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Dossier — Marketing : nouvelles tendances stratégiques
Panorami al futuro : Alice Giannitrapani
Publié en ligne le 10 juillet 2024
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A leggere i dizionari, la tendenza è un orientamento, una disposizione, un’attitudine, un’inclinazione di un soggetto individuale o collettivo, ma anche di un oggetto, di uno spazio. È cioè un momento aurorale in cui si coglie un “andare verso qualcosa”, una direzionalità, senza tuttavia riuscire ancora a identificare un punto di arrivo. La tendenza è quindi — tendenzialmente — incoativa, implica un osservatore che intravede un senso che non è però detto sia quello che effettivamente il corso degli eventi intraprenderà. Essa può cioè sempre essere messa in discussione, venire disconfermata, andare in contro-tendenza. In Semiotica delle passioni, Greimas e Fontanille la definiscono come un “riconoscimento, da parte di un osservatore esterno, di una specializzazione della vita affettiva del soggetto, sia quanto agli oggetti sia quanto alle modalizzazioni”, ovvero come l’individuazione di un orientamento che rende in qualche modo prevedibile il comportamento del soggetto appassionato1. La tendenza implica sempre dunque da un lato un osservatore di un processo in divenire, da un altro la proiezione verso un futuro possibile, e più o meno certo, verso cui idealmente ci si rivolge. Ne consegue che il trend è un oggetto costruito a partire da un punto di vista, per forza di cose situato culturalmente, e in quanto tale variabile in relazione al programma di descrizione che punta a definirlo. E nel momento in cui viene osservato, esso allo stesso tempo realizza come soggetto l’osservatore che lo istituisce. Sulla scia di queste iniziali considerazioni, ci proponiamo in questo contributo di guardare — e quindi di costruire — alcune tendenze del mondo dei consumi, a partire dall’indagine degli spazi espositivi della sede milanese di Fondazione Prada. |
1 A.J. Greimas e J. Fontanille, Semiotica delle passioni (1991), F. Marsciani e I. Pezzini (a cura di), Milano, Bompiani, 1996, p. 78. |
1. Tendenza 1 : condensazione dei consumi Da tempo i brand, soprattutto quelli di alta moda, hanno allargato il proprio spettro d’azione, oltrepassando il settore merceologico di origine, per legarsi a vario titolo al mondo dell’arte, sdoganando altresì le prime perplessità e le innumerevoli polemiche legate a una supposta ingiusta artificazione della moda o a una altrettanto presunta mercificazione dell’arte. Se nel 2000 una mostra temporanea dei capi di Armani al Guggenheim New York e nel 2007 una esibizione dedicata a Valentino all’Ara Pacis2 hanno suscitato non poco scalpore, sempre più spesso nell’ultimo ventennio l’ibridazione discorsiva arte/moda è divenuta, superando dunque l’incoatività insita nella tendenza, quasi regola consolidata : è così che Bulgari ha esposto a Palazzo Venezia o Hermes all’Ara Pacis. E potremmo continuare. Sul fronte degli spazi commerciali sono esplose vetrine e arredamenti d’interni sempre più sofisticati, temporary store spettacolari e collaborazioni con artisti contemporanei chiamati a firmare collezioni o a esporre opere all’interno dei negozi. Se da un lato il museo, ospitando prodotti commerciali si è fatto negozio, dall’altro il negozio, esponendo opere d’arte, è divenuto museo. Non si tratta anche in questo caso di novità assolute, ma di processi progressivamente diffusisi a partire almeno dagli anni 80 del secolo scorso (si pensi allo storico negozio di Fiorucci a San Babila, costellato di opere di Keith Haring). |
2 I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Roma-Bari, Laterza, 2011. |
Sul fronte delle sedi espositive, alcune griffe hanno inaugurato propri spazi dedicati all’arte — per lo più contemporanea — come nel caso di Fondazione Louis Vuitton, Fondazione Cartier, gruppo Kering e, caso di cui ci occuperemo, Fondazione Prada. La griffe ha così inglobato in sé il ruolo tematico di moderno mecenate in cui far convergere gli ideali dei primi musei — mettere a disposizione di un vasto pubblico opere d’arte — e lo spirito del collezionismo — antecedente del museo : mostrare opere e artisti (dimensione transitiva) significa anche esibire una propria competenza estetica (dimensione riflessiva)3. Se d’altro canto la moda, al pari dell’arte, è un linguaggio che esprime sistemi di gusto e assiologie, è chiaro che tale omologia rende pertinente l’incessante traduzione dall’una all’altra. |
3 S. Zunzunegui, Metamorfosi dello sguardo. Museo e semiotica (2003), Roma, Nuova Cultura, 2011. |
E, in fondo, se ci pensiamo l’ibridismo (tra arte e moda, nel nostro caso), non è l’eccezione, ma la regola che consente di ribadire, attraverso deformazioni coerenti, il nocciolo duro di un’identità. Un po’ come quando una trasmissione di informazione introduce elementi di intrattenimento al suo interno : è proprio il piccolo divertissement (in secondo piano) a fare da contrappunto e a ribadire, per contraccolpo, la natura informativa del programma in questione (in primo piano)4. Così, l’apertura di musei o la collaborazione con artisti da un lato consente di tradurre valori — estetici, etici etc. — dall’abbigliamento al quadro, dall’altro non fa che ribadire il core business dell’azienda, rispetto al quale la sede espositiva, con i suoi programmi, si definisce come traduzione di un certo modo di concepire il ruolo del brand, pur non disperdendone i confini. |
4 È lo stesso meccanismo sottolineato da Floch (Identità visive (1995), Milano, FrancoAngeli, 1997) per il total look di Chanel, in cui il contrappunto barocco non fa che esaltare la classicità della silhouette. |
