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La natura incerta dei caratteri antichi : Roberto Pellerey
Publié en ligne le 31 décembre 2024
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1. Il lavoro della decifrazione : la scrittura cuneiforme La decifrazione di scritture sconosciute è un procedimento di osservazione e analisi che passa attraverso diversi stadi di inquadramento del proprio oggetto e di focalizzazione progressiva dei diversi aspetti della scrittura, utilizzando sia casi ed esempi della scrittura, sia conoscenze e informazioni di altra provenienza applicabili al caso osservato. Osserviamo i principali passaggi e ragionamenti operati dai decifratori in due noti casi esemplari : il caso del Lineare B di Creta e la decifrazione della scrittura cuneiforme assiro-babilonese. La decifrazione della scrittura cuneiforme inizia nel 1802 con la presentazione all’Accademia delle Scienze di Göttingen dei primi risultati del lavoro del filologo Georg Friedrich Grotefend (1775-1853). La sua opera sarà conclusa nell’arco di 50 anni da altri ricercatori : ma il suo modo di procedere costituisce un caso esemplare del procedimento della decifrazione di lingue e scritture sconosciute. Grotefend lavora sulle copie di poche iscrizioni su lapidi eseguite da Karsten Niebuhr durante il viaggio in Oriente effettuato dal 1760 al 1767 e pubblicate nella sua Descrizione di viaggio dell’Arabia e di altri paesi finitimi (1774-78), provenienti quasi tutte da un unico luogo, i resti del palazzo di Dario e Serse a Persepoli. Quando Grotefend inizia a lavorare non si sa praticamente nulla della civiltà assiro-babilonese, che inizierà a essere conosciuta solo con gli scavi effettuati a Ninive da Paul Émile Botta nel 1840-42. Della storia e della civiltà persiana, che adotta la scrittura cuneiforme di origine assiro-babilonese, è noto solo ciò che dicono gli storici greci. È su questa piccola base di conoscenze storiche e dinastiche che poggia la decifrazione di Grotefend. Agli occhi dei viaggiatori europei, e degli abitanti stessi dell’area, i simboli cuneiformi costituiscono un impressionante mistero, all’apparenza inaccessibile, e di natura incerta, poiché molti ritengono che non sia una scrittura ma una decorazione di lapidi e pareti rocciose. Il primo passo della decifrazione condotta da Grotefend è l’analisi di alcune tavolette provenienti da Persepoli con tre colonne, chiaramente separate, scritte con caratteri dissimili. Grotefend presuppone che le tre colonne portino lo stesso testo in tre lingue e tre sistemi di scrittura diversi, e cerca di identificarle partendo dal dato noto che Ciro ha sconfitto i Babilonesi intorno al 540 a.C. dando così inizio all’impero persiano. Scatta a questo punto una prima ipotesi in due fasi difficilmente comprovabili con i dati disponibili : a) una delle colonne deve essere scritta nella lingua dei conquistatori, il persiano antico, e b) deve essere la colonna centrale, per la tendenza psicologica umana a porre al centro ciò che è più importante. Si inizia cioè con un dato empirico (tre colonne in scritture diverse) interpretato con una ipotesi arrischiata. Segue un altro dato empirico di tipo “interno” : un gruppo di sette segni ricorre con eccezionale frequenza. Cui segue una ipotesi priva di riscontri certi ma basata su probabilità : poiché appare su iscrizioni imperiali su monumenti pubblici, deve trattarsi della parola “re”, mentre un singolo segno, un cuneo obliquo con il vertice inclinato verso destra in basso, che appare spesso ma sempre isolato, deve essere un segno divisorio di parola, poiché appare con una frequenza (25% dei caratteri) incompatibile con l’ipotesi che sia una lettera1. Anche ipotetica è l’affermazione che la direzione di lettura (e di scrittura) sia verso destra e dall’alto al basso, basata sull’osservazione della forma dei caratteri (che presentano la punta del cuneo a destra del singolo segno, e in basso per i segni in posizione verticale) cui si unisce la tesi universalistica che sia tendenza umana dirigere la scrittura verso destra (essendo perlopiù destri gli uomini) per non passare la mano sui caratteri già scritti. Più comprovata è invece l’ipotesi che si tratti di una scrittura alfabetica, poiché utilizza un numero limitato di segni. |
1 F. Pratt, Histoire de la cryptographie. Les écritures secrètes depuis l’antiquité jusqu’à nos jours, Paris, Payot, 1940, p. 21. |
Abbiamo dunque una prima ipotesi di identificazione di una parola scritta, composta di sette caratteri, basata su ragionamenti che combinano dati di osservazione empirica e ipotesi arrischiate basate su presupposizioni di tipo storico e culturale, cioè sul modo in cui si ritiene che funzioni una data civiltà storica. Il primo passaggio è una analisi “interna” che prende in considerazione la regolarità di posizioni e di combinazioni di singole unità, di variazioni delle unità o della parte iniziale, media o finale di dati raggruppamenti costanti di unità espressive, e così via, fino a identificare possibili “parole”, possibili lettere o sillabe, possibili posizioni privilegiate che possono corrispondere al ruolo di prefissi, radici e desinenze, oppure a ruoli di tipo logico, lessicale, grammaticale, e così via. Si esaminano cioè le unità che appaiono nel testo, la loro forma, le loro variazioni e il modo in cui sono disposte e combinate tra loro per determinarne la possibile identità o per tentarne l’interpretazione semantica in base alla loro ricorrenza e ai possibili contenuti dei termini in base a ragionamento circostanziale. Vi fa seguito l’introduzione e l’uso di informazioni “esterne” di tipo storico, antropologico o culturale, e l’uso di modelli di schemi grafici e visivi che permettano ipotesi sui contenuti semantici del testo esaminato. Nonché, come si vede subito in Grotefend, l’adozione automatica di presupposti indimostrati accettati come probabili. Questo sarà più o meno l’intero modo di procedere di Grotefend, con diversi gradi e livelli di azzardo delle ipotesi formulate, e diversi livelli di certezza delle informazioni e conoscenze date per certe, comprese le presupposizioni universalistiche (come ad es. la tendenza a porre al centro la lingua dei conquistatori), e diversi livelli di uso di schemi grafici e visivi nell’interpretazione semantica, come si vede nell’ipotesi più importante e più risolutiva formulata nel corso della decifrazione. Dopo avere identificato una sequenza stabile di sette caratteri e avere deciso (per una ipotesi “esterna” storica e culturale) che è la parola “re”, Grotefend dà avvio a una catena di ipotesi azzardate, basate solo su un’intuizione ma prive di un riscontro reale sufficientemente verificabile, fondate ognuna sulla presunzione di verità dell’ipotesi precedente, con il contributo di poche osservazioni empiriche sui testi. Ogni conclusione di un ragionamento ipotetico diventa così la premessa di un successivo ragionamento ipotetico, in una sequenza che si arresterà in realtà solamente quando le analisi dei decifratori successivi a Grotefend ne porteranno a termine l’opera mostrando conclusivamente la tenuta complessiva del ragionamento. Grotefend azzarda, in partenza, l’ipotesi più incontrollabile e inverificabile : È improbabile, egli disse, che vengano mutate d’un tratto certe consuetudini nelle iscrizioni dei monumenti (...). Perché non si sarebbe dovuto trovare il consueto esordio dei monumenti persiani moderni anche su quelli della Persia antica, ammesso che fosse giusto il presupposto che il testo di una delle colonne era in persiano antico ? Perché le iscrizioni persepolitane non dovevano cominciare con uno stereotipato elenco genealogico come quelle recenti a lui note : “X gran re, re dei re, re di A e B, figlio di Y, gran re, re dei re...”2. Questa formula era nota poiché abituale nella Persia medievale dell’impero Sassanide, a lungo dedito all’imitazione voluta dell’antico regno3. |
2 C.W. Ceram, Götter, Gräber und Gelehrte. Roman der Archäologie, Reinbek, Rohwolt, 1949 ; trad. it. Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, Torino, Einaudi, 1952, pp. 263-64. 3 F. Pratt, op. cit., p. 23. |
Grotefend incatena cioè una dentro l’altra una serie di ipotesi successive collegate tra loro, intervallate dall’introduzione, in momenti irregolari, di una singola osservazione empirica : 1) le consuetudini di scrittura delle iscrizioni su monumenti si conservano a lungo nel tempo ; il suo riferimento è l’espressione “riposa in pace” che si tramanda dalle più antiche testimonianze nelle lapidi tombali europee (ipotesi) ; 2) l’esordio dei monumenti persiani antichi è lo stesso di quelli moderni (ipotesi) ; 3) l’esordio delle iscrizioni moderne porta la formula fissa “X gran re, re dei re, re di A e B, figlio di Y, gran re, re dei re…” (osservazione empirica) ; 4) anche le iscrizioni antiche iniziano con la stessa formula, come sembra confermare l’osservazione : la parola ipotizzata come “re” appare esattamente nelle posizioni di frase in cui dovrebbe apparire se la formula è quella. Inoltre la formula si ripete identica in numerosi esordi di iscrizioni variando solamente la prima parola (ipotesi + osservazione) ; 5) la prima parola, che varia nelle iscrizioni, indica il nome di un re, seguito dalla formula cerimoniale che ne descrive qualità e genealogia (ipotesi, per le iscrizioni antiche). L’espressione “re dei re” permette peraltro una verifica costante di coerenza dell’ipotesi sulle iscrizioni, poiché il termine “re” deve ricorrere frequentemente in posizioni date facilmente riconoscibili. Si parte quindi dalla identificazione empirica di una formula ripetuta in modo costante, cioè prima di tutto di uno schema fisso di sequenza grafica di simboli visivi, di cui si ignora la pronuncia a voce, cioè il suono, ma di cui si ipotizza il valore semantico, il significato, in base a ragionamenti comparativi. Questo sarà un procedimento costante : nella decifrazione l’interpretazione semantica procede all’inizio attraverso l’identificazione di schemi grafici costanti e forme visive, senza alcuna conoscenza delle espressioni sonore di quei dati simboli. Ciò si ripete nel passo successivo delle ipotesi di Grotefend, che identifica uno schema fisso di formulazione genealogico-dinastica che si ripete identico : X (nome del re), gran re, re dei re, re di A e re di B, xxx (parola ignota) Tale schema porta ripetutamente gli stessi nomi nelle iscrizioni osservate, che provengono tutte dallo stesso palazzo, e portano sempre i nomi (come si scoprirà) dei pochi re che hanno costruito il palazzo e vi hanno regnato con magnificenza. Grotefend identifica la parola ignota costante con il termine “figlio” per similitudine con le iscrizioni moderne e per un ragionamento circostanziale : Riesaminando quanto gli era riuscito di scoprire fino allora, osservò che su quasi tutte le tavole di iscrizioni che erano a sua disposizione, c’erano solo due versioni differenti dei primi gruppi di cunei. Per quanti confronti egli facesse, ricadeva sempre sugli stessi due gruppi, sulle due stesse parole iniziali che secondo la sua teoria dovevano indicare il nome di un re. E trovò iscrizioni che contenevano nello stesso tempo i due nomi ! (...) Dal punto di vista della sua teoria ciò non poteva significare altro che questo : tutti i monumenti di cui egli aveva le copie erano stati ispirati da due soli re. E poiché questi due sovrani erano nominati l’un accanto all’altro, non era verosimile che si trattasse di padre e figlio ?4 |
4 C.W. Ceram, op. cit., trad. it., p. 264. |
