Dossier — Aspects sémiotiques du changement

“Novel food”, insetti nel piatto

Ilaria Ventura Bordenca
Università di Palermo

 

Publié en ligne le 23 décembre 2023
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2023n6.64716
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Introduzione

Si dice che i gusti cambino. Cambiano con l’età, così che qualcosa che prima non ci piaceva a un certo punto della vita inizia a esserci di gradimento, e viceversa sapori preferiti nell’infanzia possono perdersi tra quelli dell’età adulta. Cambiano i gusti di un’epoca, le mire verso cui si tende collettivamente, le estetiche dominanti, gli stili che dettano la norma. Esito di andamento processuale, il gusto è anche scarto sistematico : ogni soggettività, individuale o collettiva che sia, ha il suo. In entrambi i casi, sia sul lato del processo sia sul lato del sistema, laddove c’è cambiamento c’è differenza. Scelta sociale ed estetica insieme, il gusto anche nella sua versione gastronomica in senso stretto si intreccia saldamente e in maniera solidale con quello della trasformazione : del prima e del dopo, del noi e del loro, del qui e dell’altrove. Posto un differente stato di cose, se ne riconosce di contraccolpo il precedente, così che il cambiamento è sempre relazionale e differenziale. Ma la misura di questa differenza può essere di volta in volta più o meno evidente, ampia e significante.

Cosa succede in campo alimentare quando arriva un nuovo cibo, e con esso un nuovo gusto, all’interno di un sistema culturale ? come reagisce quest’ultimo ? Quali risorse attiva per dare senso e colmare lo iato della differenza ? Vedremo il caso del tentativo di un grande cambiamento : portare gli insetti nel piatto degli italiani.

Nel 2021, la Commissione Europea ha dato il via libera alla produzione e alla vendita di alimenti a base di insetti nei paesi del vecchio continente : larve della farina, grilli, locuste migratorie possono essere utilizzati per preparare cibi, sia industriali (snack, crackers, pasta secca, salse, prodotti sostitutivi della carne, ad esempio) sia cucinati in ristoranti e altri luoghi di consumo conviviale. Purché essi, gli insetti, siano essiccati, congelati o polverizzati in farina. Si tratta di un caso di novel food : un appellativo con cui ci si riferisce, come da definizione della Commissione Europea, a tutti quei cibi che fino al 1997, anno della prima regolamentazione europea al riguardo, non venivano usati “in quantità significative per il consumo umano”. Tra questi, oltre agli insetti edibili, ricadono ad esempio, in una scala di novità dal più estraneo al più tradizionale, l’olio derivato dal krill (organismi marini oceanici che vivono in acque molto fredde e cibo quotidiano per le balene, oltre che risorsa alimentare comune per Russia e Giappone), ma anche il frutto del baobab, ampiamente consumato in Africa, i semi di chia e la quinoa, tipicamente sudamericani, che ormai si trovano in qualsiasi supermercato o ristorante d’Europa.

Tra i novel food, infatti, rientrano alimenti o materie prime che sono usuali in altre comunità o paesi extra UE : che cosa sia “novel” è dunque una questione di punti di vista. Accertata la sicurezza per i consumatori, verificata l’edibilità, superati una serie di controlli e protocolli normativi, il cibo nuovo entra nel sistema del food commerciabile nel mercato europeo. “Novel” per chi, dunque ? In questo caso, il punto di vista è quello del consumatore europeo.

Nella migliore delle ipotesi, man mano, la novità si diffonde, si stabilizza, viene consumata con una certa regolarità e non è più un’introduzione curiosa o un esotismo incomprensibile — quando non inaccettabile, come nel caso degli insetti per il consumatore medio occidentale1. Persino i piatti simbolo di alcune culture sono stati, a un certo punto, un novel food.

1 Stiamo generalizzando, ma gli insetti non rientrano tra le principali abitudini alimentari della maggior parte dei paesi d’Europa : si usano in Norvegia e Olanda, mentre non sono considerati mangiabili in altre nazioni dello stesso continente, al contrario di quel che accade in Asia, Africa, America Centrale dove è prassi comune cucinarli e consumarli a tavola o come street food. Per una panoramica sull’entomofagia cfr. J. Evans, R. Flore, M. Frost, On Eating Insects, Londra, Phaidon, 2017.

L’hamburger, che rappresenta oggi un certo tipo di cultura americana soprattutto legata al fast-food, ha avuto una storia travagliata e vissuto pesanti sospetti : nei primi decenni del Novecento, questo impasto di carne trita, in uso nelle bettole per operai tedeschi emigrati negli Stati Uniti, era molto malvisto, ritenuto inferiore in termini di qualità rispetto alla bistecca, e il frankfurter, solo dopo ribattezzato hot dog, era considerato addirittura nocivo per la salute : sono passati pochi anni e i due tipi di carne trita e ricomposta, infilati in un soffice bun, sono divenuti emblema dell’american way of life2.

O si pensi a quel che è accaduto in Italia con la pasta, che per un certo periodo di tempo è stata considerata novel food : univa il pomodoro, proveniente dall’America, e la pasta lunga, che era tradizionale del Medio Oriente, insieme all’usanza araba della pasta secca che venne importata in Italia nel Medio Evo3. Anche singole materie prime, come la patata, il mais o la melanzana, prima di essere considerati ingredienti tipici di una cultura sono stati qualcosa di esotico : ciascuno di essi, poi, ha man mano trovato il proprio posto nelle cucine del mondo e ne ha modificato identità.

Nulla di nuovo, dunque, per certi versi, perché l’accomodamento alimentare è un fenomeno che è sempre esistito. L’ibridazione e la contaminazione tra materie prime, ingredienti, tecniche di cottura e conservazione che migrano tra le varie gastronomie, sono il motore primo di ogni cucina. Per altri versi, però, occorre ricordare che, a farsi posto tra vecchie pietanze e abitudini di lungo corso, non sono tanto materie prime di per sé (farine, salse, ortaggi, insetti, olio di krill o chissà che altro) quanto ciò che esse significano. Sono l’antropologia e la semiotica dell’alimentazione a dirlo da molto tempo : esattamente come la lingua che utilizziamo per comunicare, che per Lotman è un sistema modellizzante primario4, così, sostiene Marrone5, lo è l’alimentazione, per via della capacità semiotica di cui è dotata, ovvero di esprimere e modellare sempre altro da se stessa : valori, tradizioni, gerarchie, poteri, ruoli familiari, appartenenza a gruppi, credo religiosi. Per Lévi-Strauss, ciò che conta, nelle scelte di cucina e a tavola, è il buono da pensare6, ovvero il modo in cui piatti e materie prime hanno senso in quanto parte di un modo di concepire il mondo, la natura, il cosmo.

Da qui la differenza tra ciò che è commestibile per natura e ciò che mangiabile per cultura : l’universo delle sostanze alimentari che non sono tossiche per l’essere umano viene diversamente messo in forma, “ritagliato” da ogni cultura, così che ci sia un dentro e un fuori, un proprio e un altrui, un edibile e un non accettabile. Esattamente come nel funzionamento delle lingue, la forma ritaglia la materia producendo sostanze7. Ne discendono tabù e regole alimentari, prescrizioni religiose più o meno esplicite e conseguenti rituali di purificazione (di cui hanno discusso, tra gli altri, Douglas e Soler8), forme di regolazione degli appetiti e delle quantità (si vedano gli studi di storia della dietetica di Shapin9 e quelli di dietetica e religione di Montanari, Niola e Moro10), sistemi di classificazione e regimi dietetici (sulla semiotica della dieta cfr. Ventura Bordenca11).

Ma anche gusti e disgusti, che, per la semiotica, come sostiene Eric Landowski, non sono spiegabili né esclusivamente come attitudini di tipo sociale né come reazioni fisiologiche, ma sono indagabili in qualità effetti di senso, ovvero come risultato di complesse costruzioni discorsive che non riguardano solo le scelte — e i rifiuti — a tavola, ma la gestione della quotidianità a livello individuale e collettivo12. Una questione, quella del gusto e soprattutto quella del disgusto, particolarmente pertinente in relazione agli insetti nel piatto.

È dunque con sostanze alimentari che abbiamo sempre a che fare : materiali e risorse già ricchi di senso, e non materie a cui il senso deve ancora esser dato, anche quando esso è quello dell’estraneità e della novità. Non solo il cibo infatti è un linguaggio perché attraverso di esso i soggetti e i gruppi umani parlano di altro (di società, tradizioni, politica, salute, potere, religione, credenze, moralità etc.), ma esso, come sostiene Marrone, genera un discorso gastronomico, composto da una serie coerente di molteplici testualità, che tracima continuamente se stesso13.

2 L. Cesari, Storia della pizza, Milano, il Saggiatore 2023.


3 Per una ricostruzione storica del più celebre piatto italiano cfr. M. Montanari, Il mito delle origini, Roma-Bari, Laterza, 2019, e L. Cesari, Storia della pasta in dieci piatti, Milano, il Saggiatore, 2021.


4 J.M. Lotman, La semiosfera, Venezia, Marsilio, 1985, nuova edizione 2022, Milano, La nave di Teseo, a cura di S. Salvestroni e F. Sedda.