In questo quadro, nei primi anni 90 del Novecento, nasce, per iniziativa di Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Fondazione Prada, con l’obiettivo di promuovere la cultura grazie a mostre ed eventi legati per lo più all’arte contemporanea. Le attività della Fondazione, insieme ad altre iniziative portate avanti da Prada – si pensi, ad esempio, al progetto velico legato a Luna Rossa – sono parte di una sofisticata strategia di marca: esse da un lato ribadiscono l’universo valoriale e il posizionamento del brand (raffinato ed elegante, attento alla cultura e sostenibile), dall’altro lo arricchiscono e lo rilanciano (attivando per esempio diversi campi discorsivi che vanno appunto dall’arte allo sport). Mosse che possono essere inquadrate come quelle che Ceriani definisce tendenze “intermedie”, quelle che rappresentano, cioè, “il non facile patteggiamento tra quanto, del presente, si va a rinnovare in una luce nuova, e quanto, dell’innovazione più avanzata, si va traducendo in forme discorsive, e propositive, più vulgate e dunque facilmente consensuali”5. |
5 G. Ceriani, Hot spots e sfere di cristallo (2007), Milano, FrancoAngeli, p. 18. |
A partire dal 2011, Fondazione Prada apre una sede a Venezia, nello storico palazzo di Ca’ Corner della Regina, due sedi a Milano (Largo Isarco e galleria Vittorio Emanuele) e poi anche a Shanghai, Tokyo e New York, configurandosi come polo diffuso e coordinando mostre che talvolta contemporaneamente si ramificano in diverse città del mondo. Quella di Largo Isarco, di cui qui ci occuperemo, è la sede più rappresentativa, tanto per ampiezza degli spazi espositivi (19.000 metri quadrati), tanto per la spettacolarità del progetto architettonico, quanto per l’impatto mediatico. Salutato al momento dell’apertura come uno spazio in grado di rigenerare il suo intorno, dunque come spazio di tendenza ed emergente, esso ha in effetti funzionato da volano, innescando, come vedremo, un’altra serie di trasformazioni a catena che hanno e stanno ridefinendo le zone circostanti. Più che preconizzare il futuro come fanno i profeti, che giocano sul lungo periodo e tra alternative ugualmente probabili, come già rilevavano nel 1989 Fabbri e Calabrese6, i media hanno contribuito alla costruzione della realtà, secondo il classico principio di una profezia che si autoavvera: ripetendo all’inverosimile che quel progetto avrebbe modificato il quartiere, i media hanno di fatto contribuito a innescare tale cambiamento. |
6 G. Ceriani, Hot spots e sfere di cristallo (2007), Milano, FrancoAngeli, p. 18. |
2. Tendenza 2 : rifunzionalizzazione degli spazi Ma facciamo un passo indietro. Nel 2015 vengono inaugurati gli spazi della Fondazione Prada a Largo Isarco, in seguito a un progetto di restauro affidato allo studio OMA, guidato da Rem Koolhaas, con cui Prada aveva già collaborato in occasione di altre iniziative e per la realizzazione di alcuni negozi. Il progetto ha previsto il recupero degli spazi di un’ex-distilleria dei primi del Novecento, cui sono stati affiancati tre nuovi edifici : Cinema, Podium e Torre (inaugurata successivamente, nel 2018). Il processo di rifunzionalizzazione di architetture non è certo nuovo, anzi è stato ed è la regola : si pensi ai templi greci che diventano basiliche cattoliche o ai resti romani utilizzati per costruire palazzi. Gli stessi musei tradizionali sono spesso stati ubicati in antichi palazzi nobiliari e di recente i musei moderni hanno talvolta eletto a loro sede fabbriche, magazzini e simili7 (si pensi alla Tate Modern, all’Hangar-Bicocca, a Punta della Dogana a Venezia, al Macro di Roma, alla Città della scienza di Napoli, alla Centrale Montemartini a Roma8). La moderna rifunzionalizzazione degli spazi si motiva con l’esigenza di recupero, centralizzazione e riqualificazione di aree periferiche: zone industriali e, in quanto tali, ai margini delle città vengono idealmente destinate a divenire luoghi nevralgici per lo sviluppo culturale. Se sicuramente l’ampiezza degli spazi industriali li rende adatti a ospitare opere e installazioni di grandi dimensioni, non è soltanto l’aspetto pratico ad aver contribuito alla diffusione di un tal genere di dinamiche. C’entra anche in parte la valorizzazione del riuso e del riciclo, la logica ecologica che sposa la sensibilità contemporanea. |
7 Alcune delle riflessioni contenute in questo paragrafo sono state elaborate, insieme a Carlo Campailla, in occasione dell’incontro “Spazio al tempo. Eredità museali” (ottobre 2023), nell’ambito del ciclo di seminari Ereditare. Semiotica della trasmissione, curato da Francesco Mangiapane e Francesco Mazzucchelli. 8 Si vedano, in particolare, Pezzini (2011), sul caso di Punta della Dogana e Fondazione Vedova a Venezia, e Hammad (2006) per l’analisi della romana Centrale Montemartini. |
Se dal punto di vista funzionale conferire una nuova destinazione d’uso a uno stabilimento pone interrogativi su cosa fare con porzioni di spazi urbani non più utilizzate, dal punto di vista semiotico emergono questioni relative alla risemantizzazione, con il disinvestimento e il nuovo investimento di valori negli edifici9. Convertire una fabbrica o un capannone in un museo implica una trasformazione del ruolo tematico dello spazio e, dunque, un cambio di sceneggiature e di attori associati a quei luoghi. Non solo, ma si tratterà anche di scegliere : cosa mantenere e cosa trasformare ? Fino a che punto tenere traccia e memoria delle funzioni precedenti ? Come tradurre il passato, per quanto prossimo, nel presente dell’architettura ? Come onorare il ricordo di ciò che c’era ? La scelta di Fondazione Prada è stata quella di tenere distinti il passato e il presente. La differenza tra i vecchi e i nuovi edifici risalta all’occhio per contrasto : cromatico — come nel caso della Haunted House, ricoperta da foglie di lamine d’oro che con la loro lucentezza spiccano rispetto al grigio opaco degli edifici preesistenti —, ma anche topologico — come accade con la Torre, che svetta in altezza differenziandosi dal resto del complesso che si sviluppa per lo più orizzontalmente (fig. 1). Fig. 1. Fondazione Prada, Milano. Così, se l’esterno dichiara la sua natura industriale, amalgamandosi con il contesto urbano circostante e rimanendo piuttosto anonimo, all’interno i forti contrasti rendono immediatamente distinguibili il passato dal presente. Questa discontinuità, questo strappo temporale è sottolineato dallo stesso Koolhaas : “Il progetto non è un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura. Queste due dimensioni coesistono, pur rimanendo distinte, e si confrontano reciprocamente in un processo di continua interazione (…). Vecchio e nuovo, orizzontale e verticale, ampio e stretto, aperto e chiuso : questi contrasti stabiliscono la varietà di opposizioni che descrive la natura della nuova Fondazione”. |