Con questa ipotesi di nuovo basata su analisi visiva e priva di dimostrazione (poiché l’unico riscontro esistente è la frequenza ripetuta del gruppo di segni, senza alcuna certezza sul loro significato o sulla pronuncia), lo schema visivo fisso di formulazione genealogico-dinastica trova questa configurazione finale : X (nome del re), gran re, re dei re, re di A e re di B, figlio di Alcuni singoli termini, o meglio la loro configurazione visiva, quali ne siano i caratteri componenti l’espressione grafica, risultano così identificati senza avere ancora alcuna idea della loro pronuncia. A questo punto Grotefend inizia una concatenazione di ipotesi conseguenti e successive in cui si alternano ipotesi più o meno coraggiose, ipotesi completamente azzardate, alcune osservazioni empiriche d’appoggio, e l’uso di conoscenze esterne al testo. 6) in tutte le tavole sono presenti solo due versioni differenti dei primi gruppi di cunei, e alcune hanno entrambi i due nomi (osservazione empirica) ; 7) in questo grande Palazzo da cui provengono tutte le tavolette si parla sempre di due soli re (ipotesi) ; 8) che spesso sono nominati in sequenza uno dopo l’altro : sono padre e figlio (ipotesi d’azzardo) ; 9) uno dei due è indicato come “figlio di Y, gran re”, l’altro invece solo come “figlio di Z” (osservazione empirica, se sono valide le ipotesi precedenti) ; 10) dunque uno è stato “Gran re”, ma suo padre no (ipotesi senza rischio) ; 11) dunque in questo palazzo è presente una genealogia Nonno-Padre-Figlio in cui il Nonno non era re (ipotesi) ; 12) inizia a questo punto il primo incrocio con conoscenze (storiche) esterne : Grotefend cerca nelle serie conosciute dei re persiani una sequenza genealogica con due re importanti padre-figlio e un nonno che non era invece re, usando come fonte gli storici greci, in particolare Erodoto ; 13) trova tre sequenze genealogiche con questi requisiti, e ne scarta due per analisi interna : non Ciro e Cambise perché i due nomi iniziano con la stessa lettera, e nelle iscrizioni esaminate non è così ; non Ciro e Artaserse perché il primo nome è troppo corto e il secondo troppo lungo rispetto alle iscrizioni ; 14) restano Dario e Serse, il cui nonno Istaspe non era re, e la cui lettura delle lettere presenti risulta coerente. Grotefend ha identificato a questo punto alcuni nomi di re, le sequenze grafiche e visive di una formula fissa di cui si ipotizza il significato, i caratteri grafici che compongono alcune parole e alcuni nomi di re, corrispondenti dunque a suoni di cui si ignora invece la pronuncia. Conosce cioè alcune parole, alcuni nomi, alcune lettere del sistema cuneiforme. Partito dal nulla, ha realizzato una serie di risultati, che gli permetteranno di procedere oltre, tramite un gioco di intuizioni, ipotesi e azzardi che costituisce il modo di procedere della decifrazione e che merita di essere esaminato meglio semioticamente. Si tratta infatti di un procedimento per tentativi e approssimazioni ipotetiche che corrisponde pienamente alla nozione di inferenza abduttiva in Peirce : una forma di ragionamento ipotetico costituito dalla sfida e dall’azzardo di basarsi su un unico caso osservato per trarne la conclusione doppiamente ipotetica che viga in quel contesto una data legge generale e che il fatto osservato ne sia un caso specifico5. In questo procedimento, necessario in dati contesti in cui si sia in possesso di poche informazioni utili, ogni risultato ottenuto è frutto di un ragionamento ipotetico, con diversi gradi di probabilità, che attende verifica e riscontro dal seguito dell’interpretare ; ogni conoscenza ottenuta, ogni inferenza effettuata, comporta l’assunzione di un rischio di errore di fronte a un universo di possibilità potenzialmente inesauribile. Non solo : la decifrazione procede per catene di assunzioni ipotetiche che si basano ognuna sui risultati ipotetici della precedente6, in attesa di un punto di riscontro. L’inferenza, ricordiamolo, è in Peirce un ragionamento che produce un avanzamento della conoscenza, e di cui distingue tre forme. L’abduzione è un’inferenza in cui a partire da un solo risultato osservabile (sul tavolo ci sono numerosi fagioli bianchi) si ipotizzano sia il caso specifico cui ci trova innanzi (i fagioli provengono dal sacco di fagioli posto sul tavolo) sia la legge o regola generale (tutti i fagioli di quel sacco sono bianchi)7. È quindi un ragionamento azzardato, perché la spiegazione del fatto potrebbe essere del tutto diversa (qualcuno ha scelto dal sacco solo i fagioli bianchi lasciando nel sacco quelli neri). È infatti possibile distinguerne e classificarne diversi gradi di rischio o di certezza8, ma quando alla verifica finale si rivela esatta risulta euristicamente molto fruttuosa e apportatrice di un avanzamento rilevante di conoscenza. È certamente questo il caso della decifrazione della scrittura cuneiforme, in cui si osserva l’abduzione ritenuta da Peirce migliore e più coraggiosa, un “processo di scelta dell’ipotesi” alla cui base vi è “un’abduzione fondamentale e primaria. Un’ipotesi che dobbiamo abbracciare all’origine, per quanto manchino prove a suo favore”9. Si tratta infatti di procedere ad agire ipotizzando come stiano i fatti in assenza di una prova iniziale, ma muniti solo della propria capacità di immaginare : [un nuovo contenuto di verità] può derivare solo da abduzione, e l’abduzione, dopo tutto, non è altro che indovinare. Siamo perciò costretti a sperare che, benché a rigore le spiegazioni possibili dei fatti siano innumerevoli, tuttavia la nostra mente, in un numero finito di tentativi, sarà in grado di indovinare l’unica vera spiegazione. E siamo costretti a tale assunzione, indipendentemente da qualsiasi prova della sua verità.10 |
5 C.S. Peirce, “Deduction, Induction and Hypothesis”, Popular Science Monthly, vol. 13, 1878, pp. 470-482, 2.619-644 ; trad. it. “Deduzione, induzione e ipotesi”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dei Collected Papers, Milano, Bompiani, 1984, pp. 199-220. Vedi anche C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History from Ancient Documents Especially from Testimonies”, 7.164-255, 1901 ; trad. it. “Storia e abduzione”, in C.S. Peirce, op. cit., pp. 223-229. 6 C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History...”, op. cit. 7 C.S. Peirce, “Deduction, Induction and Hypothesis”, art. cit. 8 G. Proni, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990 ; M. Bonfantini, “Introduzione : Peirce e l’abduzione”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi, Milano, Bompiani, 1984 ; M. Bonfantini e G. Proni, “To guess or not to guess ?”, in U. Eco e T. Sebeok (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani, 1983 ; U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe. Alcune ipotesi su tre tipi di abduzione”, in Il segno dei tre, op. cit. ; V. Pisanty e R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004. 9 C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History...”, art cit.; trad. it. “Storia e abduzione”, op. cit., p. 272. 10 C.S. Peirce, ibid., p. 273. |
Ed è quello che si osserva non solo nell’ipotesi che le formule sulle iscrizioni monumentali del persiano antico e di quello medievale siano identiche, ma anche in diversi passaggi, tra cui per esempio l’ipotesi completamente arbitraria che il greco abbia conservato e tramandato la pronuncia originale dei nomi dei re persiani. Questa presupposizione corrisponde d’altronde anch’essa a un principio di Peirce : La nostra ipotesi dovrebbe assumere per vere le testimonianze principali (...). Un eccellente metodo (...) è dare la precedenza all’ipotesi che si basa su un istinto profondo e primario, quale l’istinto di credere alle testimonianze, senza il quale la società umana non esisterebbe. Non c’è indizio più certo di scarsa esperienza nel trattare le testimonianze che la tendenza a crederle false senza un motivo definito, oggettivo e solido per sospettarlo.11 |
11 C.S. Peirce, ibid., pp. 280-281. |
Il seguito del lavoro di Grotefend non si discosta da questa linea operativa. Il passo successivo è l’attribuzione di una pronuncia ai caratteri identificati come componenti di nomi e parole ottenuti. Il problema specifico di Grotefend è come suddividere in singoli suoni nomi di cui si conosce solo la pronuncia Greca : ovvero occorre determinare la pronuncia persiana originale di nomi di cui conosciamo una interpretazione sonora in un’altra lingua. Il procedimento è nuovamente un azzardo. Grotefend usa come fonte del suono lo Zend-Avesta (nome collettivo dei libri sacri persiani) da cui apprende che il nome pronunciato in greco come Istaspe si pronuncia in persiano in quattro modi: Goschasp, Gustasp, Kistasp, Wistasp. Questi tre ultimi nomi hanno in comune “stasp” (di cui e il primo è una variante), le loro ultime lettere, che applica ai caratteri che compongono il nome Istaspe persiano. Trae altre tre lettere dal confronto dei titoli regali. Ottiene così la pronuncia di 8 caratteri persiani, che potrà estendere alle altre parole presenti nelle iscrizioni iniziando un sillabario del persiano antico. Ora le basi della decifrazione sono date: Grotefend sa distinguere alcune parole (nomi propri e “re”), la loro pronuncia, il loro significato. A questo punto abbiamo un’idea precisa del procedimento della decifrazione di lingue e scritture sconosciute, di cui il cuneiforme è un caso esemplare, assolutamente simile ad altri casi esaminati12. |
12 Vedi R. Pellerey, “Decifrazione e interpretazione. Testi criptati dal tempo”, Versus, 130, 2020. |
2. Un modello generale del lavoro del decifratore Di fatto la decifrazione è un procedimento artigianale basato sul caso, l’azzardo e le intuizioni del decifratore, che inventa e immagina soluzioni utilizzando le poche conoscenze certe a sua disposizione. La procedura generale di lettura è sempre l’avvio di catene di abduzioni e ipotesi a partire da poche evidenze certe ma arricchite con l’inserimento enciclopedico a) di contesti culturali noti, che permettono confronti e comparazioni, e b) di conoscenze tecniche pertinenti, cioè dati specifici di stesso livello : altre scritture, altri simboli, altre tavolette, le quantità di simboli in diversi sistemi di scrittura, i nomi di città, i sistemi numerici etc. Queste conoscenze e queste procedure di invenzione immaginativa sono di diversi tipi, che si corroborano a vicenda : 1. Osservazione empirica dei testi e del sistema di scrittura da decifrare tramite analisi sistematica interna grazie a statistiche di frequenze di simboli, confronti e analogie tra le unità del testo, e ogni altro aspetto materiale del testo (ad es. ricorrenze espressive costanti, confronti e analogie tra le unità del testo stesso, posizione degli elementi nei gruppi-parola come iniziali, medie o finali, forme grafiche, organizzazione grafica dell’insieme del testo), fino a distinguere le singole unità espressive, i gruppi-parola, le loro variazioni morfologiche. 2. Inserimento nel ragionamento di conoscenze esterne al testo di tipo storico, culturale, economico, antropologico che collaborano a determinare usi, sensi, valori del testo, tipologie testuali, che a loro volta contribuiscono a determinare possibili significati lessicali. Nel caso del cuneiforme lo sono i nomi e le genealogie dei re persiani tratti dalle fonti greche, nonché la conoscenza della formula fissa usata nel persiano medievale. La loro mancanza o scarsità induce all’azzardo abduttivo per “indovinare” la soluzione. 3. Inserimento nel ragionamento di conoscenze su dati tecnici e specialistici extra-testuali di tipo linguistico, glottologico e filologico (ad es. su flessioni, suffissi e infissi, generi, categorie grammaticali, quantità di unità negli alfabeti sillabici o alfabetici, regole ortografiche dei sistemi sillabici, regole di derivazione degli aggettivi etnici dai toponimi). Ne è esempio la conoscenza del fatto che il numero di caratteri distinti osservati nel persiano indica una scrittura alfabetica, e che la frequenza di un unico carattere del 25% non è compatibile con l’ipotesi che sia una lettera o una sillaba. 4. Analisi delle condizioni di enunciazione per ipotizzare sensi, significati e valori delle iscrizioni e dei termini. L’analisi delle condizioni di materialità e di uso dei testi collabora a comprenderne la natura non solo semantica ma soprattutto funzionale a usi e valori della cultura, e comprende ad es. : a) posizione : dove è posta la lapide o iscrizione, ovvero posizione del supporto su monumenti, su pareti di montagna, su oggetti, su statue, su oggetti di uso domestico o privato, in stanze di un palazzo disposti in pile (cioè in archivi, come è nel caso delle tavole del Lineare B di Creta). La collocazione contribuisce a identificare la funzione sociale del testo e il suo genere testuale, e dunque i significati più probabili dei termini. Le iscrizioni su lapidi monumentali esposte in monumenti pubblici, come a Persepoli, conducono all’ipotesi di testi elogiativi di sovrani o della magnificenza del regno ; b) provenienza : quale l’area geografica e il tipo di ambiente in cui è stato ritrovato il testo : città, palazzo, oasi, deserto, casa privata, piazza pubblica, fontana... Da qui le ipotesi su nomi di città o di persona e sul tipo di contenuto ; c) configurazione formale : quale sia la forma, ad es. : — righe allineate su foglio con simbolo finale : registri contabili di archivio ; — incipit di lapide ripetuto : formula fissa ; — due o tre righe di grande formato e austere : dichiarazione su monumento ; d) ambiente di circolazione del testo : a quali lettori è destinato il testo, cioè quale ne è l’uso sociale che il decifratore può ipotizzare ? Collegato a posizione, provenienza e genere testuale, si può più facilmente stabilirne uso e funzione sociale ; e) materiale del supporto di scrittura : secondo la sua fragilità o resistenza indica la probabilità della distruzione di altri supporti, o la sua creazione per essere trasportato o no (le iscrizioni su roccia e su parete di montagna indicano volontà di permanenza e dunque una più probabile destinazione territoriale locale). 5. Gli azzardi e le scommesse apparentemente immotivate e arbitrarie, prive all’inizio di un supporto evidente, che appaiono sfide al rigore metodologico sistematico, come l’ipotesi priva di ogni supporto che le iscrizioni sui monumenti persiani antichi e su quelli moderni portino la stessa formula di esordio, fissa e stabile, e che i due re spesso nominati in sequenza uno dopo l’altro siano padre e figlio. Oppure che nelle iscrizioni a tre colonne quella centrale deve essere scritta nella lingua dei conquistatori, il persiano antico. Tali colpi d’azzardo sono tentativi di sblocco di situazioni in cui non si riesce a trovare una chiave d’accesso alla lettura dei sistemi di scrittura dimenticati, e si ricorre a ipotesi coraggiosamente immaginative. 6. Catene di abduzioni e ipotesi a partire da poche evidenze certe, tanto frequenti e concatenate in serie serrate da costituire una scommessa e una sfida ai procedimenti scientifici induttivi e deduttivi : il decifratore procede avanzando continuamente ipotesi a partire da ipotesi precedenti, non dimostrate una alla volta ma considerate assodate poiché permettono il proseguimento coerente della ricerca. Alla fine è necessario giungere a una spiegazione complessiva coerente e alla decifrazione certa, per riscontro indubitabile, di un testo, una frase, una parola particolarmente rilevante, che convalida all’indietro tutti i ragionamenti effettuati. |