5 Si segnalano di Gianfranco Marrone : Buono da pensare. Cultura e comunicazione del gusto (a cura di), Roma, Carocci, 2014 ; Semiotica del gusto, Milano, Mimesis, 2016 ; Gustoso e saporito. Introduzione al discorso gastronomico, Milano, Bompiani, 2022.


6 C. Lévi-Strauss, Le totémisme aujourd’hui, Paris, Plon, 1962.


7 L. Hjelmslev, Omkring Sprogteoriens Grundleggelse, København, Munskgaard, 1943.


8 M. Douglas, Purity and Danger, Harmondsworth, Penguin Books, 1970 ; J. Soler, “Le ragioni della bibbia : norme alimentari ebraiche”, 1997, in G. Marrone, A. Giannitrapani, a cura, La cucina del senso, Milano, Mimesis, 2012.


9 S. Shapin “The philosopher and the chicken”, in Ch. Lawrence, S. Shapin, a cura, Science Incarnate, Chicago, Chicago U.P., 1998, ora in La dieta dei filosofi, a cura di I. Ventura Bordenca, Roma, Luca Sossella, 2024; Id. “How to Eat Like a Gentleman : Dietetics and Ethics in Early Modern England”, in C. Rosenberg, a cura, Right Living : An Anglo-American Tradition of Self-Help Medicine and Hygiene, Baltimore, John Hopkins U.P., 2003, ora in La dieta dei filosofi, a cura di I. Ventura Bordenca, Roma, Luca Sossella, 2024.


10 M. Montanari, Mangiare da cristiani, Milano, Rizzoli, 2015 ; E. Moro, M. Niola, Mangiare come Dio comanda, Torino, Einaudi, 2023.


11 Sulla semiotica della dieta, cfr. I. Ventura Bordenca, Essere a dieta, Milano, Meltemi, 2020.


12 E. Landowski, “Premessa all’edizione italiana”, in Gusti e disgusti. Sociosemiotica del quotidiano, a cura di, con J.L. Fiorin, Torino, Testo e immagine, 2000.


13 G. Marrone, Gustoso e saporito, op. cit.

1. Confini e valori

Entriamo nello specifico del processo di introduzione di un nuovo alimento che, quando non è casuale e involontario, ovvero esito di scambi commerciali e processi storici collettivi (come per la patata e il mais in epoca moderna, ad esempio), ma è regolato e progettato, come quello dell’inserimento degli insetti nella dieta occidentale, in nome di precise ragioni, mira a produrre un cambiamento strategico, voluto, politicamente ed economicamente orientato. Quali sono le ragioni principali del via libera al consumo di insetti ? In nome di quali valori si propone tale novità ? Le ragioni sono di tipo dietetico e ambientale : gli insetti sono considerati una risorsa alimentare sostenibile e altamente nutriente, rispetto ad altre produzioni alimentari, come la carne, che sono ad alto impatto ambientale. L’obiettivo di agenzie regolative e governi dunque è quello di trasformare le abitudini gastronomiche degli europei per ragioni di difesa della natura.

L’etichetta “novel food”, per come viene intesa oggi in ambito normativo europeo, richiede infatti l’intervento di una serie di attori (giuridici, sanitari, politici, economici), che rende complesso e formalizzato l’ingresso di un cibo in un nuovo mercato, già solo per il fatto che vengono poste una serie di regole a cui la produzione e la vendita del cibo in questione devono rispondere, e che aggiungono, alla dimensione culturale in senso stretto dell’alimentazione, altri tipi di valori : igienici, nutrizionali, ambientali, tecnologici. Non c’è dunque un contagio tra cucine che si incontrano e che si mescolano, ma c’è un processo top-down, con un preciso intervento del legislatore. Ciò porta alla seguente domanda : il valore di novità di certi cibi sta nei cibi stessi o nel fatto che attraversano una serie di filtri e regolamentazioni che instituiscono una qualche frontiera ? Quanto questo tipo passaggi aggiunge senso del nuovo ? Non è oggetto di questo studio addentrarsi in tale questione, ma è utile chiarire che il senso del nuovo è effetto di discorso.

Parlare, come si fa nel discorso giuridico e mediatico europeo, di “novel food” presuppone che ci sia un “traditional food” che però è inteso in un doppio senso : tradizionale interno, ovvero della cucina supposta come propria ; e tradizionale esterno, rispetto ad altre cucine nelle quali invece non è nuovo.

Parlare, inoltre, di “introduzione”, “accesso”, “ingresso” di cibi vuol dire pensare che le gastronomie siano dotate di confini, così, mentre si mescolano gli elementi, se ne presuppone la reciproca estraneità. Ciò significa che i processi di cambiamento alimentare gettano luce sui meccanismi di funzionamento semiotico delle cucine, in primo luogo definendo e tracciando ciò che è dentro e ciò che è fuori, ciò che è proprio e ciò che è altrui, non come qualcosa di dato ma come un movimento processuale, ondulatorio, un sussulto o un’onda, prodotti dall’avvicinamento di un elemento nuovo. Che rende evidenti, per contraccolpo, i confini esterni di quel sistema culinario. A loro volta, tali confini possono alzarsi in maniera più o meno forte e netta, oppure farsi facilmente attraversabili e porosi, a seconda del significato e del valore che tal cibo nuovo ha per la comunità a cui richiede l’ingresso.

La narrazione dominante riguardo l’introduzione degli insetti nella dieta umana, oggi, riguarda la conciliazione di valori nutrizionali e di sostenibilità : dunque da una parte ci sono valori ambientali, ecologici, dietetici, nutrizionali, insomma scientifici, una dimensione utilitaria dell’alimentazione ; dall’altra ci sono motivazioni affettive, esistenziali, legate ai valori gastronomici di identità, terroir, tradizioni, e difesa della cucina di casa, di mamma, di nonna o della nazione. Che sono quelle che portano al rifiuto degli insetti nel piatto.

Affronteremo tali questioni trattando il caso specifico della comunicazione mediatica e di brand intorno all’uso delle farine di insetti nel mercato italiano, dove il consumo di cibi a base di grilli, locuste, larve, è praticamente inesistente (a parte il cazu martzu della tradizione sarda, “cacio marcio”, un formaggio caprino colonizzato dalle larve della mosca casearia). Obiettivo è osservare come si comunica il cambiamento alimentare.

Per farlo osserveremo fenomeni accaduti sul web intorno a due video, il primo prodotto da Fondazione Barilla nel 2022, e il secondo pubblicato, poco dopo, da un famoso pizzaiolo napoletano, Gino Sorbillo. Entrambi hanno suscitato grande scalpore polarizzando le opinioni e i commenti su internet e sui media in generale riguardo l’uso degli insetti in cucina. Metteremo in relazione i due prodotti comunicativi che, pur essendo diversi tra loro come genere e finalità comunicative, si richiamano a vicenda per il tipo di strategie comunicative utilizzate e soprattutto perché pongono importanti questioni sul tema del disgusto. A seguire, osserveremo le maniere in cui due start up italiane, che producono e vendono cibo con farine di insetti, comunicano i loro prodotti (sia sul digitale sia sui packaging), giocando con la retorica della tradizione e con il grande tabù del disgusto verso gli insetti.

2. Aneddoti etnocentrici

Iniziamo con il bailamme mediatico che il via libera della UE all’uso di farina di grillo (Acheta domesticus) ha prodotto sui mezzi di informazione e social media italiani (gennaio 2023).

Sull’account Instagram di un celebre pizzaiolo napoletano, Gino Sorbillo, è comparso, nella primavera del 2023, un video in cui lo si vede preparare una pizza margherita aggiungendo farina di grillo all’impasto, e poi servirla ad amici e avventori della pizzeria : che prima la odorano, poi l’assaggiano e infine si esibiscono, chi più chi meno, in facce schifate e teatrali espressioni di disgusto. Qualcuno, dopo aver dato un morso alla pizza, che ha un colore più scuro del solito, fa finta di saltellare, come se fosse l’effetto della pietanza al grillo. L’obiettivo dell’operazione comunicativa di Sorbillo è chiaro : usare l’ironia, con la quale, lui e colleghi, si fingevano incuriositi e seriamente intenzionati ad assaggiare la pizza al grillo, per creare complicità con il pubblico, ovvero per radunare i difensori della cucina italica intorno alla lotta al nuovo e disgustoso ingrediente : gli insetti.

Nei giorni successivi, vari food influencer, cuochi, giornalisti e altri personaggi, hanno risposto sui social in modo molto piccato, offeso dallo scherzo perpetrato dalla pizza di Sorbillo. Come accade spesso, il discorso intorno a quel video si è presto spaccato : chi difendeva Sorbillo e con lui tutta la tradizione della cucina italiana; e chi invece attaccava il pizzaiolo di anacronismo, nazionalismo gastronomico, pochezza, ignoranza sul tema della nutrizione umana e della difesa dell’ambiente e così via.