9 Su questo argomento cf. Desemantizzare, risemantizzare, Versus, 1, 2022, a cura di A. Giannitrapani. |
A conferma di questa impostazione generale, una sezione del sito della Fondazione dedicata alla museificazione del museo : alcuni artisti sono stati infatti chiamati a raccontare le trasformazioni subite dagli spazi nel processo di ristrutturazione attraverso foto e video. Si tratta di un’operazione metacomunicativa che dimostra come sia sempre più sentita l’esigenza di raccontare non solo l’esposizione, ma lo spazio museale in sé (e, con esso, l’istituzione che lo rappresenta) a prescindere dal suo contenuto. Nello specifico “Spiriti” è un progetto commissionato dalla Fondazione a Ila Bêka e Louise Lemoine, che hanno realizzato quindici brevi corti in cui viene raccontata l’ultima fase dei lavori di trasformazione della distilleria10. Il frammento n. 13, in particolare, ha come protagonista l’ex-proprietario della fabbrica, che, girando per gli ambienti della sua ex-casa rievoca cosa c’era un tempo in un dato locale (“qui c’era la stanza dei miei figli…”, “qua c’era una scala a chiocciola”), per poi mostrarsi smarrito e finire per non riconoscere più lo spazio del passato (“adesso non so più dove erano le camere”) e per sottolineare elementi della struttura asportati (“c’erano dei termosifoni molto belli, li avete tirati via tutti”). |
10 https://www.fondazioneprada.org/visit/visit-milano/ |
In generale, e ad eccezione dei luoghi di ristorazione (cfr. infra 4), il riferimento al passato industriale dell’edificio si perde negli ambienti interni, dove si è proceduto a uno svuotamento del contenitore, reso flessibile e pronto ad accogliere diversi allestimenti, in linea con i principi dei nuovi musei11. Negli spazi interni il passato e il presente risultano tra loro disgiunti e tutti sbilanciati verso l’attualità, quando non protesi verso il futuro. Il recupero dell’edificio è andato nella direzione di una trasformazione disgiuntiva riflessiva (ovvero messa in moto dal soggetto enunciatore stesso), configurandosi come una rinuncia al passato, a cui rimandano soltanto vaghi riferimenti. |
11 I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, op. cit. |
3. Tendenza 3 : l’effetto stupore e il photo specific Forse proprio in ragione della complessità dello spazio, ampio e articolato su più edifici inglobati all’interno di un’unica area, l’enunciatore museale ha predisposto a inizio percorso dispositivi di orientamento che inquadrano la Fondazione in quanto “luogo”, nei termini di de Certeau12 : visioni unificanti che, pur espungendo pratiche e percorsi, rendono conto dell’unitarietà del progetto al di là della sua dispersione. Così, ad esempio, nello spazio della biblioteca, un grande plastico riproduce la Fondazione in 3D (fig. 2), o subito dopo nella biglietteria una mappa inscritta nella pavimentazione si preoccupa di far emergere le relazioni tra i diversi edifici, nonché le loro posizioni relative, che serviranno a mo’ di guida nell’esplorazione concreta degli spazi (fig. 3). |
12 M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano (1990), Roma, Edizioni Lavoro, 2001. |
Fig. 2. Plastico degli spazi di Fondazione Prada. Fig. 3. Mappa incastonata nella pavimentazione. Uno dei primi luoghi che si incontra nel percorso è il Podium, in cui sono ospitate esibizioni temporanee : spazio ampio e vuoto, circondato da vetrate che consentono di tenere vivo un contatto con l’esterno — e dunque con gli altri edifici della Fondazione circostanti —, esso viene riallestito sulla base delle specifiche esigenze degli eventi in programma. La pavimentazione in marmo iraniano e i muri in alluminio forato (che consentono di mantenere condizioni termiche ottimali) costituiscono uno sfondo neutro e adattabile alle diverse esigenze. |
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Nel caso della mostra Paraventi : Folding Screens from the 17th to 21st Centuries (ottobre 2023 - febbraio 2024) — mostra diffusa dedicata ai paraventi che ha avuto luogo contemporaneamente anche negli spazi di Shangai e Tokyo della Fondazione — ad esempio il piano terra del Podium è stato segmentato grazie a superfici ondulate in plex trasparente e opaco evidentemente in contrasto plastico con la dimensione eidetica degli oggetti esposti : gli elementi divisori introducevano labili soglie che da un lato guidavano il visitatore a ricercare similarità tra paraventi racchiusi in una stessa zona (per esempio, i paraventi più recenti che facevano ricorso al digitale), dall’altro legavano comunque il progetto in un tutto unitario (dal momento che le altre sezioni dell’esposizione risultavano quasi completamente accessibili con la vista grazie, appunto, alle superfici trasparenti, fig. 4). Il percorso ne risultava libero e labirintico nello stesso tempo, e postulava un enunciatario chiamato a perdersi tra questi piccoli ambienti ricreati dalle suddivisioni, con le superfici trasparenti lì a promettere una prossima congiunzione con gli oggetti esposti nelle zone limitrofe13. Un senso di perdita e di scoperta, tipico dei nuovi musei14, ricreato anche attraverso l’assenza di supporti informativi in situ : le didascalie esplicative degli oggetti non li accompagnavano fisicamente ma erano accessibili esclusivamente da smartphone, dopo aver inquadrato un QR code riportato nella parete inaugurale della mostra. Al piano superiore, completamente schermato rispetto allo spazio esterno, il criterio espositivo era invece molto più tradizionale, con sequenze di paraventi incorniciati, e dunque valorizzati, grazie a un supporto orizzontale, che riproduceva la forma a zig-zag degli oggetti esposti (fig. 5). |
13 M. Hammad, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma, Meltemi, 2003. 14 I. Pezzini, op. cit. |