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Quando Henry Rawlinson nel 1835 scopre a Behistun (Iran) “l’iscrizione persiana di gran lunga più ampia e di contenuto più importante”13 fornisce al cuneiforme questa controprova indubitabile e conclusiva. Alcune monumentali iscrizioni, sulla parete di una montagna, celebrano la vittoria di re Dario sui “re ribelli” e la sua ascesa definitiva al dominio sull’impero persiano. Rawlinson copia e decifra le iscrizioni, pubblicandone nel 1846 la traduzione integrale. I testi molto lunghi, ripetuti in tre lingue (poi identificate come antico persiano, elamita e babilonese) permettono un controllo complessivo, e una garanzia di veridicità, della coerenza interna dell’intero testo, per fonetizzazioni e interpretazione semantica, molto più ampio rispetto alle iscrizioni di Persepoli : vi appaiono i nomi di tutti i protagonisti dell’impero di Dario e il confronto con il greco consente l’identificazione di un numero maggiore di segni cuneiformi. Riconoscendo una affinità con la lingua dell’Avesta e con il sanscrito, Rawlinson utilizza peraltro anche queste due lingue per interpretare suoni e forme grammaticali dell’antico persiano, e fornisce una spiegazione complessiva coerente basata su una casistica molto ampia. Infine nel 1849 Henry Layard scopre a Kujundshik cento tavole di argilla, in una stanza sotterranea, contenenti dizionari, grammatiche, compendi scolastici, prontuari di comparazioni per gli scolari di una scuola di scrittura cuneiforme in due diverse lingue che usavano due varianti della scrittura : in breve, tutti testi scolastici per l’apprendimento del cuneiforme in un momento, datato al VII secolo, in cui erano in uso almeno due lingue diverse che scrivevano in cuneiforme14. È il dato certo, che costituisce prova empirica definitiva della correttezza della decifrazione di Grotefend, a partire dal quale si convalida tutto il sistema di ipotesi elaborate in precedenza. La rispondenza di lettura a viva voce e di valore semantico tra questi materiali scolastici e i testi esaminati da Grotefend e Rawlinson trova una prova certa che permette la conferma di tutte le ipotesi formulate dai due decifratori. |
13 CJ. Friedrich, Entzifferung verschollener Schriften und Sprachen, Berlin, Springer, 1966 ; trad. it. Decifrazione delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1973, p. 67. 14 Vedi C.W. Ceram, Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, op. cit., p. 273. |
Di fatto la decifrazione è un procedimento artigianale in cui sono rilevanti due elementi, dalla cui ampiezza di conoscenza da parte del decifratore dipende la bontà del lavoro : gli agganci extra-testuali (dati tecnici e contesti storico-culturali) e le funzioni d’uso di oggetti e materiali, quali le funzioni di dichiarazioni di grandezza del regno delle lapidi di Persepoli o la funzione di registri di beni per i testi dei palazzi di Creta. 3. Il suono e la voce : la lettura del testo Il caso della scrittura cuneiforme evidenzia un aspetto particolare del processo di decifrazione : la centralità dell’interpretazione visiva rispetto alla definizione del suono e della pronuncia dei caratteri. La lingua e la scrittura sconosciute si presentano alla percezione prima di tutto come un insieme di forme, figure, simboli e immagini il cui senso è inafferrabile, prima che un insieme di suoni. La materialità empirica esaminata è questo insieme di immagini e simboli posti in un dato ordinamento grafico e spaziale, di cui si esaminano le forme, le combinazioni di sequenze, la frequenza, le ricorrenze, le variazioni, le configurazioni formali, senza avere idea di quale ne sia la pronuncia. Solo dopo avere completato o comunque avanzato significativamente l’identificazione delle unità espressive e delle loro combinazioni, nonché la loro possibile e probabile interpretazione semantica, scatta l’identificazione di un suono attribuibile ai caratteri e alle parole. In genere la pronuncia dei simboli di scrittura è desunta per comparazione con scritture già note, di cui si conosca bene il sistema di fonetizzazione, e quando siano disponibili testi che riportano lo stesso contenuto in scritture e lingue diverse (come la Stele di Rosetta). Non è necessario avere a disposizione un testo intero identico in più scritture e lingue : basta che due testi di contenuto diverso in lingue diverse portino gli stessi nomi e ciò sia noto (è il caso dell’Avesta che riporta in Persiano nomi presenti in Greco in testi greci). In questa situazione il passaggio fondamentale è la pronuncia o fonetizzazione dei nomi, ovvero la possibilità di leggere in scritture diverse gruppi di suoni che corrispondono a nomi già identificati graficamente come tali nella lingua da decifrare (o in cui identificazione grafica e fonetizzazione si accompagnano e si corroborano). I nomi, di città o di persona, sono la chiave d’accesso alla pronuncia della scrittura sconosciuta. Questo particolare privilegio dei nomi propri si deve alla loro proprietà specifica di possedere carattere referenziale ma asemantico : pure sequenze di suoni che si ripetono identiche tra lingue e scritture diverse, i nomi propri permettono di stabilire una rispondenza pura tra suono e simbolo grafico. Sono puro suono che si trasla da una scrittura all’altra ma non si traduce : determinano un riferimento, cioè identificano in modo univoco e stabile l’unica persona, città o regione, denotati da quella particolare espressione, ma non possiedono un contenuto informativo applicabile a più oggetti15, cioè un “significato”. La conoscenza della loro espressione grafica apre la strada alla lettura a voce di sequenze più ampie, come le parole, in un processo in cui nuovamente pronuncia della parola (o di una variante morfologica regolare) e sua identificazione come tale si corroborano espandendo le catene interpretative. Sarà esemplare per il procedimento dell’attribuzione del suono, e per il suo contributo alla interpretazione di parole e frasi nella lingua sconosciuta, il caso del Lineare B di Creta. |
15 Vedi S. Kripke, “Naming and Necessity”, in D. Davidson and G. Harman (eds.), Semantics of Natural Languages, Dordrecht, Reidel, 1972. |
I decifratori del Lineare B di Creta hanno operato, un secolo dopo Grotefend, in modo non dissimile dal filologo tedesco. Il Lineare B è il sistema di scrittura utilizzato tra il 1450 a.C. e il 1200 a.C. circa nelle tavolette in argilla ritrovate negli scavi del palazzo di Cnosso a Creta, iniziati da Arthur Evans nel 1901, e negli scavi condotti da Carl Blegen dal 1939 nel Palazzo di Pilo, seguiti da altri scavi in Grecia continentale, tra cui Micene. In tutti i siti le tavolette sono conservate in spazi subito identificati come Archivi del Palazzo. Le tavolette ritrovate nel 1939, fotografate e conservate nelle camere di sicurezza della Banca di Atene durante la guerra, sono esaminate in fotografia da un folto gruppo di decifratori, che danno avvio a un fitto scambio di informazioni16. |
16 J. Chadwick, The decipherment of Linear B, Cambridge, Cambridge University Press, 1958 ; trad. it. Lineare B. L’enigma della scrittura micenea, Torino, Einaudi, 1959, pp. 50-54. |
Il loro lavoro segue una serie di passaggi e di fasi, intrecciati tra loro, la cui architettura ripete il procedimento della decifrazione del Cuneiforme. Già nel processo preliminare di inquadramento contestuale inizia un gioco di concatenazione progressiva tra dati utilizzati (di diverso genere) e ipotesi (con diversi gradi di certezza) che conduce a nuova ipotesi cercando e utilizzando altri nuovi dati e così via. Il decifratore parte dalla conoscenza sicura del contesto storico-culturale : sono tavolette conservate negli archivi del palazzo centrale di una “cultura di Palazzo”, entità storica ben nota (a partire da Micene), basata su contabilità e amministrazione centralizzata dei beni e delle unità produttive agricole e artigianali. Il Palazzo, sede del potere, controlla e gestisce l’economia tramite la contabilità centralizzata e la distribuzione dei beni agli individui, alle famiglie e alle comunità presenti nel territorio amministrato17. L’esistenza delle culture di Palazzo nel mondo antico e l’identificazione di Cnosso e degli altri siti Minoici con esse fa parte delle conoscenze storico-culturali utilizzate dal decifratore (primo dato utilizzato). Il secondo dato utilizzato, anch’esso di tipo storico-culturale, è che il genere testuale usuale in queste culture sono i registri contabili, strumenti amministrativi che elencano le quantità di beni e di derrate presenti nelle comunità del territorio nonché l’entità della popolazione (uomini, donne, schiavi, bambini), necessari all’organizzazione della produzione e distribuzione dei beni nelle società di Palazzo. La prima ipotesi formulata, accostando questi due dati, è che le tavolette di Cnosso siano registri di beni. Ciò grazie all’inserimento nel ragionamento di conoscenze esterne al testo, ovvero contesti storico-economici (le culture di Palazzo) e dati extra-testuali (uso e funzioni dei registri contabili) che permettono di effettuare comparazioni. Già per Evans nel 1901 : |
17 Vedi G. Maddoli (a cura di), La civiltà Micenea. Guida storica e critica, Bari, Laterza, 1977 ; K. Polanyi, “L’economia come processo istituzionale” e “Sulla trattazione comparata delle istituzioni economiche dell’Antichità, con esempi tratti da Atene, Micene e Alalakh”, in Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1980, pp. 135-169 e 291-317. |
La frequenza delle cifre sulle tavolette indica che moltissime di esse si riferiscono alla contabilità dei magazzini e dell’arsenale regio. In molti casi, inoltre, gli oggetti a cui la contabilità si riferisce sono specificati mediante una o due figure. (...) Fra gli altri oggetti in tal modo disegnati vi sono figure umane, probabilmente schiavi, case o granai, maiali, spighe di grano, varie specie d’alberi, fiori di zafferano e recipienti di creta di varia forma.18 |
18 J. Chadwick, Lineare B. L’enigma..., op. cit., p. 25. |
La seconda ipotesi riguarda il contenuto, ed è la presenza di numeri sulle tavolette, in quanto unità necessarie in registri destinati al conteggio dei beni. Questa ipotesi si basa su una conoscenza culturale : per gestire e computare quantità di beni occorre l’uso dei numeri. La terza ipotesi si appoggia sulla conoscenza di contesti culturali (esterna al testo) e riguarda il sistema espressivo. Data la comune radice culturale col mondo greco-latino, il sistema numerico utilizzerà, come quello latino, simboli cumulativi distinti per unità, decine, centinaia e migliaia, anziché un sistema posizionale come quello dei numeri arabi19. |
19 Vedi J. Chadwick, ibid., p. 62. |
L’ipotesi successiva, assunto che nelle tavolette appaiano elenchi di beni, riguarda il sistema di scrittura utilizzato per le parole di questa lingua. È un’ipotesi per cui si ricorre a una conoscenza specializzata professionale : è noto ai linguisti che i sistemi di scrittura alfabetici utilizzano da 20 a 30 simboli, i sistemi sillabici 70/80, i sistemi ideografici diverse migliaia. A un primo esame empirico approssimato sulle tavolette ne appaiono circa 90 : si tratta dunque di una scrittura sillabica. I testi in Lineare B consistono di gruppi di segni separati da trattini verticali ; questi gruppi, la cui lunghezza varia dai due agli otto segni, sono spesso accompagnati da segni singoli seguiti da un numerale, e molti dei quali sono chiaramente delle raffigurazioni di animali o cose. È facile arguire che questi segni singoli e isolati sono probabilmente ideografici (...) mentre quelli riuniti in gruppi sono sillabici o alfabetici. Il numero di questi ultimi è di circa ottantanove (...). È un numero significativo : troppo piccolo per un sistema ideografico completo, troppo grande per un sistema alfabetico. Si deve quindi trattare di un sistema sillabico.20 |
20 Ibid. |
Come per il Cuneiforme, i decifratori seguono istintivamente un criterio visivo basato su un iconismo naturale universale : le immagini, disegni e figure, sono descritte come “chiaramente” rappresentative, in modo per così dire automatico e naturale, di oggetti, animali, persone. Di tale “chiara” e naturale evidenza non si dubita, né viene sottoposta a verifica. Esemplare è Chadwick quando dichiara che i segni osservati sulle tavolette “sono chiaramente delle raffigurazioni di animali o cose. È facile arguire che questi segni singoli e isolati sono probabilmente ideografici”21 : i decifratori presuppongono un iconismo naturalmente assoluto che non contempla errori nell’interpretazione visiva di forme e disegni. Decifratori come Chadwick e Ventris ignorano i dubbi che costituiranno di lì a poco il dibattito sull’iconismo, ovvero il dibattito sul carattere naturale o convenzionale della rappresentazione visiva, che ha lungamente accompagnato, con diverse accentuazioni sulla naturalezza o sulla convenzionalità culturale delle rappresentazioni iconiche, la storia della semiotica e i suoi progressivi sviluppi nel tempo22. I decifratori assumono una posizione teorica di iconismo naturalmente assoluto che ignora anche la possibilità di una diversa convenzione rappresentativa tra minoici, micenei ed europei del XX secolo. Questa evidenza procede riconoscendo non solo immagini, ma anche ragionamenti basati sulla conoscenza dei sistemi di valori e dei sistemi di vita attribuiti alla cultura che usa la scrittura che si sta decifrando. Il riconoscimento del funzionamento della cultura esaminata presuppone l’identità dei suoi valori di fondo con quelli del decifratore, senza mai dubitare di un’antropologia universalistica naturale. Si tratta cioè di un’evidenza sempre interna a una naturalezza indubitata. |