In maniera molto simile, la stessa vicenda era già accaduta, alcuni mesi prima, con nomi, tempi, e canali di comunicazione differenti, ma con il comune oggetto degli insetti edibili. Nell’autunno del 2022, Fondazione Barilla aveva prodotto un video di pochissimi minuti in cui un comico napoletano si esibiva in un brevissimo monologo ironico sul tema. Si tratta di una clip che fa parte di un progetto della Fondazione Barilla chiamato “Fondazione Show” e che vede coinvolti comici, attori e food influencer in brevi presentazioni su vari argomenti di interesse culinario : lo spreco alimentare, la dieta mediterranea, l’uso parsimonioso dell’acqua in cucina etc. Divulgazione scientifica tramite testimonial dello spettacolo ; argomenti complessi (nutrizione, sostenibilità, ricerca) trattati con leggerezza.

L’obiettivo del video sugli insetti era suscitare curiosità, sollevare il dibattito, tastare l’opinione collettiva sulla norma europea. Appena pubblicato, il video scatena le ire di una parte del pubblico che inveisce contro Barilla accusandola di voler usare la farina di grillo per fare la pasta. È evidente lo scandalo : gli insetti nel piatto più amato dagli italiani. Così il video viene ritirato, e non è più disponibile sul sito di Fondazione Barilla. È però ancora visibile sull’account Twitter del politico Matteo Salvini, esponente della Lega, che in quei giorni, alla domanda conclusiva del video “e voi cosa ne pensate ?”, prontamente retwitta : “potete mangiarvela voi”. Con un chiaro riferimento all’ipotesi di una pasta Barilla al grillo.

In realtà, nel video di Fondazione Barilla non si parla di preparare la pasta con la farina di insetti. E cosa dice invece ? Perché, a vederlo meglio, si comprende quel che è successo. Riportiamo il testo del breve video, interpretato da Carmine Del Grosso :

Io non ho ancora assaggiato gli insetti
però mi hanno detto che le formiche sanno di nocciole e i coleotteri di pane integrale.
Oh, in abbinata sarebbero perfetti per la colazione!
Quando ho saputo che gli insetti vengono consumati normalmente in 140 paesi del mondo,
ho pensato “vabbè, sicuramente in altre culture dove è tipico, come l’Asia”,
invece no, pure qui in Europa : in Olanda, in Danimarca per esempio.
Tra l’altro, io ci sono stato e, visto come fate la carbonara, vi do un piccolo consigliuccio :
lasciate stare la panna, e provate a mettere dentro qualche insetto.
Ne esistono più di duemila specie.
Uno che somiglia al guanciale lo trovate !

L’attore a cui viene delegato l’obiettivo comunicativo del video è un italiano medio, non un esperto, né di cucina né di scienza alimentare, ma una persona comune che in più ha il tratto della napoletanità che lo connota come uomo del Sud Italia, a cui solitamente si associa tradizionalità nelle scelte a tavola.

Il testo funziona, per così dire, a elastico, è ambivalente, mostra una certa indecisione tra il dover prendere le distanze su grilli e vermi a tavola (“io non li ho mai assaggiati ma mi hanno detto che…”) e il tentare un accostamento tramite una strategia di ricerca di familiarità (“… le formiche saprebbero di nocciole e i coleotteri di pane integrale”). Con un pizzico di ironia che per definizione è un modo allontanarsi da quel che si dice (“in abbinata sarebbero perfette per la colazione”) — per Bertrand una delle figure dell’ironia è proprio la negazione14.

14 D. Bertrand, “Ironie et humour : le discours renversant”, Humoresques, 4, 1993.

Un andirivieni che si ripete : gli insetti sono tipici di altre culture, come quelle asiatiche (distanza), ma si usano “pure qui in Europa” (avvicinamento), come in Olanda e in Danimarca. È proprio in riferimento al modo in cui si preparerebbe in quei paesi la ricetta nazional-popolare per eccellenza, la “pasta alla carbonara”, che Del Grosso dice : “togliete la panna e metteteci gli insetti. Uno che somiglia al guanciale lo trovate”. Di nuovo ironia, questa volta con gli insetti che sarebbero meglio della panna, ma che non sono certo il guanciale.

Fondazione Barilla chiude il video con uno screen in cui si legge “Gli insetti sono diventati di interesse anche in Europa, come fonte di proteine ad alta qualità e a basso impatto ambientale. Tu cosa ne pensi ?”. Un tono serio, parascientifico, che contrasta evidentemente con il resto del video.

Il cortocircuito, nel caso del video di Fondazione Barilla, è chiaro : nonostante sia stato messo in circolazione dalla Fondazione (che non è l’azienda produttrice ma un centro di ricerca, della nota azienda di pasta, che si occupa di divulgazione, studi sull’innovazione e sostenibilità alimentari), il nome Barilla non può non far pensare al brand italiano di pasta più famoso del mondo. Da qui, le accuse all’azienda, che però di fatto non ha mai detto di voler inserire la farina di insetti, e la conseguente catena di repost e retweet che hanno divorato il video, lo hanno schiacciato in una gragnola di insulti, di cattive interpretazioni, di titoloni acchiappa-click che caratterizzano molta comunicazione mediatica disattenta e vorace.

Il fantasma della pasta ai grilli e lo scherzo della pizza saltellante sembrerebbero essere la prova che in Italia di insetti nel piatto non si può parlare per niente, a meno di non voler esser messi alla gogna. Ciò non è del tutto vero perché sono nate da poco burgherie che propongono in menu pasti a base di insetti. Come nel caso della panineria Pane & Trita di Milano, che ha inserito in menu il “grillo burger”, ottenendo un grande successo. Si tratta di un coloratissimo panino verde (effetto dell’alga spirulina, normale colorante alimentare) con un burger di legumi e patate contenente, tra le altre cose, farina di grillo (l’1,6%). E poi scamorza fusa, cavolo viola e patata americana. Una proposta che a molti è sembrata succulenta, tant’è che è andata a ruba, e che è stata proposta con molta ironia : quel pane verdissimo, che non contiene grillo ma lo evoca nel colore, è chiaramente una mossa iperbolica che, fatta dalla panineria, non ha suscitato le ire di nessuno.

Proviamo a vedere perché gli insetti, cambiando il contesto in cui vengono utilizzati, provocano reazioni differenti. Barilla è un brand, e anche il pizzaiolo Sorbillo può essere considerato tale, tanta è la sua fama tra italiani e turisti, e ciascuno porta con sé tutta una serie di significati, idee, valori legati all’italianità. Barilla, Sorbillo e insetti, nella stessa frase, provocano effetti di disgusto, certo, ma anche un certo sdegno (che del disgusto è un parente stretto, ma con una certa sfumatura rabbiosa). Il burger è legato invece a un’altra cultura alimentare, non italiana, di provenienza americana. Il disgusto che si può provare verso qualcosa può essere lo stesso, ma le regole dei contesti in cui si applica (o si prova a farlo) possono variare. Così come esistono le norme di gusto, le etichette del buon vivere, le regole di abbinamento felici, esistono anche le regole del disgusto.

All’interno di una presupposta cultura alimentare italiana, si danno reazioni di disgusto agli insetti che variano a seconda della cornice discorsiva : all’interno dell’universo della pasta e di altri cibi considerati come più tipici, in presenza di precisi Enunciatori (Barilla e suoi affini) si ottengono reazioni di rifiuto e di conseguente disgusto; all’interno di differenti situazioni discorsive, con altri Enunciatori (la burgheria), e conseguenti altri patti comunicativi, si producono reazioni di accettazione della novità. È dunque la dimensione discorsiva a determinare il valore gustativo di un piatto, e la sua accettazione positiva (gusto) o negativa (disgusto).

Esattamente come il gusto è un fatto sociale, attraverso il quale comunichiamo noi stessi e la condivisione a una certa comunità, vale lo stesso per gli effetti di disgusto : non solo condividiamo ciò che ci piace, ma anche ciò che non ci piace, che ci disgusta, e attraverso un preciso insieme di rifiuti esprimiamo la nostra appartenenza sociale e culturale. Mentre in altre gastronomie, mangiare insetti è una tradizione culinaria vecchissima, nella cultura italiana non lo è, ma, come emerge dall’esempio del burger al grillo, il rifiuto è mitigato dal contesto, da ciò con cui entra in relazione. Il suo senso cioè, persino nella gastronomia italiana, è più relazionale di quanto si pensi.

3. Sensi del futuro

Come detto, ci sono cibi nuovi che vengono progressivamente adattati e addomesticati. E non si tratta sempre di introduzioni esotiche, perché possono ricadere nell’alveo del cosiddetto “novel food” anche prodotti di nuova invenzione che hanno fatto la storia dell’alimentazione, come i surgelati degli anni 60 e 70, le merendine preconfezionate, persino la Coca-Cola. È storia nota che la Coca-Cola sia stata inventata, alla fine dell’Ottocento, come un tonico digestivo, una sorta di farmaco, qualcosa che stava a metà tra quel che oggi sarebbe un integratore alimentare e un energy drink. È diventata una bevanda zuccherata dissetante simbolo di americanità solo durante la Seconda Guerra Mondiale, quando venne messa in campo una campagna di comunicazione che associava la bevanda alla nazione americana, alla vita dei soldati impegnati sul fronte, mostrandone però la compatibilità con le vite e le culture con le quali i soldati entravano in contatto, come quella del Sud Italia15. Pochi anni dopo, negli anni 50 e 60, con l’obiettivo di conquistare i consumi degli italiani, Coca-Cola scelse di puntare sulla figura della padrona di casa, detentrice del buon gusto e delle regole della casa, per annunci nei quali si vedono signore ben vestite giocare a carte con le amiche e sorseggiare la bevanda scura insieme a stuzzichini in un elegante salotto16. Come a dire che il gusto della Coca-Cola non era solo un fatto di papille gustative, ma prima di tutto una questione di estetica e saper vivere.

