Bonnes feuilles

Inversioni. Senso dell’insensato

Giulia Ceriani
Milan, Mimesis, 2024, 122 p.

 

Publié en ligne le 31 décembre 2024
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2024n8.70101
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Avertissement
Au risque du non sens

There is no quality in this world
that is not what it is merely by contrast.
H. Melville, Moby Dick, ch. 11.

Décembre 2023. A Buenos Aires, Ubu (l’homme à la tronçonneuse) vient d’être porté sur le trône présidentiel de la Casa Rosada : c’est la dernière en date d’une longue série de victoires politiques de l’obscurantisme. Ici et là, presque partout, nous voyons ainsi se profiler un nouveau monde où, moyennant l’inversion délibérée de toutes les valeurs, l’insensé sera bientôt devenu le maître mot, le gage de toute légitimité.

Dans un pareil contexte, un livre dont le titre provocateur prend à première vue le contre-pied de toute raison en prétendant dévoiler le « sens de l’insensé », un tel livre appelle plutôt, nous semble-t-il, un bref avertissement qu’une longue préface. Prévenons donc — et rassurons — le lecteur : dans ce qui suit l’objectif n’est en aucune manière d’apporter une caution savante à la politique de l’insensé, c’est-à-dire du pire. Mais il ne s’agira pas non plus, en sens inverse, d’une critique du déferlement d’absurdités qui sustente l’actuelle vague populiste.

Le propos est tout autre. Il s’agit d’une démarche rationnelle et analytique dont l’audace consiste à se focaliser sur la marge ténue qui sépare le sens de ce qui en est la négation. Car en ce monde il n’est rien qui ne soit ce qu’il est, si ce n’est par contraste : éminent structuraliste avant la lettre, Herman Melville le constatait déjà : « Nothing exists in itself ». Il en va à cet égard de la signification comme de toute chose, raison pour laquelle la sémiotique, théorie des conditions d’émergence et de saisie du sens, est du même coup aussi, par construction, une théorie du non sens. Giulia Ceriani veut comprendre la logique qui les lie.

Or, pour contraster avec la présence de la signification, il n’y a pas seulement une mais en réalité deux formes de négativité nettement différentes. D’un côté, c’est l’insignifiance, une absence de signification ressentie comme un manque, une lacune, un vide : « Ce que vous êtes en train de me dire n’a rien d’aberrant mais ne veut pas dire grand chose (ou même ne veut rien dire du tout) ». Et de l’autre, c’est précisément l’insensé. Il ne s’agit plus alors simplement de la frustration produite par un manque qui pourrait éventuellement être comblé mais de la rencontre plus troublante, pathétique parfois, avec une présence tangible, bien que négative : celle du non-sens, de l’« absurde » sous n’importe laquelle des formes qu’il peut revêtir — accidents, petits ou grands, cataclysmes imparables, et bien sûr aussi décisions humaines dictées par la toute puissance de la déraison.

Jusqu’à présent, selon une formule célèbre de Merleau-Ponty, nous nous savions « condamnés au sens », ou plutôt, préciseront par la suite les sémioticiens, condamnés à construire le sens — à le construire envers et contre tout, sur un fond d’insignifiance ou de non-sens, arrière-plan présupposé, toujours présent, mais rarement scruté de près. C’est justement cet arrière-plan, cette négativité d’avant le sens, que notre sémioticienne prend ici pour objet afin d’en analyser les formes, la dynamique et les effets. Ce faisant, elle prend délibérément ses distances par rapport aux habitudes de la tribu, dont l’attention se concentre presque exclusivement sur l’analyse du sens déjà construit.

Mais par là-même, en focalisant l’attention sur les moments de trouble du sens qui précèdent l’émergence de significations articulées, la démarche risquée dont procède ce livre rejoint et prolonge certaines des préoccupations les plus profondes de deux parmi les grands esprits qui nous inspirent. Tout d’abord, avec la problématique de l’« explosion », c’est Juri Lotman qui nous a appris à envisager les accidents dans l’ordre de la pensée non pas exclusivement comme l’irruption du non sens mais aussi comme la condition d’un renouveau des principes d’intelligibilité en vigueur dans une société. Et chez Greimas, l’idée d’accidents heuristiquement heureux va dans la même direction, tout comme celle de l’« éblouissement » face à l’inintelligible, accident potentiellement révélateur d’un « outre-sens ».

Cette double leçon a été entendue : qu’il faille quelquefois (ou souvent ? peut-être même toujours ?) passer par l’insensé pour dépasser l’insignifiance et accéder à la signification — qui, faut-il le souligner ? reste ici la première de toutes les valeurs —, c’est ce que ce livre courageux autant qu’efficace nous montre lui aussi, par d’autres voies.