21 Ibid., p. 62. 22 Ad es. in U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 107-188 ; Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975, pp. 256-284 ; Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997, pp. 43-101 e 295-348 ; Dall’albero al labirinto, Milano, Bompiani, 2007. |
Allo stesso modo procede il successivo processo di identificazione delle unità espressive e di contenuto. Questo secondo processo consiste di una analisi interna tramite il confronto tra singoli segni e tra gruppi di segni in diverse tavolette per identificare le unità espressive presenti, la loro frequenza d’uso, le posizioni ricorrenti, allo scopo poi di ipotizzarne il valore, i ruoli linguistici, grammaticali o sintattici, i significati. Questo processo nel caso del Lineare B passa attraverso molte fasi, con l’apporto di numerosi ricercatori. Di fatto sono stati identificati inizialmente i simboli che indicano quantità unitarie e frazioni di quantità (nonché “il totale”), poi di quale tipo : pesi, volumi solidi, volumi liquidi23. A. Kober identifica nel 1952 un segno grafico che indica “il totale” di una somma, composta di tutte le unità (di animali, di uomini, di beni) elencate nelle tavolette e distinte per località in cui si trovano o da cui provengono. Questo dato è importante perché24 prova che la lingua Minoica — lingua di famiglia ellenica — distingueva i generi maschile e femminile, aggiungendo un suffisso al termine, e si può allora ipotizzare che questa configurazione sia presente in gruppi di segni ipotizzati come sostantivi : |
23 Vedi J. Chadwick, op. cit., pp. 62-63. 24 Ibid., p. 51. |
la formula del totale, chiaramente indicata da somme su numerose tavolette, aveva due forme : una usata per designare uomini ed una classe di animali, l’altra per donne, un’altra classe di animali e certi oggetti come spade e simili. Ciò non soltanto costituiva la prova evidente di una distinzione dei generi, ma conduceva all’identificazione del mezzo — l’aggiunta di segni ai relativi ideogrammi — con cui la distinzione stessa veniva in questo caso effettuata.25 |
25 J. Chadwick, op.cit., p. 51. |
Nel secondo passo del processo di identificazione delle unità espressive e di contenuto si ipotizza, sempre per confronto tra tavolette (dato empirico) quali siano i contenuti espressi dalle quantità numeriche : liste di uomini e donne, beni agricoli, manufatti artigianali. Questo però è possibile a questo punto solo per i simboli “ideografici” costituiti da immagini che rimandano a possibili contenuti di elenchi di registri di una civiltà di Palazzo, noti per conoscenza storico-culturale. Il terzo passo del processo di identificazione delle unità espressive e di contenuto è l’identificazione dei singoli segni, distinguendone le forme grafiche. Per confronto empirico, osservando le sostituzioni di simboli in gruppi identici di segni, si stabilisce quali simboli siano distinti da altri, quali siano solo varianti, quale ne sia infine la quantità complessiva. Nel 1952 Emmet Bennett identifica definitivamente 87 simboli, più tre il cui statuto di simbolo o variante resta incerto26. In questo processo si è proceduto per solo uso di dati empirici testuali, cioè per confronto tra elementi del testo stesso : è un’analisi empirica del testo e dei suoi elementi tramite confronto tra testi pari (che cioè esprimono la stessa lingua e si servono della stessa scrittura) che procede per tentativi e approssimazioni ipotetiche, cioè per inferenze abduttive fino a stabilire un “dizionario delle forme e dei simboli”, che Bennett chiama un “segnario”, un elenco completo di tutti i segni usati nella scrittura. |
26 E.L. Bennett, A Minoan Linear B Index, New Haven, Yale University Press, 1953. |
Il quarto passo dell’analisi interna è il processo di identificazione delle ricorrenze d’uso e altri aspetti materiali. Posto di avere identificato e distinto i segni fonetico-sillabici, si identifica la loro frequenza d’uso nei testi e la loro frequenza abituale in posizione iniziale, media o finale nei gruppi di segni (parole), notando così posizioni privilegiate che possono corrispondere al ruolo di prefissi, radici e desinenze. Nel 1951 in The Pylos Tablets, che contiene la trascrizione delle tavolette trovate nel 1939, Bennett pubblica “il primo segnario Minoico [sic !] attendibile, eliminando la confusione che fino ad allora era esistita tra i segni d’aspetto simile. Si trattava ora innanzitutto di pubblicare tavole statistiche che mostrassero, di ciascun segno, la frequenza assoluta e quella relativa alla sua posizione particolare (iniziale, finale o altra) nei gruppi di segni”27. Alice Kober28 ha identificato gruppi fissi di segni con tre finali ricorrenti che si alternano, ipotizzati perciò come desinenze29. La direzione di scrittura da sinistra a destra si evince infine dalla prossimità al bordo sinistro dell’attacco di scrittura sulle tavolette. A partire dal dato empirico della frequenza d’uso e della posizione dei simboli nei gruppi-parola si elaborano quindi in successione ipotesi su ruoli e funzioni di segni o di gruppi di segni come flessioni, radici, sostantivi, congiunzioni, i tipi di elementi linguistici cioè che si possono trovare, con i numerali, in registri contabili di beni30. |
27 J. Chadwick, op. cit., p. 72. 28 A. Kober, “‘Total’ in Minoan (Linear class B)”, Archly Orientalni, 17, 1949, pp. 386-398. Ried. in Symbolae Hrozny, I, 1952, pp. 386-398. 29 J. Chadwick, op. cit., p. 51. 30 Ibid., p. 76. |
Anche in questo momento si introducono conoscenze tecniche specializzate (dati di tipo linguistico, glottologico, filologico e grammaticale) che collaborano a orientare l’osservazione e ad elaborare ipotesi. Ventris osserva ad esempio la particolare frequenza di un dato segno (il “segno n. 78” del segnario di Bennett) in fine di parola nelle liste. In base alla sua conoscenza del latino ipotizza “che 78 era una congiunzione, dal probabile significato di e, ed unita come la -que latina alla parola che essa serviva a collegare”31. In base alla frequenza di date variazioni ricorrenti in termine delle parole (dato empirico), Ventris stabilisce due colonne ipotetiche di desinenze di sostantivi, una maschile e una femminile, ipotizzando che i casi siano gli stessi del latino e del greco32. |
31 J. Chadwick, ibid., p. 75. 32 Ibid., pp. 76-79. |
Anche in questo intreccio di fasi, di processi e di passaggi, troviamo, come nel caso del Cuneiforme, il ruolo fondamentale della azzardata inferenza abduttiva di Peirce, il procedimento logico che fa scattare in avanti il ragionamento assumendosi variabili quantità di rischi di errore pur di fare avanzare la conoscenza. Non diverso dal caso del cuneiforme appare il procedimento di concatenazione progressiva tra dati utilizzati di diverso genere e ipotesi, con diversi gradi di certezza, che conduce a nuove ipotesi e nuovi dati e così via fino a un punto di evidenza inconfutabile. Con questa constatazione giungiamo alle soglie del processo successivo, la scoperta della pronuncia delle sillabe. |
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L’ipotesi di lettura fonetica delle sillabe, già identificate graficamente, è il passaggio più avventuroso nella storia della decifrazione del Lineare B. Si giunge alla pronuncia dei simboli sillabici di Creta utilizzando la conoscenza della scrittura sillabica di Cipro, attestata almeno dal XV sec. a.C. con un sistema di simboli molto affine al Lineare A e al Lineare B di Creta33. La scrittura sillabica del periodo Classico di Cipro, utilizzata tra VI e II sec. a.C., è nota : decifrata dal 1870 dall’inglese John Smith, si tratta di una scrittura sillabica di cui è nota la pronuncia grazie ad alcune iscrizioni bilingui in fenicio ed altre in greco, ovvero il testo porta una versione in alfabeto sillabico cipriota e una in alfabeto greco che ne rivela la pronuncia34. Del cipriota classico si conoscono dunque lettura, pronuncia e significati dei termini. Osservando il sillabario cipriota ci si rese conto che “tra cipriota classico e Lineare B, a quanto fu subito evidente, esistevano rapporti : sette segni apparivano praticamente uguali, ed altri si rassomigliavano in vario grado”35. Formulata l’ipotesi che i sette segni cretesi si pronunciassero come i sette segni ciprioti identici, si inizia a cercare parole cretesi interamente pronunciabili, cioè composte interamente con questi soli segni. Evans inizia allora per primo la stesura di tabelle di comparazione della pronuncia di simboli e gruppi-parola del Lineare B con il sillabico di Cipro, e ottiene un risultato imprevisto, una parola apparentemente identica a una greca : |
33 Ibid., p. 31. 34 Ibid., pp. 32-33. 35 Ibid., p. 34. |
Una notevole tavoletta (...) reca due file di teste equine, seguite da numerali (...). In ciascuna delle due righe, una delle teste appariva più piccola delle altre e sprovvista di criniera, ed era in ambo i casi preceduta dalla stessa parola di due segni. Questi erano segni semplici, che si potevano con sufficiente certezza identificare con due analoghi caratteri ciprioti : po e lo. Ora, la parola greca per “puledro” è polos : la coincidenza era impressionante.36 |
36 Ibid., p. 49. |
Il fatto è talmente inatteso, poiché ci si aspettava una lingua sconosciuta, che Evans non vi presta credito e lo attribuisce al caso : “Evans era talmente convinto che la Lineare B non potesse contenere parole greche, che egli rigettò, non senza una naturale riluttanza, questa interpretazione”37. |
37 Ivi. |
Michael Ventris inizia ad esaminare il Lineare B dal 1951, e stende tabelle di combinazioni dei simboli che gli permettono di individuare i gruppi sillabici più frequenti distinguendo in essi la vocale e la consonante, senza sapere però quali vocale e quale consonante siano. Ha così ottenuto i “gruppi parola” più ricorrenti. Manca però sempre la chiave d’accesso alla loro pronuncia. Qui scatta allora un’ipotesi basata sull’azzardo, una doppia scommessa a pieno rischio abduttivo, che costituisce la sfida cognitiva principale di Ventris. Questo procedimento corrisponde però esattamente a quella che Peirce ritiene l’abduzione migliore, e più coraggiosa cognitivamente, un “processo di scelta dell’ipotesi” alla cui base vi è “un’abduzione fondamentale e primaria. Un’ipotesi che dobbiamo abbracciare all’origine, per quanto manchino prove a suo favore”38 e che consiste essenzialmente in un “indovinare”39. |
38 C.S. Peirce, “Storia e abduzione”, op. cit., p. 272. 39 Ibid., p. 273. |
Ventris effettua infatti un ragionamento ipotetico fondato su alcuni elementi privi in partenza di conferme. Dapprima ipotizza che alcuni gruppi di termini, già notati da Alice Kober, siano nomi di località, in quanto a capo di elenchi di merci diversissime (tutte presenti o provenienti da una località). I termini presenti sia nelle tavolette di Pilo che in quelle di Cnosso designano probabilmente corporazioni, cioè mestieri esistenti in entrambe le città, mentre quelli presenti solo in una delle due località designano città e villaggi della regione. Si tratta di una concatenazione di ipotesi la cui base di partenza non è confortata da riscontri accertati in corso d’opera. Infine, l’ipotesi più azzardata e coraggiosa : se quei termini designano città, “c’era qualche speranza di identificare quei gruppi di segni con toponimi sopravvissuti nel periodo classico”40, ossia c’è speranza che i nomi delle città di Creta siano gli stessi nomi, con la stessa pronuncia, tramandati nel greco classico degli storiografi e scrittori ellenici. Qui scatta la doppia scommessa azzardata che a) tali gruppi di suoni siano i nomi delle città di Creta (e della regione di Pilo, assenti le une nelle tavolette dell’altra), e b) che questi nomi siano gli stessi citati nel greco arcaico, ovvero abbiano la stessa pronuncia tramandata dal greco arcaico. |
40 J. Chadwick, op. cit., p. 87. |
Questa combinazione di ipotesi conseguenti le une alle altre, fino alla formulazione dell’ipotesi a prima vista ingiustificata della pronuncia dei nomi di città in base alla traditio greca, è però un caso esemplare della abduzione maggiormente innovativa ed originale in Peirce : l’abduzione chiamata “creativa”. Nell’abduzione creativa, a differenza di quelle “ipercodificata” e “ipocodificata”41, la legge usata deve essere inventata ex novo. Si tratta della vera e propria abduzione innovativa, in cui a partire da un risultato osservabile l’interprete deve contemporaneamente immaginare una legge e che tale legge si applichi al fatto osservato : “La suggestione abduttiva viene a noi come un lampo. È un atto di veggenza intima”42. |
41 U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe...”, art cit., p. 245. 42 C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi..., op. cit., p. 180. |
In questo caso a partire della presenza di una data serie di simboli di scrittura osservabili sulle tavolette si ipotizza sia il caso che essi costituiscano scrittura dei nomi delle città cretesi e micenee, sia la legge che essi siano pronunciabili esattamente nel modo tramandato dai Greci. Intermedia è l’abduzione per cui alcuni simboli di scrittura sulle tavolette di Pilo e Cnosso (dato osservabile) a seconda che siano presenti o assenti nell’una o nell’altra serie di tavolette (caso) indicano nomi di città delle diverse località (legge). |