15 Sul cultural branding cfr. D. Holt, How Brands Become Icons. The Principles of Cultural Branding, Boston, Harvard U.P., 2004. Sul caso specifico di Coca-Cola come simbolo cfr. P. Peverini, “Coca-Cola”, in D. Mangano, F. Sedda, a cura di, Simboli d’oggi, Milano, Meltemi, 2023.


16 Per una disamina di alcuni casi dell’uso in pubblicità di nuovi cibi si veda il lavoro di Mangano sulla comunicazione alimentare : D. Mangano, “Immaginari gastronomici”, in Id. Ikea e altre semiosfere, Milano, Mimesis, 2019.

A compiere questa operazione di semantizzazione, di costruzione del senso era la pubblicità. Impegnata, grosso modo negli stessi anni, anche vendere la birra agli italiani, che notoriamente bevevano vino. Gli annunci della campagna generica di promozione della birra mostravano la bevanda dorata e schiumosa in contesti che per il pubblico dell’epoca erano comprensibili : ecco quindi la scena del pranzo della domenica in famiglia attorno all’arrosto (al quale prendevano parte con un bel boccale in mano anche i bambini) o la tavola del contadino, a scacchi rossi e bianchi con formaggio, pere e coltello.

Qualcosa di simile è accaduto con l’arrivo dei Bastoncini di pesce della Findus, tranci di merluzzo impanati e surgelati. Rappresentavano una novità per il mercato e per le abitudini culinarie italiane, non tanto per la materia prima (il pesce), quanto per la forma che assumeva per la prima volta (piccoli parallelepipedi che di pesce non avevano più nessun aspetto né tanto meno le spine) e per il fatto che fossero tranci già precotti, dunque veloci da preparare in pochi minuti. Le pubblicità degli anni 70, periodo della loro introduzione, li rappresentano serviti in un piatto un’insalata di lattuga e pomodoro, uno dei tipici contorni italiani del pesce, e alcune fette di limone, anche questa usanza che accompagna il fritto. L’headline dell’annuncio recitava “proprio come deve essere il ‘secondo’ oggi” riferendosi contemporaneamente a un’abitudine (il secondo del menu alla russa che in Italia prevede solitamente carne o pesce) e al tempo stesso al cambiamento (“oggi”).

Si trattava dunque, ancora una volta, di utilizzare una griglia culturale preesistente, il pasto secondo la norma collettiva (il “secondo” italiano) per dar significato a un prodotto interamente nuovo.

Non molto diversamente, negli ultimi anni, alcuni brand di cibi veg vendono “burger”, “salsicce” “ragù”, “bistecche”, “affettati”, “cotolette” a base vegetale richiamando così nel nome pietanze di carne : anche in questo caso, si osserva l’applicazione di schemi noti, di forme che rendono comprensibile e accettabile il nuovo17. I termini “bistecca” o “ragù” sono utilizzati per esprimere una maniera di mangiare, un tipo di pietanza, una collocazione di consumo per un tipo di alimenti come quelli vegetali che sono in corso di diffusione nel mercato italiano.

17 Per un’analisi semiotica del packaging di un corpus di prodotti vegani e vegetariani nel mercato italiano cfr. I. Ventura Bordenca, “Cibi veg. Estetiche dell’imitazione” in Id. Food Packaging, Milano, FrancoAngeli, 2022.

La pubblicità, che, per ruolo e necessità, ha sempre a che fare con il cambiamento, si rivela fondamentale nel dare senso al nuovo alimentare : propone modalità e occasioni d’uso, inscrive valori, costruisce enunciatari, prendendo a piene mani però dalla cultura, dalle abitudini, da ciò che la gente si aspetta di trovare nel piatto.

Nel caso dei novel food a base di insetti, che valori mettono in campo i brand per ridurre il senso di estraneità, se lo fanno ? Si prendono qui in considerazione due aziende italiane, Fucibo e Small Giants, che vendono chips, crackers, farine e, da poco, anche pasta.

3.1. Funzionalismo alimentare

I due brand name sono diversi : Fucibo è la crasi delle parole italiane “futuro” + “cibo”, con un riferimento diretto anche se non evidente al lettore al cambiamento e al futuro ; Small Giants invece parla degli insetti stessi, “piccoli giganti”, ma in maniera indiretta ed è il risultato di un rebranding (prima l’azienda si chiamava Crické, dall’inglese crickets, grilli). Nel packaging dei cracker di Small Giants (fig. 1), compaiono disegni di grilli umanizzati che portano scarpe e pantaloni, resi con una grafica molto colorata e fumettosa, con “gambe” e “braccia” esageratamente grandi : un’iperbole ironica che permette di ritrarre l’insetto ma a una sufficiente distanza, quella data dalla nota ironica. I pacchetti di Fucibo (fig. 2), invece, non riportano in alcun modo figure riconoscibili che possano richiamare i grilli, ma una comune patatina tonda al centro.

In ogni caso, l’insetto nudo e crudo non va sul pack, al contrario di quel che accade in confezioni di snack e farine prodotte e vendute in altri paesi.

Fig. 1. Packaging e grafica Small Giants.

Fig. 2. Packaging e grafica Fucibo.

In entrambi i casi, la tendenza comunicativa generale dei due brand è quella di inscrivere nei cibi a base di insetti valori di tipo funzionale, ovvero, perfettamente in linea con le indicazioni degli organismi sovranazionali competenti e con le istanze dietetiche contemporanee, evidenziando che si tratta di alimenti ad alto contenuto proteico, ricchi di fibre e soprattutto a basso impatto ambientale. Una valorizzazione pratica che, come detto, è dominante in generale nel discorso contemporaneo sugli insetti a tavola, sia nel mercato italiano sia in quello europeo.

Ecco che, per esempio, Small Giants, che fa una comunicazione quasi interamente digitale (web e social media), presenta snack e barrette come perfetta integrazione post-workout oppure con l’appellativo superfood, riferendosi con questo termine al modo in cui alcuni cibi oggi vengono considerati capaci di migliorare le prestazioni fisiche, di dare particolare energia, di apportare particolari benefici nonostante non ci sia alcuna prova scientifica a supporto (si pensi alla frutta secca, al tè verde, all’alga spirulina e a tanti altri ingredienti, la cui lista si allunga o si accorcia a seconda della moda del momento — l’uso del termine “superfood” sulle confezioni dei prodotti è stato vietato sulle dall’Unione Europea nel 2007).

Sull’account Instagram di Small Giants e nel “Manifesto” che si trova sul loro sito, infatti, si legge “Perché gli insetti ?” : la risposta è una lista di benefici per il corpo e per la natura.

Anche Fucibo usa la medesima valorizzazione degli insetti edibili, anche ponendo a confronto visivo, attraverso grafici, vari tipi di fonti animali rispetto ai nutrienti che contengono. Cosa che fa spiccare gli insetti in qualità di cibi perfettamente in linea con i dettami dietetici odierni, che preferiscono le proteine ai grassi, e che evidenziano il ruolo benefico di particolari nutrienti, come l’omega-3 di cui gli insetti sono dotati quasi quanto il pesce.

Del resto, già porre la domanda sul perché sia bene mangiare grilli e derivati presuppone un Enunciatario ancora da convincere : un soggetto della ricezione inscritto che è delineato come qualcuno dotato non solo di un non-sapere ma probabilmente anche di un non-volere. Video, post, e altri prodotti comunicativi messi in campo per spiegare il “perché” è utile cambiare alimentazione e votarsi agli insetti, sono mezzi con cui il brand investe valore in questa scelta. Si tratta dunque della fase narrativa della manipolazione.

La funzionalizzazione del cibo, ovvero l’inscrizione di valori strumentali, è una delle strategie comunicative possibili quando un brand lancia un nuovo prodotto. L’epoca pubblicitaria successiva alla Seconda Guerra mondiale, sia nel mercato europeo sia extraeuropeo, era caratterizzata ad esempio dalla massiccia introduzione di alimenti industriali (brodi liofilizzati, latte in polvere, acque minerali imbottigliate, carne inscatolata, biscotti al Plasmon, dadi e insaporitori e così via) che erano molto di frequente presentati in un’ottica funzionale : si presentavano come cibi ad alto valore nutritivo o con un’elevata capacità di dare energia, forza, non solo a chi li consumava, ma anche ai piatti in cui venivano utilizzati. Ad esempio, le pubblicità italiane del dado pronto Star degli anni 50 evidenziavano che, a differenza del brodo fatto in casa, il dado industriale era capace di donare sapori molto più intensi alle pietanze in cui veniva mescolato. Per far comprendere il senso del cambiamento, occorreva inserirlo in una logica di servizio, funzionale. Persino le pubblicità per il consumo di birra degli anni 60, a cui abbiamo fatto prima riferimento, dichiaravano che la birra facesse bene e fosse buona per la digestione.