Eric Landowski

 

Introduzione : ridare senso all’insensato

Quasi una resa. Un gesto di abbandono, di rinuncia, di impotenza senza condizioni. La negazione del senso è un giudizio senza appello, che condanna all’esclusione chi / cosa ne è stato l’oggetto. Se è senza senso non mi ci confronto. Se è senza senso, semplicemente non è.

Eppure. Più d’una sono le ragioni che ci portano a considerare l’insensatezza come uno dei concetti che chiedono maggiore attenzione in questo nostro tempo, e dicono che il senso negato è del tutto attuale. Dunque esiste, al contrario. È occasione di incontro, di commento, di scelta, perfino di conforto. È opzione politica e economica e affettiva, è decisione di non sottostare a una razionalità prevedibile come anche, certo, incapacità di ratio e di selezione. È negatività e humor, kitsch e ribellione.

Abbiamo (insensatamente?) intenzione di approfondire la questione.

Partiamo dalla struttura linguistica dell’insensato. Che è quella di una negazione originata da un valore di verità contrario, in grado di rendere conto della presenza per assenza. Non significhi, dunque da qualche parte sei, se è vero che esiste un’esistenza per mera presupposizione, base di ogni ragionamento sia pur vagamente semiotico. Una negazione neutra, descrittiva (cfr. Bertrand 2014), che si oppone alla negazione polemica capace di esprimere un rigetto. Un giudizio che porta alla marginalizzazione e all’esclusione, fuori dai parametri assestati o quanto meno personali, di natura etica, estetica, aletica.

A sedurci maggiormente, dell’insensato, è proprio la sua potenza translinguistica, quella che lo porta a interessare le regioni oscure e potenti di forme di vita come la rivolta, la resistenza, l’ostracismo, e via via alleggerendo fino all’insolenza e all’impertinenza. Passività aggressiva per il solo fatto di opporsi, di creare un’alternativa che delimita i contorni del senso, e del suo campo semantico chiude le frontiere.

L’insensato ha braccia conserte. Non ascolta. È statico: interrompe con la sua cocciutaggine una sequenza passionale (indifferenza ?), logica (contraddizione ?), assiologica (revisionismo ?). Si sottrae. Oppone al senso comune un percorso privato e sfuggente, che impedisce di ricondurre a una ratio corrente e installa le basi di un codice criptato: come altrimenti leggere le ripetizioni infinite e ridondanti di un media importante come Tik Tok, dove la tendenza si costruisce attraverso il loop e il loop rilancia ad libitum quanto di meno “sensato” potremmo nominare. Ancheggiamenti, vecchietti che surfano, cagnolini parlanti, e altre amenità. Utile, eccome. Ad edificare la forma espressiva solo apparentemente opaca che protegge una generazione, la ben nota Gen Z, dalle incursioni più o meno rapinose di chi la guarda come un bacino commercialmente molto promettente; lieto di infilarsi tra le pieghe della sua non casuale balbuzie, protettiva e chiusa ad altre anagrafiche.

 

Ci viene allora il sospetto che l’insensato sia molto di più di un gesto casuale che condanna all’insignificanza. La usa, se mai, per investire di un senso non manifesto, che irrompe in seconda battuta e solo per chi ha voglia e mezzi per coglierne la portata. Non mancanza di criterio. Ma criterio rizomatico che cerca addentellati là dove non è previsto, nella consapevolezza di una rottura della continuità o nell’inconsapevolezza di una rinuncia al grande gioco e nella scelta morbida di una sottrazione. Profonda è di fatto la sfumatura tra non senso, insignificanza e insensato, quasi una scala del discrimine, della presa di distanza tra quanto è incisivo, proattivo, pronto per essere decodificato.

Il non senso è ramificazione. Parassitismo, forse. Si nutre di imprecisioni, inversioni, incongruenze, ripetizioni, tutta una serie di inciampi che impediscono al significato di costruirsi come linearità, e usa, là dove possibile, il contraddittorio dei diversi canali, visivo e verbale e sonoro, per stabilire un percorso autoriflessivo che non manca di produrre attenzione, spaesamento, irritazione talvolta. Il non senso disorienta, è lista di Queneau e fuga joyciana, è opacità moltiplicativa come cancellazione, è troppo e niente.

 

È, certamente, sottrazione della ratio facilis figurativa, dove diventa impossibile ricondurre il pensiero a una matrice già nota, cose, fiori, amori che si sono già visti, e invece l’astrazione ci obbliga a una ratio difficilis, che rinuncia all’analogia e opta per l’astrazione concettuale, ma anche, perché no, per l’abbandono. Il non senso non impone certo la decodifica, apre a un lettore/ a un interlocutore, libero e distante, a una partita di seduzione che non è mai vinta, o quanto meno non a priori.