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Ventris procede in questa direzione cercando basi d’appoggio e conferme. La prima ipotesi del tutto incerta è che “Un toponimo che a Creta avrebbe dovuto essere menzionato di frequente era quello della vicina città portuale di Amnisos, di cui parla Omero”43 ; che la pronuncia tramandata da Omero sia la stessa effettivamente usata a Creta dai Cretesi sette secoli prima è la scommessa azzardata e audace su cui si regge la decifrazione. Si cerca quindi nelle tavolette tra i possibili nomi di città una parola di quattro sillabe (in quanto il suono /mn/ dovrebbe “essere scritto mediante l’inserzione di una vocale aggiuntiva, poiché le regole dell’ortografia sillabica prescrivono che ogni consonante sia seguita da una vocale”) in cui la prima sillaba sia la sola vocale /a/ (segno 08) e la terza sillaba sia /ni/ (segno possibile 30, in base al raffronto tra il segnario e il cipriota), cioè /A-mi-ni-sos/. Questo gruppo parola è presente quattro volte nelle tavolette di Cnosso con la sequenza dei segni 08-73-30-12. Ventris considera probabile che tale gruppo parola indichi Amnisos (/A-mi-ni-sos/), e questo comporta l’importante conseguenza che si può individuare la sillaba /so/ con il segno 12. Poiché infatti la sillaba /no/ (segno 52) è una delle sette sillabe certe, la 12 dovrebbe essere /so/ o /sos/ e la 70 è ipotizzato nella griglia combinatoria che abbia la vocale /o/, una combinazione di gruppo parola 70-52-12 si pronuncia /..o-no-sos/ : sarà allora Cnosso, /Ko-no-so[s]/, presente più volte nelle tavolette di Cnosso, e assente in quelle di Pilo. |
43 J. Chadwick, op. cit., p. 87. |
Il ragionamento condotto da Ventris in questo processo è una combinazione di dati empirici tratti dal testo osservato, inserimenti di contesti e dati tecnici extra-testuali (scrittura di Cipro, parole del greco, nomi greci di città cretesi), uso di conoscenze linguistiche (l’ortografia sillabica prescrive che ogni consonante sia seguita da una vocale) per effettuare inferenze abduttive azzardate (il segno n. 08 trascrive la vocale /a/ “a causa della sua grande frequenza iniziale”44) che trovano conferma solo nel riscontro di coerenza complessiva finale. Di fatto Ventris alterna, in questa combinazione di dati e concatenazione di ipotesi, due diversi tipi di abduzioni. Quando seleziona conoscenze del mondo e dati tecnici extra-testuali, conoscenze tecniche linguistiche, dati storici per trarne ipotesi applicabili al caso del Lineare B effettua una abduzione ipocodificata, consistente nella selezione consapevole di conoscenze e leggi già esistenti nell’insieme di conoscenze disponibili45. Quando giunge al risultato di stabilire la pronuncia (ipotetica) dei simboli di scrittura e dei nomi di città effettua invece una abduzione creativa, che comprende una doppia sfida e scommessa. |
44 Ibid. 45 U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe...”, art. cit., p. 245. |
Man mano che la decifrazione procede, Ventris incontra sempre più spesso gruppi parola che formano parole greche o molto simili al greco. Alcune parole cretesi corrispondono a parole di etimo greco arcaico. Incontra ad esempio una parola cretese /ko-wo/ e /ko-wa/ (‘ragazzo’ e ‘ragazza’), che corrisponde non al greco Attico classico kouroi e kourai ma al greco dorico arcaico /korwoi/ e /korwai/ da cui deriva kouros46. Il Greco dunque conserva la pronuncia originale di Cnosso e Amnisos perché non era una lingua diversa. Ventris estende il processo di identificazione della lettura fonetica dei gruppi parola con un metodo a mosaico tramite confronto progressivo, trasferendo cioè i suoni delle sillabe già lette ad altri gruppi parola nuovi e diversi) : |
46 J. Chadwick, op. cit., p. 90. |
Man mano che aumentava il numero dei testi esaminati, le parole greche andavano affiorando in numero proporzionalmente crescente. Nuovi segni potevano essere identificati grazie al riconoscimento di parole contenenti un solo segno ignoto, e il valore così accertato poteva poi essere verificato altrove. Le regole ortografiche ricevevano conferma ; il sistema di decifrazione si dimostrava sicuro.47 |
47 Ibid., p. 94. |
Fino al 1952-53 l’identificazione del Lineare B e della lingua cretese con il greco è solamente un’ipotesi. Le parole “lette” però sono sempre corrispondenti al greco arcaico, e manca qualsiasi somiglianza con altre lingue note. La conferma considerata definitiva proviene dalla scoperta a Pilo nel 1952, da parte di Carl Blegen, di nuove tavolette, decifrate nel 1953. In una di esse appaiono alcune immagini di calderoni a tre piedi, oggetti cioè molto particolari della cultura greca. Usando le liste fonetiche di un articolo inedito di Ventris e Chadwick, che aveva letto in anteprima, Blegen legge la sequenza di simboli accanto ai calderoni come /ti-ri-po-de/, cioè esattamente il greco ‘tripode’ per indicare tale oggetto caratteristico. È la conferma assoluta che il cretese sia greco e che le due civiltà avessero stretti rapporti culturali. Nel maggio 1953 Blegen scrive in una lettera a Ventris : Accludo (...) copia della [tavoletta] P641 che suppongo debba interessarvi. Vi si tratta evidentemente di vasi, alcuni con tre piedi, alcuni con quattro anse, altri con tre, altri senza. La prima parola, secondo il vostro sistema, sembra essere ti-ri-po-de, che ricorre poi altre due volte (...). Il vaso con quattro anse è preceduto dalla parola qe-to-ro-we ; quello con tre, da ti-ri-o-we ; e quello senza, da a-no-we. Tutto questo sembra troppo bello per essere vero48. |
48 Ibid., p. 113. |
Un oggetto molto particolare come il tripode viene denotato esattamente con la parola greca che lo designa : la tavoletta è la conferma reale, dotata di disegni di riscontro, che a Creta si parlava greco, e che la lettura fonetica ipotizzata da Ventris e Chadwick è valida. Ancora più significativo è però il riscontro delle altre immagini presenti sulla tavoletta. In essa appaiono immagini di diversi tipi di vasi. Un vaso a quattro manici è detto /qe-to-ro-we/, quello a tre manici /ti-ri-no-we/ : dunque /no-we/ sono le anse o ‘orecchie’ del vaso e /tri/ è ‘tre’, che corrisponde al greco, mentre per la forma /qe-to/ per ‘quattro’ Chadwick rimanda al latino quattuor. Ma un vaso senza manici è chiamato /a-no-we/ : esisteva dunque anche l’alfa privativa, la corrispondenza col greco è assoluta e inoppugnabile49. |
49 Ibid., p. 115. |
È a questo punto che si convalida retrospettivamente l’intera catena di ipotesi formulate una dopo l’altra a partire da alcuni assunti ipotetici iniziali. Chadwick e Ventris procedono sistematicamente in questo modo, che appare difforme dal buon metodo scientifico. Tuttavia è invece proprio la concatenazione di ipotesi collegate e conseguenti le une alle altre, che costituisce il metodo scientifico in Peirce : una volta presa in considerazione un’ipotesi come preferibile alle altre, se ne devono dedurre tutte le previsioni sperimentabili, a partire dalle più audaci e improbabili, per metterle alla prova, e quindi o rifiutare l’ipotesi o effettuare le modifiche dettate dagli esperimenti. In conclusione, l’ipotesi dovrà reggere o cadere per i risultati sperimentali ottenuti.50 |
50 C.S. Peirce,“On the Logic of Drawing History...”, p. 245. |
Nel lavoro di Ventris le catene di ipotesi collegate e conseguenti sono le previsioni in base all’ipotesi iniziale audace seguita dalle sue conseguenze. L’atto necessario di “metterle alla prova” è ciò che Peirce altrove chiama effettuare il “processo di verifica di un’ipotesi”51, e tale verifica consiste nel verificarne la compatibilità e la coerenza, una per una, con altre ipotesi formulate via via, o reperite in altri studi. Nel caso della decifrazione del Lineare B la verifica consiste cioè dapprima nella tenuta progressiva dell’insieme di ipotesi successive come coerente, e in seguito nella verifica diretta finale che consiste nell’evidenza di un dato oggettivo inoppugnabile, la tavoletta del tripode, che fornisce prova certa della validità dell’ipotesi e dei suoi diversi passaggi, ragionamenti e formulazioni, e costituisce riscontro che convalida a ritroso tutta la catena di ipotesi52. L’ipotesi che il cretese sia greco sarà infine formulata nel 1953 da Ventris e John Chadwick. |
51 Ibid., p. 281. 52 Ivi. |
7. Champollion e il geroglifico Nel 1822 Jean-François Champollion pubblica a Parigi la Lettre à M.Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques employés par les Égyptiens, in cui espone la sua decifrazione del sistema di scrittura dei geroglifici Egizi, da secoli oggetto di tentativi di decifrazione e di letture anche misteriche e allegoriche da parte di circoli e di autori di ispirazione ermetica ed esoterica. Prima di lui si avvicina a questo risultato lo scienziato, erudito e poliglotta inglese Thomas Young (1773-1829), che nella voce “Egypt” della Enciclopaedia Britannica (1818) identifica numerosi segni fonetici nel geroglifico e sostiene, tra i primi (pur rifacendosi a Silvestre de Sacy e J. David Akerblad), che si tratti di una scrittura fonetica. Riesce a identificare i suoni del cartiglio del re Tolomeo sulla Stele di Rosetta, scoperta nel 1799, facilitando così il lavoro di Champollion che a lui si rifà : Young ritiene però che sia una scrittura sillabica, e l’ipotesi che sia principalmente alfabetica è il risultato conclusivo di Champollion. Le fonti utilizzate da Champollion oltre agli studi di Young sono poche fonti dirette che gli offrono esempi e modelli di utilizzazione del geroglifico : la Description de l’Égypte, un papiro in Demotico acquistato “récemment” dal Gabinetto del Re, l’Obeliscus Pamphilius di Athanasius Kircher, descrizione di un obelisco rinvenuto tra le rovine di Roma e trasformato nel Seicento in monumento nel rinnovamento urbanistico di Roma, un obelisco ritrovato sull’isola di Philos e trasportato a Londra (osservato e descritto da Champollion in un articolo dello stesso 1822), l’Obelisco Barberini a Roma anch’esso ritrovato ed eretto come monumento urbano, oltre alla Stele di Rosetta. La fonte principale, da cui trae la maggior parte degli esempi e dei casi di studio, resta però la Description de l’Égypte, ou Recueil des observations et des recherches qui ont été faites en Égypte pendant l’expédition de l’Armée française, publié par les ordres de Sa Majesté l’Empereur Napoléon le Grand pubblicata in 23 volumi tra 1809 e 1818, di cui 13 volumi di tavole illustrative, largamente utilizzate da Champollion. La Description è il risultato delle osservazioni condotte dai circa 160 studiosi e scienziati, membri della Commission des sciences et des arts, che accompagnano Napoleone nella campagna d’Egitto dal 1798 al 1801. Testo di grande risonanza e diffusione, permette la conoscenza dell’Egitto al mondo europeo, e resterà testo di riferimento fondamentale per la conoscenza storica, naturale, sociale e culturale dell’Egitto, contribuendo largamente ad affermare l’Egittologia come disciplina a sé stante. Champollion procede nel suo lavoro di decifrazione partendo dalla constatazione che le scritture ieratica, demotica e geroglifica sono sistemi ideografici, come vuole la tradizione, “c’est-à-dire peignant les idées et non les sons d’une langue”53, ma nella Stele di Rosetta vi sono simboli demotici che assumono un valore sillabico-alfabetico per esprimere nomi propri stranieri, perlopiù di sovrani greci e romani in Egitto. Ciò viene assunto come un dato assodato, stabilito in due suoi Mémoires presentati alla Accademia Reale delle Iscrizioni e Belles-Lettres sulla base degli studi di Young. Ipotizza quindi che anche nel sistema geroglifico vi siano segni di valore sillabico-alfabetico principalmente per i nomi propri stranieri, in base a una concatenazione di dati, ragionamenti e ipotesi : stabilito l’uso fonetico di segni demotici (dato), poichè il demotico è una versione popolare della scrittura ieratica (ipotesi formulata da Champollion in precedenti Mémoires assunta qui come dato) e questa è una versione abrégée, tachigrafica, del geroglifico, allora (ipotesi) anche il geroglifico deve possedere un certo numero di segni che esprimono il suono, e precisamente “sur les monuments publics de l’Égypte, les titres, les noms et les surnoms des souverains grecs ou romains qui la gouvernèrent successivement”54. |
53 J.-F. Champollion, Lettre à M.Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques employés par les Égyptiens pour inscrire sur leurs monuments les titres, les noms et les surnoms des souverains Grecs et Romains, Paris, Didot, 1822, p. 1. 54 Ibid., p. 3. |