Fig. 4. Allestimento del piano terra del Podium (mostra dedicata ai paraventi). Fig. 5. Allestimento del primo piano del Podium (mostra dedicata ai paraventi). La Torre, nuovo edificio e ideale punto finale del percorso (perché più lontano rispetto all’ingresso), è un po’ il fulcro del complesso. Qui, una sorta di portico precede l’ingresso e scherma parzialmente la città grazie a una serie di tubi semitrasparenti che ne offuscano la visione (fig. 6). Nel vano di accesso, si trova una scala circondata e sormontata da specchi, che creano un effetto caleidoscopico e inscrivono il visitatore all’interno dell’architettura in un gioco di sguardi e riflessi (fig. 7). In generale, nell’edificio tutto viene investito di valore artistico, anche quegli spazi che solitamente assolvono una funzione meramente strumentale divengono parte del percorso di visita : è così per l’architettura dei servizi igienici, ma anche per l’ascensore (fig. 8), che diventa parte dell’esperienza : non solo per la sua ampiezza e il materiale con cui è realizzato (onice rosa), ma anche perché chiamato a diventare cornice, dispositivo di delimitazione che si apre quasi magicamente ai piani inquadrando opere o porzioni di città, a pieno titolo inglobate tra gli oggetti artistici da ammirare. Fig. 6. Spazio antistante l’ingresso alla Torre. Fig. 7. Ingresso alla Torre. Fig. 8. Ascensore. L’edificio ospita Atlas, la collezione permanente e più rappresentativa di Fondazione Prada, che comprende installazioni di grandi dimensioni. È il caso di Gantenbein Corridor e Upside Down Mushroom Room, di Holler, che aprono la visita all’ultimo piano (da cui il personale consiglia di iniziare il percorso) e che si fondono, in realtà, in un’unica opera : la prima è un corridoio da percorrere totalmente al buio, la seconda una stanza dal cui tetto pendono giganti funghi roteanti. L’oscuramento della visione del corridoio è propedeutico alla magnificazione dell’effetto stupore dello spettatore, che, entrato nella seconda stanza, si trova dispiegato di fronte un mondo fantastico alla Carrol. Ma è anche il caso di Tulips, di Koons, un enorme mazzo di tulipani in acciaio colorati, posti sul pavimento e circondati da opere di Carla Accardi ; o del piano quasi interamente dedicato all’opera di Hirst, tra cui colpisce Tears for Everybody’s Looking at You, una teca in vetro all’interno della quale è simulato un acquazzone e in cui è sospeso un ombrello che protegge due finte anatre. Opere che, come sempre più spesso avviene nei musei, diventano, più che site-specific (come generalmente si dice), photo-specific, inserite ad hoc non tanto per colpire lo sguardo del visitatore, quanto piuttosto quello rimediato attraverso lo smartphone, chiamato a catturare istantanee di scorci pronti a essere inviati ed esposti su Instagram. Lo spazio in generale modula gli sguardi, calibrando aperture e chiusure : pareti cieche si alternano a grandi vetrate ; a sale che tendono a promuovere la continuità tra i diversi ambienti in cui si articolano le esposizioni, si alternano luoghi che focalizzano lo sguardo verso l’interno. E, più si sale, più ci si apre alla città, con un panorama che diviene via via più ampio e inglobante di porzioni urbane sempre maggiori (cfr. infra, 5). 4. Tendenza 4: consumi alimentari Come in ogni nuovo spazio espositivo, poi, grande attenzione è posta sui luoghi del consumo alimentare interni. A partire dal bar Luce (fig. 9), realizzato da Wes Anderson, che firma il progetto riportando nello spazio architettonico colori, sceneggiature e atmosfere dei suoi film. È in questo spazio che la storia dell’edificio viene ripresa : tanto per il tema (il mondo dei distillati che costituisce parte dell’offerta gastronomica del locale), tanto per lo stile (con un’atmosfera primo novecentesca per arredi e suppellettili). Mobili in formica, toni del verde e rosa pastello, juke box e flipper riproducono una atmosfera vintage, in cui il visitatore entra in scena come attore. Con un débrayage, egli è chiamato a proiettarsi in un affascinante passato dal gusto retro che anche nelle intenzioni dell’enunciatore vuole esplicitamente richiamare i vecchi caffè milanesi. La nuova periferia in cui sorge la Fondazione riproduce così il vecchio centro storico. Ma si tratta appunto di una teatralizzazione del passato che nel resto della visita si perde in favore di una proiezione verso il futuro. |
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E questo gusto per il vintage15 è ripreso anche al sesto piano della Torre, nell’omonimo ristorante, tra i cui arredi possono vantarsi alcuni pezzi del Four Season di New York. Citando un’icona della ristorazione d’oltreoceano, tra l’altro nota per la sua clientela di élite, ancora una volta a essere chiamato in causa è un passato che non conta tanto per il suo tempo storico, quanto piuttosto per la sua mediatizzazione e la conseguente seduzione che può esercitare sul cliente, in un meccanismo perfettamente coerente con quanto già avveniva nel bar Luce. Come il Four Season, e in linea con il più ampio contesto in cui si situa, il ristorante è arredato con oggetti di design (progettati da Saarinen) e corredato di opere d’arte, tra gli altri, di Fontana. L’idea del ristorante è quella di far proseguire, anche durante l’esperienza gastronomica, il tour nell’arte contemporanea. Non a caso, una pagina del sito della Fondazione dedicata riporta, come in una sorta di catalogo, una descrizione delle opere esposte nel ristorante. |
15 M.P. Pozzato e D. Panosetti, Passione vintage. Il gusto per il passato nei consumi, nei film e nelle serie televisive, Roma, Carocci, 2013. |