Tuttavia, ciò non significa che un cibo nuovo prima debba passare dalle maglie dell’utilità e poi possa accedere ad altri valori, simbolici, esistenziali. È il caso di brand che hanno fatto al contrario : come Findus con i Sofficini negli anni 70, fagottini pre-fritti e con ripieno salato, che subito sono stati presentati come una novità in sé, valorizzata come divertente, capace di far sorridere tutta la famiglia, soprattutto i bambini; o come il potente rebranding di Coca-Cola che, durante la guerra, ha puntato tutto sul valore dell’americanità e della conciliazione con le altre culture, di fatto usando, per penetrare in mercati nuovi, una valorizzazione di tipo utopico.

3.2. Quella non è una tradizione

 

C’è infatti un’altra strategia che viene messa in campo da Fucibo e Small Giants, con la quale entrambi i brand colpiscono al cuore del gastronazionalismo18 italiano, svelando che certi ingredienti e certi piatti, ritenuti tipici della tavola italica, vengono in realtà da lontano e che anch’essi, un tempo, sono stati percepiti come nuovi e strani : della pasta alla carbonara, per esempio, si svela l’origine americana ; dei pomodori e delle patate si ricorda che provengono dall’America e che oggi fanno parte a pieno della cosiddetta dieta mediterranea. In alcuni casi, proprio a proposito di carbonara, si gioca sui limiti della ricetta, come nel post di Fucibo in cui si dice che la pasta alla carbonara fatta con farina di insetti è ancora una carbonara, mentre con la panna non lo è (come si dice anche nel video di Fondazione Barilla).

In altri casi, viene svelato il punto di vista in senso storico, ovvero il cambiamento di percezione che gli insetti o altri animali hanno subito nel corso dei secoli. Dell’aragosta, attraverso l’uso di meme, si racconta che era considerata fino al ‘700 tutt’altro che un cibo lussuoso e costoso, bensì cibo per schiavi e fertilizzante per campi. Viene anche paragonata con lo scorpione, che vi somiglia nell’aspetto, come a dire che se mangiamo l’aragosta, con quelle chele e quel carapace, non si vede perché non dovremmo gustare altri animali simili. E si inizia persino a diffondere l’opinione secondo cui l’entomofagia fosse una pratica comune nell’antica Roma.

18 Per questo termine v. M. Fino, A.C. Cecconi, Gastronazionalismo, Busto Arsizio (Va), People, 2021.

È l’uso strategico a fini comunicativi della cosiddetta “invenzione della tradizione”, un processo noto ad antropologi e sociologi, a partire dalla pubblicazione del volume di Hobsbawn e Ranger19 nel quale si mette in evidenza come simboli, oggetti e rituali che si ritengono tipici e propri di una comunità e intorno ai quali essa si stringe e si riconosce massicciamente, siano in realtà il risultato di processi di costruzione collettiva e svolta da vari attori (media, giornalisti, storici, etc.). Un fenomeno che nella gastronomia è pressoché la norma20 e che non va inteso però nel senso di generazione di menzogne (ci sarebbero così tradizioni “vere” e tradizioni “inventate”) ma nel senso che qualsiasi costrutto di senso è il risultato di processi discorsivi che intrecciano il discorso gastronomico con tutti gli altri che circolano nella società, fondandola : storico, scientifico, commerciale, medico.

La via intrapresa da Fucibo e Small Giants è chiara : cogliere ed evidenziare le somiglianze tra il presente e il passato, far scoprire richiami laddove non si pensavano possibili, rendere edotto l’Enunciatario non solo sui benefici plausibilmente concreti degli insetti, ma soprattutto sul funzionamento stesso della gastronomia e della cucina, svelandone meccanismi inaspettati e mettendone in crisi le sicurezze : è una sorta di competenza meta-gastronomica quella su cui si punta per integrare gli insetti nella dieta italiana. Al fine di sollecitare apertura e curiosità, si mostra come il nuovo ci sia sempre stato e che rifiutarlo è solo una maniera storica e situata di vedere le cose. Prima o poi, infatti, esso viene accettato, inglobato e magari si trasforma in piatto nazionale.

In questa direzione, sono anche i video parodistici di Fucibo in cui si mettono alla berlina i pregiudizi nei confronti degli italiani a tavola, noti per essere conservatori e tradizionalisti : ragazzi molto giovani a una festa mangiano snack a base di insetti, manifestando apprezzamento e gesticolando moltissimo, mentre suona una musica tradizionale italiana (C’è la luna in mezzo al mare) e la caption dice “you eat insects during an Italian party”. Il punto di vista sembra essere quello di un osservatore esterno alla cultura italiana — non è un caso che buona parte della comunicazione social di Fucibo è sia in italiano sia in inglese — al quale mostrare quanto i giovani italiani siano invece aperti alla novità.

Meno efficace dal punto di vista comunicativo, invece, è dire, come fanno entrambi i brand in alcuni post, che abbiamo sempre mangiato insetti perché il colorante rosso che si trova in caramelle, yogurt alla fragola, polpa di granchio, insaccati, cocktail e dolciumi, deriva dalla cocciniglia. In questo modo, infatti, a essere poste a confronto sono cose molto diverse tra loro : da una parte, una scelta alimentare, di gusto, etica, o di qual si voglia ragione, concretizzata in cibi specifici con una forma individuabile e propria (patatine, crackers, crostini etc.), dall’altra invisibili elementi chimici che non vengono percepiti come parte dell’alimentazione, ma della preparazione industriale a monte.

19 E.J. Hobsbawn, T. Ranger (a cura di), The Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge U.P., 1983.


20 Si vedano i già citati lavori di M. Montanari e L. Cesari ma anche quelli di Alberto Grandi, tra cui Denominazione di origine inventata, Milano, Mondadori, 2018.

3.3. Di cosa sanno gli insetti ?

Che ne è del gusto ? A parte esclamazioni generiche del tipo “dannatamente buoni”, “extra-taste”, “strabuone” riferite a patatine e snack, nella comunicazione dei due brand oggetto d’esame si osserva una sorta di ragionamento esplicito e generale su gusti e disgusti. Innanzitutto, il disgusto viene verbalizzato, ad esempio riportando sui social, accanto ai commenti negativi che alcuni followers lasciano sotto i post dei brand (“vomitevole”, “disgustosi”, “che schifo”, e così via), quelli positivi di consumatori felici (“buoni”, “non me lo aspettavo”, “deliziosi” etc.). Un’opposizione molto marcata e al tempo stesso semplicistica che si collega alla seconda maniera con cui si parla di gusti e disgusti, ovvero secondo la retorica del de gustibus non disputandum est : “non è buono ciò che è buono, ma è buono ciò che piace”, si legge in un post di Fucibo, ad esempio. Una retorica che da tempo la semiotica del gusto ha abbandonato, mostrando come invece dei gusti si discute e si commenta eccome21, e che anzi proprio dichiararsi da un lato o dall’altro di una scelta a tavola sia un modo con cui tutti esprimiamo la nostra identità sociale e culturale.

21 E. Landowski e J.L. Fiorin (a cura di), O gosto da gente, o gosto das coisas. Abordagem semiótica, San Pablo, EDUC, 1997. Trad. it., Gusti e disgusti. Sociosemiotica del quotidiano, op. cit.

Accanto all’uso di questi cliché sul gusto, ci sono altre due maniere con cui compare la dimensione gustativa. Il primo è l’assaggio alla cieca : vengono filmate persone a cui vien fatta assaggiare una patatina ai grilli senza che sappiano di cosa sia fatta e che si mostrano prima soddisfatte del gusto e poi meravigliate di scoprire che quella patatina così buona conteneva farina di insetto. La seconda tecnica è il ricorso a una persona anziana come testimonial : il video in questo caso ritrae un signore o una signora a cui si chiede di assaggiare lo snack agli insetti e che mangia annuendo e approvandone il sapore. “Nemmeno Leone può resistere all’extraTaste experience di Fucibo” è la caption di un video di Fucibo, in cui il signor Leone assaggia i biscotti alla farina di insetti e dice che sono buoni, mentre parla in dialetto veneto, producendo così anche un effetto di reale.

Si tratta di video che compaiono sui social di entrambi i brand e che hanno come obiettivo generale quello di mostrare la fragilità dei tabù culturali. Nel caso dell’assaggio blind, il messaggio è che a fermarci dall’ingerire insetti è solo una barriera mentale, un problema di preconcetti, una questione culturale, perché, al test dell’assaggio, lo snack alla farina di insetti si rivela croccante e saporito come altri. L’idea, più o meno esplicita dei video, è che si possano separare cultura (il tabù) e natura (il gusto inteso come sollecitazione fisica delle papille gustative) e che si possa invertire il processo che dai condizionamenti mentali porta al rifiuto fisico, di modo che non si vada più dalla cultura al corpo, ma al contrario, dalla bocca alla mente, dal corpo alla cultura. Con l’effetto agognato di cambiare proprio lo schema culturale e appreso.