Ragionamento che si presenta come deduzione rigorosa ma che contiene in realtà una tesi doppia indimostrata (che il demotico sia una versione popolare dello ieratico e che questo sia una versione abrégée del geroglifico) assunta come dato certo, e una tesi conseguente (che anche il geroglifico abbia segni fonetici per il caso dei nomi propri) che in realtà manca ancora di prova o dimostrazione. Una ipotesi viene assunta come dato certo in base a una concatenazione di ragionamenti ancora probabile e possibile ma non provata con esempi. É in realtà la stessa concatenazione di ipotesi azzardate che abbiamo visto per il cuneiforme e per il Lineare B, con due particolarità : l’azzardo è più leggero, in quanto interno a un ragionamento tecnico che il teorico competente comunque permetterebbe come ipotesi di lavoro (se venisse esplicitato come tale), e assume come ipotesi una conclusione che in realtà l’autore ha già comprovato nel suo studio, ma che presenta come ipotesi, tautologicamente, poiché spiega in realtà quali ragionamenti ha fatto per arrivare a questa sua conclusione. Si tratta di una tautologia retorica : Champollion spiega, a posteriori, come ha ragionato e azzardato tecnicamente per ottenere le sue conclusioni, e poi procedere a ragionamenti successivi ugualmente presentati a posteriori. Più o meno è questo il modo costante di procedere di Champollion in tutto il testo, che fa apparire la Lettre come un testo molto tecnico e controllato benché in realtà mosso da una passione fervida. Solo dopo aver presentato questa ipotesi Champollion espone infatti i dati già raggiunti prima che permettono di presentarla come certa : in un certo senso Champollion riordina fatti, dati, e ragionamenti per esporli in modo più controllato rispetto all’entusiasmo e all’emozione di cui era preda durante la scoperta che certi simboli erano suoni e non idee. |
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Per verificare l’ipotesi occorre esaminare in scrittura geroglifica due nomi propri di re Greci già noti che abbiano suoni comuni, come per esempio Tolomeo e Cleopatra, e osservare se lo stesso suono è espresso, e in quale modo, da uno stesso simbolo. Non è possibile nella Stele di Rosetta, che porta solo il nome Tolomeo, ma si può ricorrere all’obelisco di Londra in cui il nome Tolomeo (identico a come è scritto nella Stele di Rosetta) è seguito dal nome di una donna, una regina, “puisque ce cartouche est terminé par les signes hiéroglyphiques du genre féminin, signes qui terminent aussi les noms propres hiéroglyphiques de toutes les déesses égyptiennes sans exception”55. L’obelisco era eretto su un basamento che portava un’iscrizione in greco con una supplica rivolta a Tolomeo, a una Cleopatra sua moglie e una Cleopatra sua sorella (dato), quindi (ipotesi) il cartiglio del nome geroglifico femminile deve necessariamente essere “Cleopatra” : “le cartouche du nom féminin ne pouvait être nécessairement que celui d’une Cléopâtre”56. Questo ragionamento incatenato incorpora in sé due ipotesi che abbiamo già incontrato, senza però dichiararle ma considerandole ovvie (ed è questa retorica discorsiva che costituisce la qualità distintiva pacata e controllata di Champollion) : l’ipotesi della validità universale di leggi culturali, normalmente valide nella cultura europea moderna, quale quella per cui il basamento e la stele portano scritto, in due lingue e scritture diverse, esattamente lo stesso testo, esattamente come nell’ipotesi di Grotefend che in tre colonne di scrittura affiancate quella centrale porti la lingua dei vincitori ; e l’ipotesi, nel caso del Lineare B assai azzardata, che la pronuncia dei due nomi in greco e in egiziano sia essenzialmente la stessa. Assunte queste ipotesi e questo gioco d’uso dei dati impliciti ed espliciti il risultato è raggiunto : |
55 Ibid., p. 6. 56 Ibid., p. 7. |
Ce nom et celui de Ptolémée qui, dans le grec, ont quelques lettres semblables, devaient servir à un rapprochement comparatif des signes hiéroglyphiques composant l’un et l’autre : et si les signes semblables dans ces deux noms exprimaient dans l’un et l’autre cartouche les mêmes sons, ils devaient constater leur nature entièrement phonétique.57 |
57 Ivi. |
Questo controllo incrociato è svolto facilmente confrontando i cartigli ipotizzati come Tolomeo e Cleopatra : il primo segno di “Cleopatra” è assente in Tolomeo (è quindi verosimile che sia la “C” assente in Tolomeo) ; il secondo segno di Cleopatra (ipotesi : “l”) è presente in Ptolémée in quarta posizione (dunque è verosimile sia la “l”) ; il terzo segno di Cleopatra (ipotesi : “e”) è presente in Ptolémée in ultima posizione (è dunque verosimile sia “e”), e così via. Con questo facile gioco di confronti Champollion identifica e distingue 12 segni fonetici corrispondenti a 11 suoni e dittonghi dell’alfabeto greco : “Les signes réunis de ces deux cartouches analysés phonétiquement, nous donnaient donc déja douzes signes répondant à onze consonnes et voyelles ou diphtongues de l’alphabet grec : A, AI, E, K, L, M, O, P, S, T”58. |
58 Ibid., p. 9. |
Stabiliti questi suoni (uno dei quali è espresso da ben due diversi segni, e Champollion spiegherà in seguito perchè) basta verificarli e confrontarli con altri testi in cui appaiano cartigli con nomi presumibili di sovrani Greci e Romani, verificando se si ottiene una lettura regolare e coerente in testi diversi : la valeur phonétique déja très-probable de ces douzes signes deviendra incontestable, si, en appliquant ces valeurs à d’autres cartouches ou petits tableaux circonscrits, contenant des noms propres et tirés des monuments égyptiens hiéroglyphiques, on en fait sans effort une lecture régulière, produisant des noms propres de souverains, étrangers à la langue égyptienne.59 |
59 Ivi. |
Champollion utilizza infatti, a questo punto, un cartiglio, tratto tra quelli presenti a Karnac e Tebe nella Description de l’Égypte, che contiene alcuni segni ora noti in questa sequenza (dato)60: |
60 J.-F. Champollion, op. cit., p. 10. |
A – L- (ignoto) – S – E/A – (ignoto) – T – R – ignoto) Si può ipotizzare che si tratti del nome greco Aleksandros, scritto in Demotico ALKSENTRS (nella stele di Rosetta), nome noto e diffuso nell’Egitto greco. A questo punto si può assegnare valore fonetico a tre nuovi segni finora ignoti : K, N, S. I segni con valore fonetico noti sono ora diventati 15. L’ultimo segno è un omofono, vale cioè per un suono che è espresso anche da un altro segno. I segni identificati in “Alessandro” saranno ora usati per estensione ad altri nomi in cui manca un suono o due per identificarli con nomi noti e verosimili, e così via. Ora, questi procedimenti sono identici a quelli già esaminati nel caso del Cuneiforme e del Lineare B. Prima di tutto, si tratta di concatenazioni di ragionamenti basati su dati certi e su inferenze e ipotesi assai variabili, di cui non viene evidenziata l’incertezza ma vengono dati per incontestabili. In alcuni casi si tratta di concatenazioni che incorporano vere e proprie ipotesi più o meno evidenti come tali, in altri casi è un lavoro minuzioso di natura quasi automatica e certissima (l’attribuzione del suono ai singoli segni dei nomi nei primi confronti tra cartigli, allo stato iniziale della decifrazione — ugualmente a quanto accade nell’identificazione di Cnosso e Amnisos a Creta). Poi, Champollion ricorre a conoscenze esterne al testo, di tipo storico, culturale (l’uso pubblico di steli, obelischi e monumenti, o la stretta relazione architettonico-discorsiva tra un obelisco e il basamento, ad esempio) ma anche professionale del linguista (l’esistenza in geroglifico di un simbolo che indica il genere femminile). Ma anche la conoscenza professionale di egittologo e archeologo di altri nomi di re stranieri non presenti nei primi testi esaminati. Poi, l’uso di leggi universali più o meno azzardate, e l’uso di scommesse anch’esse più o meno azzardate : in questo caso ad esempio l’ipotesi che la pronuncia dei nomi dei sovrani sia la stessa in greco e nella lingua egizia. A differenza dei casi del Cuneiforme e del Lineare B, questa ipotesi è qui meno azzardata perchè si basa ad incastro su un’altra norma di carattere universale, reale o presunto : si tratta di testi contemporanei (testi diversi ma tutti della stessa epoca) e presenti nello stesso monumento (obelisco e basamento), per cui si assume che riportino lo stesso testo e la pronuncia dei nomi sia la stessa. Infine, l’applicazione rigorosa del procedimento a mosaico : una volta stabiliti alcuni suoni, li si applica in altri testi disponibili verificando se si ottiene una lettura verosimile e coerente, e si incorporano nel repertorio ottenuto i nuovi simboli via via riscontrati come verosimili, corrispondendo a nomi noti di cui si conosce la pronuncia e di cui si ignorava la scrittura di alcuni suoni. L’analisi di Champollion è completata, da questo momento, da diversi argomenti che si incatenano in un quadro d’insieme unitario ma nello stesso tempo ci permettono di riconoscere criteri e ragionamenti che abbiamo già incontrato, sempre sull’onda della stessa linea interpretativa : l’esistenza e la motivazione dell’uso di simboli grafici diversi per uno stesso suono, il valore di senso della posizione e del supporto del testo, l’esposizione ragionata dell’alfabeto ottenuto, la conferma con appiglio a dati storico-archeologici esterni, la particolarità del sistema semi-alfabetico, i criteri di conferma delle ipotesi formulate, gli usi sociali dei diversi metodi di scrittura. L’uso di simboli grafici diversi per uno stesso suono, già riscontrato alcune volte da Champollion, viene spiegato con la constatazione che la scrittura geroglifica non è un sistema stabile e invariabile nel tempo come i sistemi alfabetici ma usa, per il suono di un nome straniero (che sia una vocale, una consonante o una sillaba), anche un qualsiasi segno ideografico posto in prima posizione in una parola che contiene quel suono in sé. Si adotta il segno iniziale di tale parola per esprimere il suono contenuto in essa nella sua intera pronuncia o nel suo primo suono pronunciato. Ad esempio il segno grafico della bocca, in egiziano “ro”, è stato scelto per rappresentare in alcuni casi la consonante greca “R”. Non c’è alcun dubbio sul fatto che due simboli grafici siano omofoni in geroglifico poiché sono entrambi resi in Ieratico, scrittura stabilizzata in quanto “di stato”, con un solo e stesso carattere : questa abitudine riguarda solamente la scrittura geroglifica. Champollion porta numerosi esempi di questa doppia fissazione fonetica61 poiché conferma la correttezza delle sue ipotesi sulla natura sonora del sistema geroglifico, come ad esempio : |
61 Vedi J.-F. Champollion, op.cit., pp. 11-13. |
Quant au second des caractères hiéroglyphiques qui représentent le son “S” dans “ALEKSANTRS” (les deux sceptres horizontaux affrontés), lequel diffère essentiellement du trait recourbé qui, dans “PTOLOMES” représente aussi le son “S”, l’homophonie de ces deux signes est, nous osons le dire, incontestable ; car ces deux signes hiéroglyphiques sont rendus dans les textes hiératiques par un seul et même caractère.62 |
62 Ibid., p. 13. |
Procede a questo punto a mosaico, nelle pagine successive, identificando nuove lettere e nuovi caratteri omofoni per confronto con caratteri fonetici già noti, grazie a un confronto posizionale : i caratteri diversi finora ignoti sono posti nei nomi di cui è noto il resto della pronuncia esattamente là dove dovrebbero stare se fossero quel suono. È lo stesso criterio di confronto a mosaico concatenato utilizzato per i nomi delle città cretesi nella decifrazione del Lineare B. Procede quindi confrontando diversi nomi reperiti su diversi testi, ed esponendo via via un elenco di simboli omofoni, ad esempio presenti nei nomi Berenice, Cleopatra, Tolomeo, la cui costante differenza è in realtà l’applicazione sistematica di un criterio dipendente da una stessa regola. Interessa a Champollion confermare la bontà della sua interpretazione riscontrando regole, casi ed esempi sistematici che la confermano. La regola che ha identificato è simile a quella che i linguisti chiamano oggi “sistema a rebus” : Il meccanismo che avrebbe condotto a tale innovazione [far corrispondere ai segni grafici un suono anziché un significato] prima i Sumeri e poi (...) gli Egizi era quello estremamente semplice del rebus. Così si iniziò a impiegare per un oggetto non un pittogramma che lo identificasse direttamente ma quello usato per altri oggetti dal nome foneticamente similare. Questo avveniva nello stesso modo in cui, nei moderni giochi enigmistici dei rebus, il disegno di una testa e quello di un mento non devono evocare il volto di un uomo ma la parola “testa-mento”. Per i Sumeri il pittogramma della freccia, “ti”, indicava anche la vita che si pronunciava appunto “ti”.63 |
63 A. Bernardelli e R. Pellerey, Il parlato e lo scritto, Milano, Bompiani, 1999, p. 179. |
Anche per quanto riguarda la posizione dei cartigli e del testo da decifrare ritroviamo in Champollion il valore attribuito alla posizione del testo. I cartigli dei nomi dei sovrani appaiono presenti in testi esposti al grande pubblico in steli monumentali, lapidi, obelischi, portoni di palazzi, siti cioè destinati a esibire a tutti il testo e i nomi dei re per celebrarne ed esibirne la grandezza. Lo abbiamo visto nell’analisi delle lapidi di Persepoli, contribuendo a stabilirne il carattere dinastico e magnificante dei re, mentre le tavolette cretesi destinate invece ai soli archivisti non riportano nomi di re, poco rilevanti ai fini contabili dei palazzi, ma i nomi delle città in cui sono stoccate le derrate. Espone quindi di seguito, a partire da p. 16, fino a p. 33, l’elenco dei nomi presenti nei monumenti egizi, quali Alessandro, Tolomeo, Berenice, Cleopatra, Cesarione, l’appellativo Autocrator, Cesare, Tolomeo Epifanio, Tiberio, Domiziano, Traiano, Adriano, Sabina, Antonio, nonché i luoghi e le sedi su cui appaiono i relativi cartigli (obelischi, lapidi, edifici sacri etc.), per poi esporre in un colpo solo tutto l’alfabeto completo che sarà dato ora per noto, spiegandolo via via che incontra un segno nuovo. Indica cioè il valore fonetico di tutti i caratteri come dato acquisito senza attardarsi a spiegare il processo di scoperta del suono di ognuno, usando come fonti delle immagini riportate nella Lettre (lapidi, steli, iscrizioni, cartigli, monumenti) soprattutto la Description de l’Egypte. A un certo punto cioè il mosaico si interrompe e si espone l’elenco dei risultati raggiunti, ovvero quali siano i caratteri alfabetici e i loro suoni, senza attardarsi a narrare il processo di scoperta di ognuno, esattamente come hanno fatto gli scopritori a Creta e per il Cuneiforme, e usando come fonte visiva disegni e immagini opera di altri viaggiatori, come per il cuneiforme, e altri disegnatori e fotografi, come per il Lineare B a Pilos. Anche questo procedimento organizzativo del resoconto della decifrazione è dunque una condizione e un fattore comune a tutti i decifratori esaminati. |