E in questa continua ricerca di esclusività, un altro tipico motivo dell’alta ristorazione: la possibilità di prenotare un posto allo chef’s table, un tavolo marcato, con servizio dedicato, in cui, grazie a una nuova separazione spaziale si ricrea una nuova collettività, ancora più elitaria. Da questa postazione, oltre a godere del panorama sulla città fruibile da una terrazza privata, si dà alla vista il lavoro ai fornelli. È questo il premio per l’avventore, il cui statuto è, se ci si pensa, ben diverso da quello di cui può godere un comune cliente di un ristorante con cucina a vista : al ristorante Torre è solo un ristretto gruppo di eletti a poter ammirare il lavoro dello chef, che non mercifica dunque il suo operato mettendolo alla mercè di chiunque ma continua a proteggerlo, e a configurarsi come un informatore, che, negando il voler esser visto, si caratterizza come modesto16. Da un lato, dunque, quasi ribaltando il pensiero di Benjamin, gli spazi espositivi tradizionalmente intesi si fanno sempre più spettacolarizzati, costruiti per richiamare la macchina fotografica del visitatore, chiamata a moltiplicare il regime di visione ; dall’altro, il luogo della ristorazione si fa sempre più privatizzato, facendo traslare l’aura dall’oggetto artistico, moltiplicato dai dispositivi mediatici, all’oggetto alimentare, sacralizzato nella sua fruizione unica e singolare. Adiacente al ristorante, un altro bar, in cui, ancora una volta, il regime di sguardi gioca con schermature parziali: la bottiglieria (fig. 10), una grande parete sospesa piena di alcolici, infatti, come ci dice lo stesso sito, da un lato “incornicia il bar” e dunque, in quanto cornice, rimarca l’importanza dello spazio interno, dall’altra fa intravedere, seducendo, porzioni di città, e richiamando dunque il visitatore verso la terrazza esterna. Si noti, ancora, l’isotopia artistica, richiamata non solo dall’idea di cornice, ma anche dall’uso di alcuni termini che esplicitamente vi si riferiscono (si parla ancora, sempre nel sito per esempio, dell’“‘arte’ della mixology” perpetrata nel locale). |
16 E. Landowski, La società riflessa (1989), Roma, Meltemi, 2003. |
Fig. 9. Bar Luce. Fig. 10. Bottiglieria del bar. |
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5. Tendenza 5 : l’irraggiamento oltre i confini La città di Milano, richiamata come atmosfera del passato nei luoghi del consumo alimentare, è messa in scena nella sua contemporaneità in diversi punti che su di essa si aprono. L’apertura sugli spazi intorno, la città che diventa anch’essa opera da ammirare, il dialogo tra interno ed esterno sono caratteristiche tipiche dei nuovi musei17. Non è dunque tanto questo a fare “tendenza”, quanto piuttosto il fatto che le aperture offrono un panorama che a sua volta fotografa tendenze. A essere messa in scena, infatti, non è tanto una città estetizzata, colta nei suoi punti di maggiore interesse turistico, ma una periferia in divenire e catturata nel suo movimento trasformativo, nel momento in cui da periferia si appresta a diventare un nuovo centro culturale e commerciale. Il panorama che si apre dalla Torre, infatti, guarda ex-terrains vagues in costruzione, gru che si affannano a ridefinire gli intorni, offrendo uno sguardo su una promessa di città: un panorama al futuro, insomma. |
17 I. Pezzini, op. cit. |
Nel momento in cui si scrive, la zona antistante la Fondazione è occupata da un cantiere impegnato nella costruzione del villaggio olimpico che ospiterà gli atleti durante le Olimpiadi invernali del 2026 e che sarà riconvertito in studentato al termine dell’evento. Il villaggio è cioè già progettato in vista di una sua rifunzionalizzazione, da realizzare con minimi interventi. Il divenire, come già sostenevano Deleuze e Guattari, non ha una fine, perché destinato a trasformarsi in altro divenire18. E, cosa interessante ai fini del nostro discorso, esso postula sempre rapporti di prossimità e di vicinanza : |
18 Cf. anche G. Ceriani, “Divenire, diventare. Trasformazione e cambiamento”, Acta Semiotica, 6, 2023. |
Divenire è, a partire dalle forme che si hanno, dal soggetto che si è, dagli organi che si possiedono o dalle funzioni che si svolgono, estrarre delle particelle, tra le quali si instaurano rapporti di movimento e di stasi, di velocità e di lentezza, i più prossimi a quel che si sta diventando e attraverso i quali si diviene. In questo senso il divenire è il processo del desiderio. Questo principio di prossimità o di approssimazione (…) indica nel modo più rigoroso una zona di vicinanza o di co-presenza di una particella (…). La vicinanza è una nozione a un tempo topologica e quantica, che sottolinea l’appartenenza a una stessa molecola, indipendentemente dai soggetti considerati e dalle forme determinate.19 |
19 G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani (1980), Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1987, p. 383. |
La dimensione della risonanza (nel nostro caso tra spazi) è dunque caratteristica del divenire. Fondazione Prada è una sorta di perno che irradia la sua forza performativa al di là dei suoi confini e che interpreta il proprio ruolo come soggettività in grado di rigenerare gli intorni, come luogo che per contagio può innescare trasformazioni. A ridosso della sua apertura, ad esempio, è stato lanciato Symbiosis, un progetto di rigenerazione urbana del gruppo Covivio, destinato a rilanciare il quartiere. Così l’intera zona sembra caratterizzarsi per una aspettualità incoativa, al cui interno si possono rintracciare segnali aperti a insiemi di possibilità, che tendono a essere incasellate come catene di casualità20. |
20 J. Lozano, “Lo spazio del futuro”, E/C, 32, 2021, pp. 12-14. |
Due considerazioni in merito. La prima riguarda il fatto che l’estetica del divenire è anticipata già negli spazi interni della Fondazione, e in particolare nella Torre, dove alcune separazioni interne delle sale espositive sono realizzate in pannelli di OSB (fig. 11) e scendendo le scale si notano griglie in acciaio che coprono lastre di compensato su cui sono sovraimpressi schizzi di pittura (fig. 12). Un’estetica del grezzo che ricrea un effetto di cantiere ancora in corso, di cui si rimarca l’imperfettività. Un divenire interno generatore del divenire esterno, insomma. La seconda considerazione riguarda il fatto che, in questa costruzione narrativa, a essere rimarcato è il ruolo di Prada in quanto soggetto trasformatore : il panorama, focalizzandosi sul cambiamento, non fa che allo stesso tempo cogliere il motore di quel cambiamento. E questa costruzione ha un suo corrispettivo propriamente visivo, negli sguardi e nelle prospettive offerte al visitatore : se dai piani alti della Torre, infatti, si apre la vista sul cantiere e sulla periferia in fase di centralizzazione (dimensione transitiva dello sguardo), scendendo le scale, una serie di vetrate aprono su Piazza Olivetti e, in particolare, su una delle prime costruzioni edificate nell’ambito del progetto Symbiosis realizzata con