I video con protagonisti gli anziani giocano sul fatto che, nella cultura gastronomica italiana, essi siano i detentori della tradizione e in quanto tali più restii al cambiamento, rendendo così la loro testimonianza particolarmente valida e credibile : se persino per loro il novel food non è un problema e soprattutto sono disponibili ad assaggiarlo, allora il senso del nuovo viene evidentemente mitigato. Anche perché il target di Small Giants e Fucibo è composto principalmente da giovani, aperti e curiosi, attenti alla sostenibilità e che si curano del futuro del mondo : rispetto a essi, quelle figure anziane rappresentano con ogni evidenza i nonni, una parte della famiglia particolarmente cara e da rispettare nella cultura italiana, ma anche una parte della società legata al passato e per la quale il futuro ha un significato molto differente.

Se in questi video il giudizio di gusto non va oltre una generica affermazione di bontà o un’esclamazione di positiva sorpresa, da altre parti, come visto, ad esempio, per il video di Fondazione Barilla, si cerca di legare il sapore delle farine di insetto ad altri sapori noti del sistema alimentare : si legge dunque che sanno di nocciole, mandorle, pop-corn o funghi secchi. In questo caso, è in atto, da parte del brand, un uso opposto delle griglie culturali gastronomiche perché, piuttosto che tentare di romperle, esse vengono sfruttate allo scopo di ridurre il senso di estraneità, calandole sulla materia alimentare degli insetti per dotarla di un qualche senso, orientamento. Si usa una serie di sapori, ben noti e appresi, per dare un significato e un posto a cibi che ancora non ne hanno. Dinamiche di tal genere, che vanno dal dominio della conoscenza a quella della sensorialità e viceversa, richiamano il funzionamento base della significazione gastronomica, costituita dai due livelli individuati da Marrone : il saporito e il gustoso22.

22 Cfr. Gustoso e saporito, op. cit.

Secondo Marrone, ogni esperienza gustativa avviene su due diverse dimensioni, quella che riguarda l’insieme di sapori noti, di gusti appresi, di tradizioni, di conoscenze specifiche su prodotti ingredienti e materie prime, e che egli chiama il gustoso, e quella che riguarda invece la dimensione strettamente sensoriale, la percezione dei contrasti, le sollecitazioni puramente fisiche dei cibi (caldo / freddo, molle / duro, secco / umido, pastoso / discreto etc.), chiamato saporito. Il gustoso è “il sistema di senso che si instaura grazie al riconoscimento sensoriale di figure del mondo già note. Di modo che, assaggiando qualcosa, siamo in grado — con competenze variabili a seconda delle specializzazioni individuali o delle situazioni contestuali — di individuare di che cosa si tratta grazie ai nostri schemi semantici e culturali”23. Il saporito è “la sede di ‘ragionamenti sensoriali’ a sé stanti, che opera tramite processi percettivi non più legati a schemi cognitivi pregressi ma a una presa in carico diretta delle qualità sensibili proprie alle sostanze gastronomiche”24. Naturalmente, nell’esperienza vissuta, la percezione sensoriale legata al gustoso e quella legata al saporito tendono a confondersi continuamente, ma quel che qui ci importa di sottolineare è che il senso del cambiamento si dà sul crinale di queste due dimensioni : talvolta, sapori già noti che permettono di adeguare gusti estranei (dal gustoso al saporito), talvolta sollecitazioni sconosciute che rompono gli schemi culturali e man mano si insinuano tra le trame di nuove classificazioni (dal saporito al gustoso).

È infatti quel che emerge nella comunicazione dei due brand presi in considerazione, che giocano sia sul passaggio dal saporito al gustoso (l’assaggio blind che rompe le aspettative), sia sulla direzione contraria che va dal gustoso al saporito (applicazione di griglie di sapori noti).

23 Op. cit., p. 105.


24 Ibid.

4. Classificazioni e fuori posto

Si pongono a questo punto alcune questioni di tipo più teorico. Per prima cosa, è utile far riferimento a quanto diceva l’antropologa Mary Douglas sul tema, ricchissimo, della purezza e del pericolo : essi derivano dalla rottura delle regole sociali e umane che stabiliscono ciò che puro e ciò che non lo è, ciò che è consono a un certo contesto e ciò che è inadatto25. Il problema, diceva Douglas, ad esempio, non sono le scarpe in sé, che sono sporche, ma le scarpe sul tavolo ; così come sporco diventa il piatto da cui abbiamo appena mangiato se rimane ancora sulla tavola e non va subito nel lavello della cucina ; o così come non vanno bene gli oggetti da bagno in salotto o i vestiti sporchi sul letto. Il senso dell’impuro e del contaminato non sta nelle cose ma nella relazione tra di esse. Allora forse il problema non è il grillo, tutto sommato innocuo finché non va a finire nei posti dati come sbagliati : che stia a terra, ma non sul piatto, anche se polverizzato in farina. E poi, se proprio deve essere mangiato, nel burger e negli snack può essere inserito, ma nella pasta e nella pizza, per quello che esse significano nella cultura alimentare italiana, genera reazioni disforiche.

25 M. Douglas, Purity and Danger, Harmondsworth, Penguin Books, 1966. Trad. it. Purezza e pericolo, Bologna, il Mulino, 1993.

È appunto una questione di rapporti tra elementi, i quali cambiano significato proprio in base all’insieme di altri elementi con cui entrano in relazione. In particolare, secondo Douglas, le regole di purezza e contaminazione servono a esprimere e mantenere l’ordine sociale, tant’è che la contaminazione è definita come “la reazione negativa contro ogni oggetto o idea che può confondere o contraddire le classificazioni a cui siamo legati”26. Introdurre gli insetti a tavola dunque significa apportare un cambiamento che significa un altro cambiamento, molto più grande, un problema di rapporti e classificazione tra gli elementi e gli esseri con cui una certa cultura organizza se stessa.

26 Op. cit., p. 78.

Da questo punto di vista, l’introduzione degli insetti nella dieta italiana va oltre il modello proposto da Leach27 sul rapporto tra spazi antropici e carni animali. Anche in quel caso, Leach interrogandosi sui tabù riguardanti certi animali, avanzava l’ipotesi che nella cultura occidentale il divieto di mangiare i pet o gli animali esotici derivasse da una precisa organizzazione dello spazio umano e non umano, in particolare in funzione di ciò che è vicino / lontano : sintetizzando, gli animali che occupano lo spazio antropico più prossimo, ovvero la casa (cani, gatti, uccellini etc.), sono tabù, mentre è accettabile mangiare la carne di animali che si trovano in uno spazio intermedio (come la fattoria, dunque bovini, ovini e suini e parte della selvaggina), e ritorna inaccettabile cibarsi di animali troppo lontani dallo spazio umano, quelli che vivono in spazi percepiti come molto lontani (giungle e foreste, ad esempio, dunque leoni, coccodrilli, canguri, sono fonti di carni che rientrano nel non mangiabile). Marrone ha proposto un’integrazione della classificazione antropologica di Leach con gli spazi antropici di origine enunciazionale di Rastier e con le figure del corpo di Fontanille28 :

27 E. Leach, “Anthropological Aspects of Language : Animal Categories and Verbal Abuse”, in E.H. Lenneberg (a cura di), New Directions in the Study of Language, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1964.


28 F. Rastier, “L’action et le sens. Pour une sémiotique des cultures”, Journal des anthropologues, 85-86, 2001. J. Fontanille, Figure del corpo, Roma, Meltemi, 2004.

Schema di “spazi e distanze tra corpi mangianti e corpi mangiati”,
in G. Marrone, Gustoso e saporito, op. cit.

In un certo senso, gli insetti rompono questo schema perché si trovano ovunque : sia nella prossimità della casa, sia all’interno, sia molto lontani da essa. Occupano lo spazio privato (ici), classificandosi come non-cibo, come “commestibile riprovevole”, ma non in virtù della vicinanza affettiva ; al tempo stesso si trovano nel là-bas come “commestibile avventuroso” pur occupando spazi prossimi a quelli umani. In questi però, spesso si insediano negli anfratti, nelle crepe, negli spazi bui, nelle tubature, dietro i mobili. E quando occupano lo spazio intermedio del (i grilli, ad esempio), che è lo spazio del cibo per eccellenza, hanno il divieto pressoché assoluto di entrare nello spazio domestico. L’insetto, dovunque si trovi rispetto al corpo umano e al suo spazio più prossimo, nella maggior parte della cultura occidentale, è un fuori posto.

 

C’è dunque un problema di genere di appartenenza dell’insetto, della sua classificazione, simile a quello che si trova nelle regole dietetiche ebraiche, nelle quali alcuni insetti sono consentiti e altri no. Come è definito nelle rigide e dettagliate norme del Levitico, sono vietati quelli che strisciano e brulicano perché non appartengono né all’aria né alla terra né all’acqua, e in virtù del fatto che il loro movimento è ambiguo, inclassificabile. Questa ambiguità è legata alla loro impurità, all’impossibilità di classificarli che ne causa appunto l’essere animali impuri29. Da qui la necessità della distanza e il disgusto ad averli nel piatto, in mano, in bocca, dentro il corpo, in quanto troppo vicino. Del resto, l’ingestione e l’incorporazione è una logica di base dell’atto del mangiare, con tutte le implicazioni euforiche e disforiche su cui si sono espressi antropologi e psicanalisti, da Lévi-Strauss a Freud.