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Ma fattore comune è anche la procedura del riferimento a fonti e a conoscenze esterne, cioè a conoscenze e dati storici, culturali, archeologici esterni al testo che costituiscono appiglio e conferma dell’ipotesi proposta. Caso esemplare è il nome dell’imperatrice Sabina, moglie di Adriano, il cui nome è apposto in geroglifici fonetici sull’Obelisco Barberini accanto a quello di Adriano. Che sia proprio Sabina, e non altra donna, è confermato, oltre che dalla consuetudine di porre i nomi dei due sposi sovrani uno accanto all’altro (dato per conoscenza storico-culturale) dal fatto che su una faccia dell’obelisco una serie di segni ideografici indica le idee “pareillement son épouse, grandement chérie”, un cartiglio riporta in geroglifico fonetico il nome “Sabina”, seguito dal determinativo ideografico del genere femminile, e il titolo in ideografico “déesse vivante, forte ou victorieuse”, mentre in un secondo cartiglio appare il titolo di “sebase” (Augusta) accompagnato dalla legenda ideografica “déesse toujours vivante”64. I due cartigli producono insieme l’espressione “Sabina sebase” (“l’Augusta Sabina”) che è giustappunto l’unica espressione riportata in tutte le medaglie greche coniate in Egitto della moglie di Adriano (inferenza per confronto con dato archeologico numismatico). Le medaglie in Greco, con l’appellativo usato abitualmente proprio per quella persona, confermano l’identificazione e allo stesso tempo confermano la lettura geroglifico-fonetica del nome e dell’appellativo abituale. |
64 J.-F. Champollion, op. cit., p. 32. |
Nelle pagine successive Champollion formula la tesi che il geroglifico sia una scrittura non esattamente alfabetica ma “semi-alfabetica” : “il est incontestable que ce système n’est point une écriture purement alphabétique, si l’on doit entendre en effet par alphabétique une écriture représentant rigoureusement, et chacun dans leur ordre propre, tous les sons et toutes les articulations qui forment les mots d’une langue”65. È invece un sistema che trascrive solo alcuni suoni della parola o del nome, secondo una regola : “Nous voyons en effet l’écriture phonétique égyptienne, pour représenter le mot César, d’après le génitif grec KAISAROS, se contenter souvent d’assembler les signes des consonnes K, S, R, S sans s’inquiéter de la diphtongue ni des deux voyelles que l’ortographe grècque exige impérieusement”. Si tratta infatti di un sistema che trascrive le consonanti e solo alcuni dittonghi e vocali, per la precisione le vocali lunghe, e tralascia le vocali brevi, che invece il Greco esige tutte, così da trascrivere lettere solo quanto basta per distinguere la parola, o nome, da un altro. Questo sistema prende il nome di “Semi-alfabetico” e funziona con un principio che semioticamente potremmo chiamare di riempimento a discrezione degli spazi bianchi secondo un pigro e rigoroso metodo di “cooperazione interpretativa”66 sufficiente a identificare una parola senza sforzo eccessivo : “On peut donc assimiler l’écriture phonétique égyptienne à celle des anciens Phéniciens, aux écritures dites hébraïque, syriacque, samaritaine, à l’arabe cufique, et à l’arabe actuel ; écritures que l’on pourrait nommer semi-alphabétiques, parce-qu’elles n’offrent, en quelque sorte, à l’œil que le squelette seul des mots, les consonnes et les voyelles longues, laissant à la science du lecteur le soin de suppléer les voyelles brèves”67. Ancora una volta, la spiegazione del sistema di scrittura procede per confronto con dati storico-culturali noti (il sistema alfabetico Greco) questa volta per differenza anziché per somiglianza. Più complesso risulta invece spiegare la scelta del simbolo grafico per i suoni, ma di fatto tale spiegazione è già stata data nelle pagine in cui trattava l’esistenza di due simboli per uno stesso suono : gli Egizi hanno utilizzato geroglifici che rappresentano oggetti fisici o idee astratte la cui parola inizia con la lettera che si intende rappresentare con quel simbolo. Ad esempio la consonante B è espressa variamente da un vaso apposito per bruciare gli incensi (“berbe”) o da un quadrupede, che potrebbe essere una mucca, un cavallo, una volpe (nella sua rappresentazione incerta nell’Obelisco Pamphilius disegnato da Kircher) tutti inizianti con “B” in Egiziano. Questo principio viene esemplificato con diversi esempi nelle pagine successive. Si potrebbe anzi, con il tempo, cercare tutti gli oggetti usati, con il loro nome, e mostrarne la corrispondenza con i simboli geroglifici fonetici : |
65 Ibid., p. 33. 66 Vedi U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979. 67 J.-F. Champollion, op. cit., p. 34. |
Si nous pouvions déterminer d’une manière certaine l’objet que figurent ou expriment tous les autres hiéroglyphes phonétiques compris dans notre alphabet, il ne me fût très-facile de montrer, dans les lexiques égyptiens-coptes, les noms de ces mêmes objets commençant par la consonne ou les voyelles que leur image représente dans le système hyéroglyphique phonétique.68 |
68 Ibid., p. 37. |
Questo principio permette di moltiplicare il numero dei simboli geroglifici fonetici senza nuocere alla chiarezza : Cette méthode, suivie pour la composition de l’alphabet phonétique égyptien, fait pressentir jusques à quel point on pouvait multiplier, si on l’eût voulu, le nombre des hieroglyphes phonétiques, sans nuire pour cela à la clarté de leur expression.69 |
69 Ivi. |
Questo metodo di scelta e uso di diversi simboli omofoni permette dunque una variabilità espressiva senza nuocere alla chiarezza lessicale, e la facilità e immediatezza di scelta e di resa a disposizione di un simbolo tra molti per un dato suono sembra essere la ragione funzionale del metodo. Resta ancora una considerazione che, nuovamente, avvicina Champollion ad altri decifratori. Che il sistema sia proprio questo è comprovato dalla coerenza e dalla continuità dei nomi scritti per cinque secoli e in luoghi diversi dell’Egitto. Non è solo una conferma data dal riscontro (dato) di coerenza, continuità nel tempo, regolarità, ma la certezza, già riscontrata in altri decifratori, che per secoli le comunità culturali abbiano utilizzato gli stessi principi testuali e le stesse formule ed espressioni tramandate per secoli senza variazioni, fatto che permette di effettuare ragionamenti e avanzare ipotesi basate su una fiducia di continuità indubbia di frasi, parole o formule tra testi distanti secoli tra loro intesi invece come coevi : Nous avons, en effet, le droit de tirer cette consequence, puisque cet alphabet est le résultat d’une série de noms propres alphabétiques, gravés sur les monuments de l’Égypte pendant un intervalle de près de cinq siècles, et sur divers points de cette contrée.70 |
70 Ivi. |
Tra le considerazioni conclusive della sua Lettre, Champollion osserva che tutti i sistemi di scrittura fonetica utilizzati in Egitto in realtà si collegano, si intrecciano, a volte derivano uno dall’altro, come il Demotico che deriva dallo Ieratico, e l’unica vera differenza è la forma dei segni usati. Alla fine, pur distinguendo tra ideografico sacerdotale, ideografico popolare e geroglifico puro, esistono di fatto due soli sistemi di scrittura fonetica : il geroglifico, utilizzato sui grandi monumenti esposti alla vista universale, e lo ieratico-demotico, usato sulla Stele di Rosetta e altre steli scrittorie, e su papiri, ovvero su documenti. La scrittura fonetica è stata insomma in uso in tutte le classi sociali, ed è stata diversamente usata secondo la posizione d’uso del testo : grandi monumenti oppure steli scrittorie e papiri. I criteri di distinzione sono l’uso e la posizione per usi diversi di un sistema fonetico alla fine identico : solo l’uso fa scegliere una scrittura rispetto all’altra — e la classe sociale cui si rivolge. |
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La scrittura fonetica è dunque in uso in tutte le classi sociali egizie — “L’écriture phonétique fut donc en usage dans toutes les classes de la nation égyptienne”71 — secondo i tipi di supporti destinati a usi sociali diversi, e i sistemi si adeguano ai cambiamenti storici. Quando ad esempio viene adottato l’alfabeto Greco, a causa della conversione al cristianesimo che implica l’adozione della scrittura dei Vangeli, resta l’uso in diversi testi Copti e Tebani di omettere le vocali brevi, come nel semi-alfabetico ideografico, e dunque sembrano catene di sole consonanti. Questo ragionamento è svolto da Champollion per un’ultima discussione : non si può datare l’adozione del sistema fonetico in Egitto da fatti o dati storici, ma si può certamente supporre che il sistema semi-alfabetico preceda largamente la dominazione Greca e Romana e sia un’invenzione originale Egizia, non dovuta all’influenza culturale di due grandi nazioni che si servivano da tempo di un alfabeto fonetico proprio. Si tratta di riconoscere l’originale genialità linguistica degli Egizi, che è il tributo di Champollion alla grandezza della storia e alla particolarità del genio Egizio, che lo ha sempre attratto e che ha motivato la sua passione per gli studi Egizi. Bastano due osservazioni a decidere la questione : se gli Egizi avessero inventato la loro scrittura fonetica a imitazione di quella Greca o Romana, avrebbero stabilito un numero di segni fonetici uguale a quello dell’alfabeto greco-latino ; ma i segni geroglifici-fonetici sono usati già in testi incisi che precedono di gran lunga l’arrivo dei Greci e dei Romani e sono già usati per trascrivere nomi di popoli, città, nazioni, sovrani antichi stranieri. A un certo punto, con la dominazione greco-Romana, gli Egizi hanno semplicemente trasferito ai nomi greci e romani un uso già esistente per tutti i nomi stranieri : |
71 Ibid., p. 39. |
J’ai la certitude que les mêmes signes hiéroglyphiques-phonétiques employés pour représenter les sons des noms propres grecs et romains, sont employés aussi dans des textes idéographiques gravés fort antérieurement à l’arrivée des Grecs en Egypte, et qu’ils ont déja, dans certaines occasions, la même valeur représentative des sons ou des articulations, que dans les cartouches gravés sous les Grecs et sous les Romains. (...) Je pense donc, monsieur, que l’écriture phonétique exista en Egypte à une époque fort reculée ; qu’elle était d’abord une partie nécessaire de l’écriture idéographique ; et qu’on l’employait aussi alors, comme on le fit après Cambyse, à transcrire (grossièrement il est vrai) dans les textes idéographiques, les noms propres des peuples, des pays, des villes, des souverains, et des individus étrangers dont il importait de rappeler le souvenir dans les textes historiques ou dans les inscriptions monumentales.72 |
72 Ibid., pp. 41-42. |
Ma non basta. Per Champollion il discorso si può addirittura rovesciare, per sostenere che la scrittura fonetica egizia è stata invece il modello a partire dal quale si sono formati gli alfabeti fonetici antichi a partire dalle nazioni vicine all’Egitto : J’oserai dire plus : il serait possible de retrouver dans cette ancienne écriture phonétique égyptienne, quelque imparfaite qu’elle soit en elle-même, sinon l’origine, du moins le modèle sur lequel peuvent avoir été calqués les alphabets des peuples de l’Asie occidentale, et surtout ceux des nations voisines de l’Égypte. Si vous remarquez en effet, monsieur, 1° que chaque lettre des alphabets que nous appelons hébreu, chaldaïque et syriaque, porte un nom significatif, noms fort anciens puisqu’ils furent presque tous transmis par les Phéniciens aux Grecs lorsque ceux-ci reçurent l’alphabet ; 2° que la première consonne ou voyelle de ces noms est aussi, dans ces alphabets, la voyelle ou la consonne que la lecture représente, vous reconnaîtrez avec moi, dans la création de ces alphabets, une analogie parfaite avec la création de l’alphabet phonétique égyptien : et si des alphabets de ce genre sont formés primitivement, comme tout le prouve, de signes représentants des idées ou objets, il est évident que nous devons reconnaître le peuple inventeur de cette méthode graphique, dans celui qui se servit spécialement d’une écriture idéographique ; c’est dire enfin, que l’Europe, qui reçut de la vieille Égypte les éléments des sciences et des arts, lui devrait encore l’inappréciable bienfait de l’écriture alphabétique.73 |
73 Ibid., pp. 42-43. |
È questo il grande omaggio di Champollion alla cultura che fin da ragazzo lo ha sedotto e affascinato : l’attribuzione all’Egitto del merito di aver trasmesso all’Europa le scienze e le arti, per una via storica ben diversa da quella dell’antica sapienza egizia magica e allegorica concepita dal mito Ermetico. |