una parete a specchio (fig. 13) : fondazione Prada rispecchia narcisisticamente se stessa, autosanzionadosi come eroe di questo racconto (dimensione riflessiva dello sguardo). Fig. 11. Pannelli in OSB delimitano gli spazi espositivi della Torre. Fig. 12. Estetica del grezzo nelle scale della Torre. Fig. 13. L’edificio in cui si rispecchia Fondazione Prada. Ne risulta un doppio regime in relazione al modo di inquadrare il domani : dal punto di vista dell’enunciatario, lo sguardo panoramico e onnicomprensivo inquadra un “avvenire”21, che non dipende dal visitatore, ma in cui egli è chiamato in causa nel ruolo di semplice spettatore ; dal punto di vista dell’enunciatore, la visione panottica si propone come “futuro”22, programmato e programmabile, quasi certo e nelle proprie mani23. E di conseguenza emergono due diversi regimi di temporalità : il primo, proprio dell’enunciatario, è un futuro deontico-ingiuntivo, modalizzato secondo il dovere, caratterizzato da un alto grado di prevedibilità (del presente sul futuro) e da un basso grado di influenzabilità (del futuro sul presente)24 ; il secondo, proprio dell’enunciatore, è un futuro bulistico-predittivo, modalizzato secondo il volere, e caratterizzato da un alto grado di prevedibilità e di influenzabilità25. Lo spazio è insomma un racconto indirizzato al futuro, uno scenario già pensato in termini di posterità, da intendere come “l’orizzonte di attesa delle imprese dell’oggi, la dimensione in cui il futuro si costruisce a partire da un presente che sta passando (o che pensiamo già come passato)” e che implica una forma di sanzione positiva su ciò che si sta compiendo26. Il panorama si fa manifestazione di una sorta di futuro anteriore, in cui ciò che deve ancora venire non è pensato come pura virtualità, ma come attualizzazione tendente alla realizzazione, un qualcosa che si avvicina irrimediabilmente al presente27. Emerge così uno spazio che traduce una precisa idea di tendenza, associata a una certa concezione del tempo storico. Da un lato, infatti, il passato viene per così dire sfocato : la storia dell’edificio è uno sfondo di cui si scorgono solo labili tracce, il riferimento alla storia cittadina emerge a tratti, come ritratto impressionista legato a una immagine cinematografica di Milano (come abbiamo visto nel caso del Bar Luce e del ristorante Torre). Lo spazio di esperienza, inteso come passato presente28, è ridotto e ricostruito, immaginato come parzialmente svincolato dall’attualità, tutta protesa invece verso il domani. Di contro, l’orizzonte di aspettativa29, inteso come futuro presentificato, si amplia a dismisura, viene in primo piano, non soltanto nella proposta di mostre temporanee e collezioni permanenti centrate per lo più sulla contemporaneità, non solo nell’allestimento di spazi avanguardistici che strizzano l’occhio alle più moderne concezioni museografiche, ma anche rispetto all’interpretazione del ruolo dell’istituzione museale come motore proattivo e perno di irraggiamento di sviluppo urbano, a maggior ragione in una città già di per sé protesa al futuro e guidata da una logica efficientista. Questo gioco di primi piani e sfondi tra presente e passato può essere tradotto nei termini di prassi enunciativa30. Se è infatti vero che a ogni movimento ascendente, se ne accompagna uno discendente, e che dunque, in questo saliscendi di grandezze semiotiche si attraversano i modi di esistenza secondo scale e gradazioni, è chiaro che un modello del genere può essere utile per descrivere l’universo delle tendenze, facendone emergere diverse sfaccettature e differenti possibili articolazioni. Come dire, non c’è la tendenza, ma le tendenze, variabili in base al modo in cui sono concepite e, come si diceva in apertura, costruite. Nel caso di Fondazione Prada, in particolare, saremmo di fronte a una fluttuazione : da un lato la natura industriale dell’edificio e del quartiere si impone come una grandezza in declino, che transita cioè dal realizzato al potenziale, rimanendo come riserva di senso sempre pronta a riattivarsi ; il contenuto della spazialità della sede espositiva (e dei dintorni) si manifesta invece come apparizione, muovendosi, in quel perpetuo divenire che abbiamo riscontrato, dall’attualizzazione alla realizzazione. |
21 B. Latour, Face à Gaïa. Huit conférences sur le nouveau régime climatique, Paris, La Découverte, 2015. 22 Ivi. 23 Si veda anche D. Bertrand, “Futur ou Futur antérieur ? Quelle temporalité politique ?”, E/C, 32, 2021, che collega la distinzione tra futuro e avvenire di Latour alla teoria delle istanze enuncianti di Coquet : da un lato un futuro, frutto di un programma intenzionale di un soggetto che compie operazioni di “assunzione” ; dall’altro un avvenire, nelle mani di un non soggetto che si limita ad asserire, eteronomamente diretto. 24 J. Fontanille, “Présences du futur. L’expérience de l’‘univers-bloc’ au temps de la pandémie”, E/C, 32, 2021. 25 Ivi. 26 A.M. Lorusso, “Pensando al futuro : memoria e posterità”, Versus, 2, 2020. 27 D. Bertrand, art. cit. 28 R. Koselleck, Futuro passato (1979), Bologna, Clueb, 2007. 29 Ivi. 30 Cf. J. Fontanille e C. Zilberberg, Tension et signification, Liège, Mardaga, 1998. Come si ricorderà, la prassi enunciativa tiene conto della dimensione collettiva implicata nei fenomeni di enunciazione. Non solo, infatti, con l’enunciazione una istanza di soggettività si appropria della langue per produrre un atto di parole, ma la reiterazione degli usi della lingua retroagisce in qualche modo sul sistema, con atti ripetuti che sono pronti a riattivarsi nei successivi processi enunciazionali (cf. anche D. Bertrand, Basi di semiotica letteraria (2000), Roma, Meltemi, 2002). Gli usi della lingua possono cioè essere riassorbiti negli schemi, istituzionalizzarsi, così come schemi condivisi possono scomparire. Fontanille e Zilberberg, in particolare, hanno proposto un modello tensivo che considera come la virtualità della langue, attualizzata nel discorso e realizzata negli atti di parole possa potenzializzarsi, rimanere come riserva di senso, potendo sempre circolarmente pervenire a una nuova virtualizzazione. Si darebbero così fenomeni di emergenza (dalla virtualizzazione all’attualizzazione), apparizione (dall’attualizzazione alla realizzazione), declino (dalla realizzazione alla potenzializzazione) e scomparsa (dalla potenzializzazione alla virtualizzazione), con movimenti ascendenti e discendenti passibili di combinarsi tra loro in vario modo. |