Il non senso è imprevedibilità. A partire da quella negazione originaria che lo marca linguisticamente. È vertigine. Improvvisa possibili perdite di equilibrio tra quanto ammesso dal senso comune e quanto è invece a disposizione per intraprendere nuovi percorsi.

Altro è l’insignificanza. Là dove il non senso lascia intravedere le dinamiche di strade diverse e potenzialmente rivoluzionarie, capaci comunque di acquisire una propria autonomia, indecidibile nell’equilibrio precario tra una rivoluzione categoriale e un assecondamento congiunturale, l’insignificanza è senza appello. È un giudizio assolto, richiama la negatività che esclude, espelle, toglie legittimità all’esistenza. L’insignificante sembra non avere, di fatto, diritto di esistere. Cancella le relazioni possibili, condanna all’anonimato, è cibo sciapo e apparenza sottomessa, irrilevanza e spreco. L’insignificanza è cancellazione, incapacità di rimbalzare la palla del giudizio sul fronte opposto, come invece il non senso è bravissimo a fare. Rinviando all’assurdo, al paradosso, alla citazione eventualmente. Invece l’insignificanza è un neutro mortale, che obbliga alla rinuncia.

L’insensato, dal canto suo, ci sfida. E ci tenta. Perché è una battuta d’arresto nella corsa alla congiunzione con il significato, è una pausa sulla quale è dato edificare un nuovo progetto, un’isola e un modo del respiro. Insensato è l’ozio, che decide che lo sforzo può attendere. Insensata è la fretta, la fame eccessiva, l’abulia, la testardaggine : di fatto, tutto quanto rappresenta una forma di eccesso, di incaponimento che si potrebbe evitare. Insensata è una negatività che prelude al riconoscimento di un altrove positivo. Ma anche, la scelta di un silenzio, di un’opacità che può essere provvisoria e vale al rilancio su un fronte diverso.

 

In quanto negazione del senso, l’insensato sfiora alcune modalità della negazione che ne determinano la folgorante attualità e il riaffiorare in contesti sociali, culturali e intertestuali, particolarmente ricorrente.

Pensiamo al nichilismo che annienta l’investimento emozionale e appiattisce la proposta di senso, semplicemente cancellandola. O meglio, cancellandone la legittimità di esistenza. Pensiamo alla sua portata distruttiva, ancorché orientata alla fondazione di nuovi valori. Il nichilismo attivo di matrice nietzschiana si investe a smantellare la consuetudine sociale per costruire, dal caos, il Superuomo: eredità colta di un gesto in realtà costruttivo, fondativo, ben oltre le macerie e l’iperbole linguistica con cui seppellisce il senso comune.

Solo il caos può partorire una stella danzante, scrive Nietzsche in Così parlò Zarathustra (1883-85). Ma il caos è per l’appunto il privilegio dell’esistenza al di là della demolizione, la forza propositiva della negatività pura, quel non senso che ha una valenza del tutto partitiva, felicemente patemica.


Milano, giugno 2024

 

Postscriptum

L’insensatezza del senso non è un paradosso. Piuttosto un ossimoro, di quelli che suggeriscono di rivedere una categoria concettuale, e prestano lenti nuove allo sguardo di chi osserva il cambiamento. Il rovesciamento valoriale del nostro presente è sotto gli occhi di tutti ma a nulla vale giudicarlo : capirlo, piuttosto, e lasciare allo sguardo semiotico la facoltà di scavarne i meccanismi, senza pregiudizi.

Si privilegia l’incongruenza ? La gratuità ? Lo svuotamento ? La leggerezza là dove governavano leggi dense, prudenze, competenze ora non più riconosciute. L’idea è di provare a capire quali nuovi effetti di senso si stanno agitando e se la semi-simbolica alla radice di ogni significazione non ci stia raccontando, attraverso la fragilità patente degli indizi presenti, l’avvento di una società nuova piuttosto che la débâcle di quella appena trascorsa.

Le trasformazioni sono repentine e silenziose. E la semiotica è una scienza laica, dopotutto.


gc, giugno 2024


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Indice

 

Introduzione

Distrarre. Alternative al senso

1. Vuoto

2. Aritmia

3. Neutralizzazione

Rovesciare. L’emergenza del senso nuovo

4. Smaterializzazione

5. Usura

6. Ritardo

Depistare. La significanza insignificante

7. Innovazione

8. Divenire

9. Incertezza

 

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Recebido em 10/12/2023. / Aceito em 10/10/2024.