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Bibliografia Bennett, Emmett L., A Minoan Linear B Index, New Haven, Yale University Press, 1953. Bernardelli, Andrea, e Roberto Pellerey, Il parlato e lo scritto, Milano, Bompiani, 1999. Bonfantini, Massimo, “Introduzione : Peirce e l’abduzione”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi, Milano, Bompiani, 1984. — e Giampaolo Proni, “To guess or not to guess ?”, in U. Eco e T. Sebeok, a cura di, Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani, 1983. Ceram, C.W. (Kurt Wilhelm Marek), Götter, Gräber und Gelehrte. Roman der Archäologie, Reinbek, Rohwolt, 1949 ; trad. it. Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, Torino, Einaudi, 1952. Chadwick, John, The decipherment of Linear B, Cambridge, Cambridge University Press, 1958 ; trad. it. Lineare B. L’enigma della scrittura micenea, Torino, Einaudi, 1959. — “Linear B”, in J.T. Hooker et al., Reading the Past, London, British Museum Press, 1990. Champollion, Jean-François, Lettre à M.Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques employés par les Égyptiens pour inscrire sur leurs monuments les titres, les noms et les surnoms des souverains Grecs et Romains, Paris, Didot, 1822. — “Observations sur l’obélisque égyptien de l’île de Philae”, Revue Encyclopédique, mars 1822. Eco, Umberto, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968. — Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975. — Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979. — “Corna, zoccoli, scarpe. Alcune ipotesi su tre tipi di abduzione”, in U. Eco e T. Sebeok (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani, 1983. — Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997. — Dall’albero al labirinto, Milano, Bompiani, 2007. Friedrich, Johannes, Entzifferung verschollener Schriften und Sprachen, Berlin, Springer, 1966 ; trad. it. Decifrazione delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1978. Kircher, Athanasius, Obeliscus Pamphilius, hoc est interpretatio nova et ucusque intentata Obelisci hieroglyphici, Roma, Grignanum, 1650. Kober, Alice, “‘Total’ in Minoan (Linear class B)”, Archly Orientalni, 17, 1949. Ried. in Symbolae Hrozny, I, 1952. Kripke, Saul, “Naming and Necessity”, in D. Davidson and G. Harman (eds.), Semantics of Natural Languages, Dordrecht, Reidel, 1972. Lacouture, Jean, Champollion, une vie de lumières, Paris, Grasset, 1988. Maddoli, Gianfranco (a cura di), La civiltà Micenea. Guida storica e critica, Bari, Laterza, 1977. Peirce, Charles Sanders, “Deduction, Induction and Hypothesis”, Popular Science Monthly, vol. 13, 1878, 2.619-644 ; trad. it. “Deduzione, induzione e ipotesi”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dei Collected Papers, Milano, Bompiani, 1984. — “On the Logic of Drawing History from Ancient Documents Especially from Testimonies”, 7.164-255, 1901 ; trad. it. “Storia e abduzione”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dei Collected Papers, Milano, Bompiani, 1984. — “Pragmatism and Abduction”, Harvard Lectures on Pragmatism, VII, 5.180-212, 1903 ; trad. .it. “Pragmatismo e abduzione”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dei Collected Papers, Milano, Bompiani, 1984. Pellerey, Roberto, “Decifrazione e interpretazione. Testi criptati dal tempo”, Versus, 130, 2020. Pisanty, Valentina, e Roberto Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004. Polanyi, Karl, “L’economia come processo istituzionale”, Economie primitive, arcaiche e moderne, 1980. — “Sulla trattazione comparata delle istituzioni economiche dell’Antichità, con esempi tratti da Atene, Micene e Alalakh”, Economie primitive, arcaiche e moderne, 1980. Pratt, Fletcher, Histoire de la cryptographie. Les écritures secrètes depuis l’antiquité jusqu’à nos jours, Paris, Payot, 1940. Proni, Giampaolo, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990. Walker, Christopher B.F., Cuneiform, London, British Museum Press, 1987 ; trad. it. La scrittura cuneiforme, Roma, ed. Salerno, 2008. |
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______________ 1 F. Pratt, Histoire de la cryptographie. Les écritures secrètes depuis l’antiquité jusqu’à nos jours, Paris, Payot, 1940, p. 21. 2 C.W. Ceram, Götter, Gräber und Gelehrte. Roman der Archäologie, Reinbek, Rohwolt, 1949 ; trad. it. Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, Torino, Einaudi, 1952, pp. 263-64. 3 F. Pratt, op. cit., p. 23. 4 C.W. Ceram, op. cit., trad. it., p. 264. 5 C.S. Peirce, “Deduction, Induction and Hypothesis”, Popular Science Monthly, vol. 13, 1878, pp. 470-482, 2.619-644 ; trad. it. “Deduzione, induzione e ipotesi”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi. Antologia dei Collected Papers, Milano, Bompiani, 1984, pp. 199-220. Vedi anche C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History from Ancient Documents Especially from Testimonies”, 7.164-255, 1901 ; trad. it. “Storia e abduzione”, in C.S. Peirce, op. cit., pp. 223-229. 6 C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History...”, op. cit. 7 C.S. Peirce, “Deduction, Induction and Hypothesis”, art. cit. 8 G. Proni, Introduzione a Peirce, Milano, Bompiani, 1990 ; M. Bonfantini, “Introduzione : Peirce e l’abduzione”, in C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi, Milano, Bompiani, 1984 ; M. Bonfantini e G. Proni, “To guess or not to guess ?”, in U. Eco e T. Sebeok (a cura di), Il segno dei tre. Holmes, Dupin, Peirce, Milano, Bompiani, 1983 ; U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe. Alcune ipotesi su tre tipi di abduzione”, in Il segno dei tre, op. cit. ; V. Pisanty e R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004. 9 C.S. Peirce, “On the Logic of Drawing History...”, art cit.; trad. it. “Storia e abduzione”, op. cit., p. 272. 10 C.S. Peirce, ibid., p. 273. 11 C.S. Peirce, ibid., pp. 280-281. 12 Vedi R. Pellerey, “Decifrazione e interpretazione. Testi criptati dal tempo”, Versus, 130, 2020. 13 J. Friedrich, Entzifferung verschollener Schriften und Sprachen, Berlin, Springer, 1966 ; trad. it. Decifrazione delle scritture scomparse, Firenze, Sansoni, 1973, p. 67. 14 Vedi C.W. Ceram, Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia, op. cit., p. 273. 15 Vedi S. Kripke, “Naming and Necessity”, in D. Davidson and G. Harman (eds.), Semantics of Natural Languages, Dordrecht, Reidel, 1972. 16 J. Chadwick, The decipherment of Linear B, Cambridge, Cambridge University Press, 1958 ; trad. it. Lineare B. L’enigma della scrittura micenea, Torino, Einaudi, 1959, pp. 50-54. 17 Vedi G. Maddoli (a cura di), La civiltà Micenea. Guida storica e critica, Bari, Laterza, 1977 ; K. Polanyi, “L’economia come processo istituzionale” e “Sulla trattazione comparata delle istituzioni economiche dell’Antichità, con esempi tratti da Atene, Micene e Alalakh”, in Economie primitive, arcaiche e moderne, Torino, Einaudi, 1980, pp. 135-169 e 291-317. 18 J. Chadwick, Lineare B. L’enigma..., op. cit., p. 25. 19 Vedi J. Chadwick, ibid., p. 62. 20 Ibid. 21 Ibid., p. 62. 22 Ad es. in U. Eco, La struttura assente, Milano, Bompiani, 1968, pp. 107-188 ; Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975, pp. 256-284 ; Kant e l’ornitorinco, Milano, Bompiani, 1997, pp. 43-101 e 295-348 ; Dall’albero al labirinto, Milano, Bompiani, 2007. 23 Vedi J. Chadwick, op. cit., pp. 62-63. 24 Ibid., p. 51. 25 J. Chadwick, op.cit., p. 51. 26 E.L. Bennett, A Minoan Linear B Index, New Haven, Yale University Press, 1953. 27 J. Chadwick, op. cit., p. 72. 28 A. Kober, “‘Total’ in Minoan (Linear class B)”, Archly Orientalni, 17, 1949, pp. 386-398. Ried. in Symbolae Hrozny, I, 1952, pp. 386-398. 29 J. Chadwick, op. cit., p. 51. 30 Ibid., p. 76. 31 J. Chadwick, ibid., p. 75. 32 Ibid., pp. 76-79. 33 Ibid., p. 31. 34 Ibid., pp. 32-33. 35 Ibid., p. 34. 36 Ibid., p. 49. 37 Ivi. 38 C.S. Peirce, “Storia e abduzione”, op. cit., p. 272. 39 Ibid., p. 273. 40 J. Chadwick, op. cit., p. 87. 41 U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe...”, art cit., p. 245. 42 C.S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi..., op. cit., p. 180. 43 J. Chadwick, op. cit., p. 87. 44 Ibid. 45 U. Eco, “Corna, zoccoli, scarpe...”, art. cit., p. 245. 46 J. Chadwick, op. cit., p. 90. 47 Ibid., p. 94. 48 Ibid., p. 113. 49 Ibid., p. 115. 50 C.S. Peirce,“On the Logic of Drawing History...”, p. 245. 51 Ibid., p. 281. 52 Ivi. 53 J.-F. Champollion, Lettre à M.Dacier relative à l’alphabet des hiéroglyphes phonétiques employés par les Égyptiens pour inscrire sur leurs monuments les titres, les noms et les surnoms des souverains Grecs et Romains, Paris, Didot, 1822, p. 1. 54 Ibid., p. 3. 55 Ibid., p. 6. 56 Ibid., p. 7. 57 Ivi. 58 Ibid., p. 9. 59 Ivi. 60 J.-F. Champollion, op. cit., p. 10. 61 Vedi J.-F. Champollion, op.cit., pp. 11-13. 62 Ibid., p. 13. 63 A. Bernardelli e R. Pellerey, Il parlato e lo scritto, Milano, Bompiani, 1999, p. 179. 64 J.-F. Champollion, op. cit., p. 32. 65 Ibid., p. 33. 66 Vedi U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979. 67 J.-F. Champollion, op. cit., p. 34. 68 Ibid., p. 37. 69 Ivi. 70 Ivi. 71 Ibid., p. 39. 72 Ibid., pp. 41-42. 73 Ibid., pp. 42-43. Résumé : L’article propose un modèle général du travail du déchiffreur d’écritures disparues et de langues oubliées, à partir du déchiffrement de l’écriture Cunéiforme par Grotefend en 1802 et du déchiffrement du Linéaire B crétois par Evans, Blegen, Ventris et Chadwick entre 1901 et 1953, ainsi que du cas antérieur de Champollion, dont les procédures techniques et opérationnelles n’ont jamais été examinées et décrites. Ce qui est examiné, ce sont les procédures avec lesquelles le déchiffreur opère, et que la sémiotique inférentielle de Peirce aide de manière fondamentale à décrire et à comprendre. La technique de déchiffrement consiste en effet en un processus artisanal fondé sur le hasard, le pari et les intuitions du déchiffreur, qui imagine des solutions en utilisant le peu de connaissances certaines dont il dispose, guidé cependant par un vaste ensemble de connaissances techniques et spécialisées. Resumo : O artigo propõe um modelo geral do trabalho do decifrador de escritos desaparecidos e línguas esquecidas, a partir da decifração da escrita cuneiforme por Grotefend em 1802 e da decifração do “Linear B” de Creta por Evans, Blegen, Ventris e Chadwick entre 1901 e 1953 assim que do caso de Champollion, cujos procedimentos técnicos e operacionais nunca foram examinados e descritos. O que se examina são os procedimentos operacionais com os quais os decifradores trabalharam, e que a semiótica inferencial de Peirce ajuda de forma fundamental a descrever e compreender. De fato, a técnica de decifração é uma processo artesanal baseado no acaso, na apostas e nas intuições do decifrador, que imagina soluções utilizando o pouco conhecimento certo que tem à sua disposição, guiado no entanto por um vasto conjunto de saberes técnicos e especializados diferenciados. Abstract : The article proposes a general model of the work of the decipherer of disappeared writings and forgotten languages, starting from the decipherment of the Cuneiform script by Grotefend in 1802 and of the “Linear B” of Crete by Evans, Blegen, Ventris and Chadwick between 1901 and 1953, and then turning to the case of Champollion, whose operational procedures have never been examined and described. What is examined are the procedures with which the decipherer works, which Peirce’s inferential semiotics helps in a fundamental way to describe and understand, since the deciphering technique is an artisanal process based on chance and the intuitions of the decipherer, who invents solutions using the little certain knowledge at his disposal, guided however by a vast set of differentiated technical and specialized knowledge. Riassunto : Nell’articolo viene proposto un modello generale del lavoro del decifratore di scritture scomparse e di lingue dimenticate partendo dai casi della decifrazione della scrittura Cuneiforme a opera di Grotefend nel 1802 e della decifrazione del “Lineare B” di Creta a opera di Evans, Blegen, Ventris e Chadwick tra 1901 e 1953, seguiti dal caso di Champollion, di cui non sono mai state esaminate e descritte le procedure tecniche e operative. Ciò che viene esaminato sono le procedure operative con cui lavora il decifratore, che sono risultate pressochè identiche in questi tre celebri casi e che la semiotica inferenziale di Peirce aiuta in modo fondamentale a descrivere e comprendere. La decifrazione di fatto è un procedimento artigianale basato sull’azzardo e le intuizioni del decifratore, che immagina soluzioni utilizzando le poche conoscenze certe a sua disposizione guidato però da un vasto corredo di saperi tecnici e specializzati differenziati. Mots clefs : abduction, déchiffrement, écriture cunéiforme, hiéroglyphe, inférence, intuition, Linéaire B. Auteurs cités : Jean-François Champollion, Fletcher Pratt, C.W. Ceram, Charles Sanders Peirce, Umberto Eco, Andrea Bernardelli, Massimo Bonfantini, John Chadwick, Johannes Friedrich, Athanasius Kircher, Alice Kober, Saul Kripke, Gianfranco Maddoli, Valentina Pisanty, Karl Polanyi, Giampaolo Proni, Christopher Walker, Emmett Bennett. Plan : 1. Il lavoro della decifrazione : la scrittura cuneiforme 2. Un modello generale del lavoro del decifratore 3. Il suono e la voce : la lettura del testo |
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Recebido em 23/09/2024. / Aceito em 17/12/2024. |