Una prossimità con l’ambiguo che turba, come suggerisce Kolnai a proposito di ciò che egli definisce il disgustante : un eccesso di vitalità, un brulicare eccessivo e confuso — non a caso fa riferimento proprio ai vermi e a ciò che è marcio e decomposto — ma anche una mescolanza poco chiara, un’ambiguità viscosa30 che è propria della materia biologica, pure quando collegata a dimensioni morali (il disgusto che si prova per comportamenti umani)31. Il disgusto, suggerisce il filosofo tedesco, inoltre, va distinto da altri sentimenti di difesa, come la paura, l’orrore32, il dispiacere, come parte della psicologia sostiene legando al senso del disgusto ragioni funzionalistiche e di difesa dai cibi tossici. Per Kolnai, il disgusto è invece più un malessere, scatenato da una provocazione che l’oggetto del disgusto esercita sul soggetto, il quale tende ad allontanarsi da esso per questo, per il pericolo del contagio, del contatto anomalo.

29 Cfr. J. Soler, “Le ragioni della bibbia : norme alimentari ebraiche”, 1997, in G. Marrone, A. Giannitrapani, a cura, La cucina del senso, Milano, Mimesis, 2012.


30 Sulla viscosità come esperienza primaria disgustante si era espresso Sartre che ne sottolineava proprio la dimensione ambigua, né solida né liquida, e soprattutto l’aspetto appiccicoso, il contatto eccessivo, invadente della materia vischiosa. Riprende queste considerazioni proprio Mary Douglas a proposito del senso della contaminazione.


31 A. Kolnai, “Der Ekel”, Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, X, 1929.


32 Sulla paura in campo alimentare cfr. M. Ferrieres, Histoire des peurs alimentaires, Paris, Seuil, 2002 ; A. Grandi, Storia delle nostre paure alimentari, Sansepolcro, Aboca, 2023.

Ecco perché l’uso nel mercato europeo non di insetti interi ma delle loro farine, ovvero della loro presenza polverizzata : gli insetti polverizzati, ridotti in farina, perdono la dimensione biologica, gli umori, le differenze materiche, i contrasti delle sostanze di cui sono fatti. Il secco predomina sull’umido e riduce il pericolo dell’impurità del marcio e del decomposto.

Conclusioni

Tornando alla domanda iniziale, ovvero a come, quando una novità alimentare bussa alla porta di un sistema gastronomico, ridefinisce quest’ultimo e se stessa in un rapporto di differenza che dona senso all’uno e all’altra reciprocamente, si possono fare alcune riflessioni conclusive.

La prima è che non è utile elaborare considerazioni generali su interi sistemi ma è più fecondo lavorare su universi discorsivi delimitati e dunque a partire da precisi patti comunicativi e pacchetti di valori, come il caso della pasta e della pizza, da un lato, e del burger, dall’altro hanno dimostrato. La percezione del cambiamento e la misura di esso, con tutte le reazioni di rifiuto o accettazione, non sono generalizzabili ma vanno circoscritte a fenomeni discorsivi individuabili e a manifestazioni testuali specifiche.

La seconda riflessione riguarda quella dialettica che abbiamo individuato nel caso studio dei due brand presi in esame, tra schemi appresi (gustoso) e sollecitazioni sensoriali (saporito) perché ci sembra un processo che può spiegare i cambiamenti dei gusti a tavola. Da una parte il nuovo, lo sconosciuto, tende a essere costantemente semantizzato assimilandolo entro strutture riconoscibili ; dall’altra, progressivamente porta anche a erodere tali strutture, mescolandosi a esse, trasformandole, e producendone così via via delle altre. È nella tensione tra dimensione culturale (nel senso di più elaborata) e appresa e dimensione naturale (nel senso di meno elaborata) e corporea, che si producono i processi di cambiamento.

Infine, l’introduzione degli insetti in cucina, lungi dall’essere un fenomeno esclusivamente alimentare, nutrizionale o di sostenibilità, riguarda questioni molto ampie di organizzazione culturale, di classificazione del mondo, potremmo dire di cucina politica, intendendo con questo termine proprio la dimensione collettiva, sociale, agentiva dell’alimentazione, che dalla tavola va al collettivo sociale e viceversa.

 

Usiamo il termine collettivo in senso stretto, come metalinguaggio della proposta avanzata da Bruno Latour riguardo il funzionamento della politica e della società umane : piuttosto che pensare Natura e Cultura, umani e non umani come entità separate, occorre ripensarci come assemblaggi di umani e non-umani, reti di attori eterogenei che si espandono, modificano, restringono a seconda dell’entrata e uscita da tale collettivo di nuovi e vecchi elementi33. Il processo di ingresso e fuoriuscita nel collettivo è secondo Latour un movimento attraverso cui “entità in appello” che sono fenomeni di cui ancora non si è stabilita la natura (scientifica, politica, sociale, spirituale etc.) chiedono di entrare nello collettivo, nel quale si attiveranno una serie di processi e di rapporti di forze che stabilizzeranno poi quell’entità come “naturale” o “culturale”, “scientifica” o “politica”, “sociale” o “tecnologica” e così via, costituendo via via i poli estremi del pensiero moderno basato proprio sulla separazione — costruita e dibattuta — tra Natura e Cultura. Ovvero tra fatti, ritenuti oggettivi, scientifici e indiscutibili (ma che sono l’esito di un processo di costruzione) e valori, che sono la dimensione simbolica, politica, intersoggettiva, contrattuale. Nel funzionamento di un collettivo così inteso, un regno comune dove non si danno separazioni a priori, le nuove entità subiscono un processo di presa in considerazione che, attraverso i poteri di Perplessità (che si interroga sull’entità in ingresso) e Consultazione (che cerca di costituirla come “fatto”), porta al processo successivo, quello di ordinamento, con cui Gerarchia (che pone nuove scale di valori) e Istituzione (che trova un posto alle entità che erano in appello) riorganizzano il collettivo nel suo complesso. È accaduto, per restare nel campo dell’alimentazione, con i vini naturali, su cui enologi, agronomi, gastronomi e studiosi si sono interrogati, e si continuano a interrogare, cercando di dare un posto a un prodotto che stravolge le regole di produzione e anche estetiche, di gusto, percezione e classificazione del vino : vere e proprie entità in appello che chiedono di essere stabilizzate e istituzionalizzate34.

33 B. Latour, Nous n’avons jamais été modernes, Paris, La Découverte, 1991 ; Politiques de la nature, Paris, La Découverte, 1999.


34 Su cui ha scritto G. Marrone in Semiotica del gusto, Milano, Mimesis, 2016.

Gli insetti chiedono di entrare nel collettivo, e su di essi si pongono interrogativi, si sollevano scudi, si battono pugni, si generano curiosità, mentre si cercano spiegazioni scientifiche, misurabili, oggettive : il nuovo si produce e si trasforma in un continuo oscillare tra costituzione dei fatti ed emergere dei valori. Il collettivo non è un’assemblea chiusa, ma è un mondo comune per definizione in espansione. Non è nemmeno il regno del relativismo dove tutto equivale a tutto, e dunque niente ha valore, ma al contrario è il regno del relazionalismo35, ovvero della costruzione delle reti di senso, e dove ogni possibilità di cambiamento può svolgersi lontana dalle posizioni, contrarie tra loro ma equamente pericolose, del relativismo nichilista e del riduzionismo etnocentrico.

35 Su questo termine si veda l’articolo di Marrone sulla rivista doppiozero (18 ottobre 2023, https://www.doppiozero.com/bruno-latour-contro-la-modernita) dedicato alla ripubblicazione in Italia del volume-intervista di B. Latour “Disinventare la modernità” (Bologna, Eleuthera, 2023).


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Shapin, Steven, “The philosopher and the chicken”, in Christopher Lawrence e Steven Shapin, a cura, Science Incarnate, Chicago, Chicago U.P., 1998, ora in I. Ventura Bordenca, a cura, La dieta dei filosofi, Roma, Luca Sossella.

— “How to Eat Like a Gentleman : Dietetics and Ethics in Early Modern England”, in C. Rosenberg, a cura, Right Living : An Anglo-American

Tradition of Self-Help Medicine and Hygiene

, Baltimore, John Hopkins U.P., 2003, ora in I. Ventura Bordenca, a cura, La dieta dei filosofi, Roma, Luca Sossella.

Soler, Jean, “Le ragioni della bibbia : norme alimentari ebraiche” (1997), in G. Marrone e A. Giannitrapani, a cura, La cucina del senso, Milano, Mimesis, 2012.

Ventura Bordenca, Ilaria, Essere a dieta, Milano, Meltemi, 2020.

— “Cibi veg. Estetiche dell’imitazione”, in Id. Food Packaging, Milano, FrancoAngeli, 2022.

 


1 Stiamo generalizzando, ma gli insetti non rientrano tra le principali abitudini alimentari della maggior parte dei paesi d’Europa : si usano in Norvegia e Olanda, mentre non sono considerati mangiabili in altre nazioni dello stesso continente, al contrario di quel che accade in Asia, Africa, America Centrale dove è prassi comune cucinarli e consumarli a tavola o come street food. Per una panoramica sull’entomofagia cfr. J. Evans, R. Flore, M. Frost, On Eating Insects, Londra, Phaidon, 2017.

