po’ dappertutto lo sfondo delle ricerche nel campo delle scienze umane, nel quale si pone incessantemente la questione del soggetto del discorso — della sua posizione, della sua storia, della sua legittimità, per non parlare del suo ‘desiderio’. Quel che qui abbiamo chiamato ‘soggetto’ (perennemente investigato in quanto istanza produttrice del sapere) non potrebbe essere considerato, inversamente, come un prodotto del discorso, come un effetto di senso, cioè come un oggetto semiotico ? Se l’epistemologia contemporanea, introducendo la nozione di ‘oggetto costruito’, ha progressivamente abbandonato l’illusione di un lavoro scientifico che si esercita direttamente sul ‘dato’ empirico, forse tocca in parte alla semiotica dimostrare come il discorso scientifico costruisca anche quest’altro artefatto del linguaggio : il simulacro di un soggetto che, mentre tende a cancellarsi come attore occorrenziale, non rinuncia mai definitivamente a prendere la parola a partire dal suo nome proprio, non foss’altro che per dare un ‘senso’ al fare scientifico che lo trascende. Designare il ‘bisogno’ sociale al quale risponde la ricerca del sapere storico (Febvre), riferire l’analisi politica alle attese del mondo politico e dell’Università (Siegfried), connettere la riflessione filosofica alla funzione eminente della Scuola (Bachelard), valorizzare la ricerca sociologica attraverso il contributo che essa apporta a un ‘nuovo regime sociale’ (Mauss) : come dire che nessuno dei nostri grandi costruttori di metodologie si contenta di elaborare il programma narrativo di un ‘sapere puro’. Al contrario, grazie a quest’ultima reiscrizione del percorso cognitivo propriamente detto sotto il padronaggio di un programma ideologico a destinazione sociale e storico, torna sulla scena e rende disponile la propria ideologia l’attore occorrenziale.

 


1 Come è stato testimoniato dall’analisi presentata oralmente da Paolo Fabri in una delle sedute del seminario all’Ecole des hautes études en sciences sociales (1976), comunicazione che purtroppo non è stata ripresa in forma scritta.


Mots clefs : discours scientifique, narrativité.


Plan :

1. Preliminari

1. Verso una semiotica del discorso cognitivo

2. La rappresentatività dei testi sottoposti ad analisi

3. Statuto semiotico del corpus

2. Problematica : il discorso cognitivo come racconto

1. Organizzazione semantica e sintassi di superficie

2. Due principi di strutturazione del racconto

3. Livelli di articolazione e tipi di discorso

3. Gerarchia e tipologia

1. Livello operativo : la produzione del sapere

2. Livello fondativo : le condizioni del sapere

   1. Il discorso della scoperta

   2. Il discorso dell’interrogazione

3. Il livello veridittivo : lo statuto del sapere

4. Grammatica discorsiva e socialità del discorso

 

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