Bibliografia Bertrand, Denis, Précis de sémiotique littéraire, Paris, Nathan, 2000 ; it. trans. Basi di semiotica letteraria, Roma, Meltemi, 2002. — “Futur ou Futur antérieur? Quelle temporalité politique ?”, E/C, 32, 2021. Ceriani, Giulia, “Divenire, diventare. Trasformazione e cambiamento”, Acta Semiotica, III, 6, 2023. — Hot spots e sfere di cristallo, Milano, FrancoAngeli, 2007. Certeau, Michel de, L’invention du quotidien. Arts du faire, Paris, Gallimard, 1990 ; it. trans. L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 2001. Coquet, Jean-Claude, Le istanze enuncianti. Semiotica e fenomenologia, Paolo Fabbi (a cura di), Milano, Mondadori, 2008. Deleuze, Gilles e Félix Guattari, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Paris, Minuit, 1980 ; it. trans. Mille piani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1987. Floch, Jean-Marie, Identités visuelles, Paris, P.U.F., 1995 ; it. trans. Identità visive, Milano, FrancoAngeli, 1997. Fontanille, Jacques, “Présences du futur. L’expérience de l’‘univers-bloc’ au temps de la pandémie”, E/C, 32, 2021. — e Claude Zilberberg, Tension et signification, Liège, Mardaga, 1998. Giannitrapani, Alice, a cura di, Desemantizzare/risemantizzare, Versus, 1, 2022. Greimas, Algirdas J. e Jacques Fontanille, Sémiotique des passions, Paris, Seuil, 1991 ; it. trans. Semiotica delle passioni, F. Marsciani e I. Pezzini (a cura di), Milano, Bompiani, 1996. Hammad, Manar, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma, Meltemi, 2003. — “Il Museo della Centrale Montemartini a Roma. Un’analisi semiotica”, in P. Cervelli e I. Pezzini (a cura di), Scene del consumo : dallo shopping al museo, Roma, Meltemi, 2006. Koselleck, Reinhart, Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Frankfurt/Main, Suhrkamp, 1979 ; it. trans. Futuro passato, Bologna, Clueb, 2007. Landowski, Eric, La société réfléchie, Paris, Seuil, 1989 ; it. trans. La società riflessa, Rome, Meltemi, 2003. Latour, Bruno, Face à Gaïa. Huit conférences sur le nouveau régime climatique, Paris, La Découverte, 2015. Lorusso, Anna Maria, “Pensando al futuro : memoria e posterità”, Versus, 2, 2020. Lozano, Jorge, “Lo spazio del futuro”, E/C, 32, 2021. Pezzini, Isabella, Semiotica dei nuovi musei, Roma-Bari, Laterza, 2011. Pozzato, Maria Pia e Daniela Panosetti, Passione vintage. Il gusto per il passato nei consumi, nei film e nelle serie televisive, Roma, Carocci, 2013. Zunzunegui, Santos, Metamorfosis de la mirada. Museo y semiótica, Madrid, Cátedra, 2003 ; it. trans. Metamorfosi dello sguardo. Museo e semiotica, Roma, Nuova Cultura, 2011. |
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1 A.J. Greimas e J. Fontanille, Semiotica delle passioni (1991), F. Marsciani e I. Pezzini (a cura di), Milano, Bompiani, 1996, p. 78. 2 I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, Roma-Bari, Laterza, 2011. 3 S. Zunzunegui, Metamorfosi dello sguardo. Museo e semiotica (2003), Roma, Nuova Cultura, 2011. 4 È lo stesso meccanismo sottolineato da Floch (Identità visive (1995), Milano, FrancoAngeli, 1997) per il total look di Chanel, in cui il contrappunto barocco non fa che esaltare la classicità della silhouette. 5 G. Ceriani, Hot spots e sfere di cristallo (2007), Milano, FrancoAngeli, p. 18. 6 Cf. P. Fabbri e O. Calabrese, “Profezie”, Carte Semiotiche, Annali 2, 2014. 7 Alcune delle riflessioni contenute in questo paragrafo sono state elaborate, insieme a Carlo Campailla, in occasione dell’incontro “Spazio al tempo. Eredità museali” (ottobre 2023), nell’ambito del ciclo di seminari Ereditare. Semiotica della trasmissione, curato da Francesco Mangiapane e Francesco Mazzucchelli. 8 Si vedano, in particolare, Pezzini (2011), sul caso di Punta della Dogana e Fondazione Vedova a Venezia, e Hammad (2006) per l’analisi della romana Centrale Montemartini. 9 Su questo argomento cf. Desemantizzare, risemantizzare, Versus, 1, 2022, a cura di A. Giannitrapani. 10 https://www.fondazioneprada.org/visit/visit-milano/. 11 I. Pezzini, Semiotica dei nuovi musei, op. cit. 12 M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano (1990), Roma, Edizioni Lavoro, 2001. 13 M. Hammad, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma, Meltemi, 2003. 14 I. Pezzini, op. cit. 15 M.P. Pozzato e D. Panosetti, Passione vintage. Il gusto per il passato nei consumi, nei film e nelle serie televisive, Roma, Carocci, 2013. 16 E. Landowski, La società riflessa (1989), Roma, Meltemi, 2003. 17 I. Pezzini, op. cit. 18 Cf. anche G. Ceriani, “Divenire, diventare. Trasformazione e cambiamento”, Acta Semiotica, 6, 2023. 19 G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani (1980), Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1987, p. 383. 20 J. Lozano, “Lo spazio del futuro”, E/C, 32, 2021, pp. 12-14. 21 B. Latour, Face à Gaïa. Huit conférences sur le nouveau régime climatique, Paris, La Découverte, 2015. 22 Ivi. 23 Si veda anche D. Bertrand, “Futur ou Futur antérieur ? Quelle temporalité politique ?”, E/C, 32, 2021, che collega la distinzione tra futuro e avvenire di Latour alla teoria delle istanze enuncianti di Coquet : da un lato un futuro, frutto di un programma intenzionale di un soggetto che compie operazioni di “assunzione” ; dall’altro un avvenire, nelle mani di un non soggetto che si limita ad asserire, eteronomamente diretto. 24 J. Fontanille, “Présences du futur. L’expérience de l’‘univers-bloc’ au temps de la pandémie”, E/C, 32, 2021. 25 Ivi. 26 A.M. Lorusso, “Pensando al futuro : memoria e posterità”, Versus, 2, 2020. 27 D. Bertrand, art. cit. 28 R. Koselleck, Futuro passato (1979), Bologna, Clueb, 2007. 