2 L. Cesari, Storia della pizza, Milano, il Saggiatore 2023.

3 Per una ricostruzione storica del più celebre piatto italiano cfr. M. Montanari, Il mito delle origini, Roma-Bari, Laterza, 2019, e L. Cesari, Storia della pasta in dieci piatti, Milano, il Saggiatore, 2021.

4 J.M. Lotman, La semiosfera, Venezia, Marsilio, 1985, nuova edizione 2022, Milano, La nave di Teseo, a cura di S. Salvestroni e F. Sedda.

5 Si segnalano di Gianfranco Marrone : Buono da pensare. Cultura e comunicazione del gusto (a cura di), Roma, Carocci, 2014 ; Semiotica del gusto, Milano, Mimesis, 2016 ; Gustoso e saporito. Introduzione al discorso gastronomico, Milano, Bompiani, 2022.

6 C. Lévi-Strauss, Le totémisme aujourd’hui, Paris, Plon, 1962.

7 L. Hjelmslev, Omkring Sprogteoriens Grundleggelse, København, Munskgaard, 1943.

8 M. Douglas, Purity and Danger, Harmondsworth, Penguin Books, 1970 ; J. Soler, “Le ragioni della bibbia : norme alimentari ebraiche”, 1997, in G. Marrone, A. Giannitrapani, a cura, La cucina del senso, Milano, Mimesis, 2012.

9 S. Shapin “The philosopher and the chicken”, in Ch. Lawrence, S. Shapin, a cura, Science Incarnate, Chicago, Chicago U.P., 1998, ora in La dieta dei filosofi, a cura di I. Ventura Bordenca, Roma, Luca Sossella, 2024; Id. “How to Eat Like a Gentleman : Dietetics and Ethics in Early Modern England”, in C. Rosenberg, a cura, Right Living : An Anglo-American Tradition of Self-Help Medicine and Hygiene, Baltimore, John Hopkins U.P., 2003, ora in La dieta dei filosofi, a cura di I. Ventura Bordenca, Roma, Luca Sossella, 2024.

10 M. Montanari, Mangiare da cristiani, Milano, Rizzoli, 2015 ; E. Moro, M. Niola, Mangiare come Dio comanda, Torino, Einaudi, 2023.

11 Sulla semiotica della dieta, cfr. I. Ventura Bordenca, Essere a dieta, Milano, Meltemi, 2020.

12 E. Landowski, “Premessa all’edizione italiana”, in Gusti e disgusti. Sociosemiotica del quotidiano, a cura di, con J.L. Fiorin, Torino, Testo e immagine, 2000.

13 G. Marrone, Gustoso e saporito, op. cit.

14 D. Bertrand, “Ironie et humour : le discours renversant”, Humoresques, 4, 1993.

15 Sul cultural branding cfr. D. Holt, How Brands Become Icons. The Principles of Cultural Branding, Boston, Harvard U.P., 2004. Sul caso specifico di Coca-Cola come simbolo cfr. P. Peverini, “Coca-Cola”, in D. Mangano, F. Sedda, a cura di, Simboli d’oggi, Milano, Meltemi, 2023.

16 Per una disamina di alcuni casi dell’uso in pubblicità di nuovi cibi si veda il lavoro di Mangano sulla comunicazione alimentare : D. Mangano, “Immaginari gastronomici”, in Id. Ikea e altre semiosfere, Milano, Mimesis, 2019.

17 Per un’analisi semiotica del packaging di un corpus di prodotti vegani e vegetariani nel mercato italiano cfr. I. Ventura Bordenca, “Cibi veg. Estetiche dell’imitazione” in Id. Food Packaging, Milano, FrancoAngeli, 2022.

18 Per questo termine v. M. Fino, A.C. Cecconi, Gastronazionalismo, Busto Arsizio (Va), People, 2021.

19 E.J. Hobsbawn, T. Ranger (a cura di), The Invention of Tradition, Cambridge, Cambridge U.P., 1983.

20 Si vedano i già citati lavori di M. Montanari e L. Cesari ma anche quelli di Alberto Grandi, tra cui Denominazione di origine inventata, Milano, Mondadori, 2018.

21 E. Landowski e J.L. Fiorin (a cura di), O gosto da gente, o gosto das coisas. Abordagem semiótica, San Pablo, EDUC, 1997. Trad. it., Gusti e disgusti. Sociosemiotica del quotidiano, op. cit.

22 Cfr. Gustoso e saporito, op. cit.

23 Op. cit., p. 105.

24 Ibid.

25 M. Douglas, Purity and Danger, Harmondsworth, Penguin Books, 1966. Trad. it. Purezza e pericolo, Bologna, il Mulino, 1993.

26 Op. cit., p. 78.

27 E. Leach, “Anthropological Aspects of Language : Animal Categories and Verbal Abuse”, in E.H. Lenneberg (a cura di), New Directions in the Study of Language, Cambridge (Mass.), MIT Press, 1964.

28 F. Rastier, “L’action et le sens. Pour une sémiotique des cultures”, Journal des anthropologues, 85-86, 2001. J. Fontanille, Figure del corpo, Roma, Meltemi, 2004.

29 Cfr. J. Soler, “Le ragioni della bibbia : norme alimentari ebraiche”, 1997, in G. Marrone, A. Giannitrapani, a cura, La cucina del senso, Milano, Mimesis, 2012.

30 Sulla viscosità come esperienza primaria disgustante si era espresso Sartre che ne sottolineava proprio la dimensione ambigua, né solida né liquida, e soprattutto l’aspetto appiccicoso, il contatto eccessivo, invadente della materia vischiosa. Riprende queste considerazioni proprio Mary Douglas a proposito del senso della contaminazione.

31 A. Kolnai, “Der Ekel”, Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, X, 1929.

32 Sulla paura in campo alimentare cfr. M. Ferrieres, Histoire des peurs alimentaires, Paris, Seuil, 2002 ; A. Grandi, Storia delle nostre paure alimentari, Sansepolcro, Aboca, 2023.

33 B. Latour, Nous n’avons jamais été modernes, Paris, La Découverte, 1991 ; Politiques de la nature, Paris, La Découverte, 1999.

34 Su cui ha scritto G. Marrone in Semiotica del gusto, Milano, Mimesis, 2016.

35 Su questo termine si veda l’articolo di Marrone sulla rivista doppiozero (18 ottobre 2023, https://www.doppiozero.com/bruno-latour-contro-la-modernita) dedicato alla ripubblicazione in Italia del volume-intervista di B. Latour “Disinventare la modernità” (Bologna, Eleuthera, 2023).

 

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Résumé : Comment le changement se produit-il dans le domaine alimentaire ? Quels processus sémiotiques implique-t-il, en particulier lorsqu’il s’agit d’introduire un ingrédient étranger à la culture locale, tels les insectes dans la culture culinaire italienne ? L’article porte sur leur introduction en procédant à l’analyse de la communication de certaines marques de produits alimentaires. Sont en même temps posées plusieurs questions d’ordre général concernant la signification en matière de goût ainsi que la notion de « collectivité » en ce domaine.


Resumo : Como se produz a mudança no campo alimentar ? Quais processos semióticos a caracterizam ? E o que acontece quando a transformação envolve uma proposta dietética totalmente incomum no contexto da cultura ocidental, como os insetos comestíveis ? Este estudo concentra-se no caso da introdução dos insetos na cultura gastronômica italiana, focalizando na análise de alguns estudos de caso relativos à comunicação mediática de marcas que atuam no cenário italiano. Serão discutidas questões teóricas relacionadas aos processos de significação do paladar e a construção semiótica da coletividade.


Abstract : How is change produced in the field of food ? What semiotic processes characterise it ? And what happens when the transformation concerns a dietary proposal that is totally unusual in the context of Western culture, such as edible insects ? This article focuses on the introduction of insects in Italian gastronomic culture, through the analysis of media communication of a few Italian brands. Theoretical questions will emerge concerning the processes of signification of taste and the semiotic construction of collectivity.


Riassunto : Come si produce il cambiamento in campo alimentare ? quali processi semiotici lo caratterizzano ? e che succede nel caso in cui la trasformazione riguarda una proposta dietetica totalmente inusuale nel contesto della cultura occidentale come gli insetti edibili ? questo contributo si concentra sul caso degli insetti a tavola nella cultura gastronomica italiana, attraverso l’analisi di alcuni casi studio della comunicazione mediatica e di brand dello scenario italiano. Emergeranno questioni teoriche che riguardano i processi di significazione del gusto e la costruzione semiotica della collettività.


Mots clefs : alimentation, changement, collectivité, culture, goût.


Auteurs cités : Mary Douglas, Jacques Fontanille, Bruno Latour, Edmund Leach, Gianfranco Marrone, François Rastier, Steven Shapin.


Plan :

Introduzione

1. Confini e valori

2. Aneddoti etnocentrici

3. Sensi del futuro

1. Funzionalismo alimentare

2. Quella non è una tradizione

3. Di cosa sanno gli insetti ?

4. Classificazioni e fuori posto

Conclusioni

 

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Recebido em 10/10/2023. / Aceito em 30/11/2023.