29 Ivi. 30 Cf. J. Fontanille e C. Zilberberg, Tension et signification, Liège, Mardaga, 1998. Come si ricorderà, la prassi enunciativa tiene conto della dimensione collettiva implicata nei fenomeni di enunciazione. Non solo, infatti, con l’enunciazione una istanza di soggettività si appropria della langue per produrre un atto di parole, ma la reiterazione degli usi della lingua retroagisce in qualche modo sul sistema, con atti ripetuti che sono pronti a riattivarsi nei successivi processi enunciazionali (cf. anche D. Bertrand, Basi di semiotica letteraria (2000), Roma, Meltemi, 2002). Gli usi della lingua possono cioè essere riassorbiti negli schemi, istituzionalizzarsi, così come schemi condivisi possono scomparire. Fontanille e Zilberberg, in particolare, hanno proposto un modello tensivo che considera come la virtualità della langue, attualizzata nel discorso e realizzata negli atti di parole possa potenzializzarsi, rimanere come riserva di senso, potendo sempre circolarmente pervenire a una nuova virtualizzazione. Si darebbero così fenomeni di emergenza (dalla virtualizzazione all’attualizzazione), apparizione (dall’attualizzazione alla realizzazione), declino (dalla realizzazione alla potenzializzazione) e scomparsa (dalla potenzializzazione alla virtualizzazione), con movimenti ascendenti e discendenti passibili di combinarsi tra loro in vario modo. |
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______________ Résumé : Cette contribution explore certaines tendances dans le monde des marques en analysant les espaces de la Fondation Prada, à Milan : une grande marque élargit son champ d’action, non pas seulement en tant que producteur de haute couture mais aussi en tant que mécène qui met l’art, et sa propre collection, à la disposition d’un large public. Les espaces d’exposition occupent une ancienne distillerie datant du début des années 1900 : la resémantisation de ce lieu hybride où plusieurs voix s’expriment soulève une série de questions relatives à la façon dont les fonctions passées continuent d’agir dans le présent. Et la relation avec la ville est à double sens : mis en scène grâce à des surfaces transparentes qui l’offrent comme un panorama aux yeux de l’observateur, l’espace urbain fait aussi l’objet de transformations provenant de la Fondation. Le lieu d’expositions étend sa portée au-delà des limites du bâtiment, redéfinissant le quartier et déclenchant d’autres tendances urbaines. Resumo : Ao analisar os espaços da Fundação Prada, em Milão, o artigo explora algumas tendências atuais no mundo das marcas, mostrando como a marca extende seu campo de acão, não apenas enquanto empresa de alta costura mas também como um mecena que, além de suas coleções, oferece obras de arte a um largo público. Os espaços de exposição, un lugar híbrido no qual várias vozes se manifastam, situam-se numa antiga destilaria dos anos 1900, cuja resemantização levanta questões relativas ao modo como as funções iniciais seguem agindo no presente. O espaço urbano circundante também é mostrado como objeto de tranformações em razão da presença da Fundação. Abstract : This contribution aims to explore some trends in the field of brands, with the Fondazione Prada spaces in Milan as a case study. This is a case in which a major brand broadens its range of action, proposing itself no longer and not only as a producer of haute couture objects, but as a modern patron putting art at the disposal of a large public. The location is that of a former distillery dating back to the early 1900s : the resemantisation and consequent change in the thematic role of the space raises a series of questions as to what and how the past is maintained and whether and in what way the previous functions continue to operate in the present. Not only that, but the Fondazione Prada is a hybrid place, in which more than one voice speaks. Finally, the relationship with the city is interesting, in a double sense : on the one hand, the urban space is staged thanks to transparent surfaces that offer it as a panorama to the eyes of the observer ; on the other, it is traversed by transformations that originate from the Foundation. Indeed, the exhibition site extends its sphere of action beyond the confines of the building, redefining the neighbourhood and triggering further urban trends. Riassunto : Il contributo si propone di esplorare alcune tendenze nel mondo dei brand, prendendo come caso studio quello degli spazi di Fondazione Prada a Milano. Caso interessante, e non unico, in cui una grande griffe amplia il proprio raggio di azione proponendosi non più e non solo come produttore di oggetti di alta moda, ma come moderno mecenate che mette l’arte, e la propria collezione, a disposizione di un grande pubblico. La sede degli spazi espositivi è quella di una ex-distilleria dei primi del 900: la risemantizzazione e il conseguente cambiamento di ruolo tematico dello spazio pongono una serie di questioni su cosa e come il passato sia mantenuto e sul se e in che modo le precedenti funzioni continuino ad agire nel presente. Non solo, ma Fondazione Prada è un luogo ibrido, in cui interagiscono più luoghi e parlano più voci (al suo interno, si trovano ad esempio il ristorante Torre e il Bar Luce, progettato da Wes Anderson). Interessante, infine, la relazione con la città, in una doppia accezione: da un lato lo spazio urbano è messo in scena grazie a superfici trasparenti che lo offrono come panorama agli occhi dell’osservatore ; dall’altro esso è attraversato da trasformazioni che dalla Fondazione hanno origine. La sede espositiva estende infatti il proprio raggio di azione al di là dei confini dell’edificio, ridefinendo il quartiere e innescando ulteriori tendenze urbane. Mots clefs : futur, hybridation (discursive), Prada (fondation), espaces (d’exposition), tendance. Autori citati : Denis Bertrand, Giulia Ceriani, Jean-Claude Coquet, Michel de Certeau, Gilles Deleuze, Jean-Marie Floch, Jacques Fontanille, Algirdas J. Greimas, Felix Guattari, Manar Hammad, Reinhart Koselleck, Eric Landowski, Bruno Latour, Anna Maria Lorusso, Jorge Lozano, Daniela Panosetti, Isabella Pezzini, Maria Pia Pozzato, Claude Zilberberg, Santos Zunzunegui. Indice 1. Tendenza 1 : condensazione dei consumi 2. Tendenza 2 : rifunzionalizzazione degli spazi 3. Tendenza 3 : l’effetto stupore e il photo specific 4. Tendenza 4 : consumi alimentari |
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Recebido em 22/04/2024. / Aceito em 30/05/2024. |