Dossier — Aspects sémiotiques du changement

Muri che diventano murales.
Il “noi” del cambiamento

Tiziana Migliore
Università di Urbino

 

Publié en ligne le 23 décembre 2023
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2023n6.64715
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Introduzione

Il cambiamento è al centro di teorie elaborate da scienze sia naturali sia sociali. In linguistica Saussure gli dà un posto di rilievo ritenendolo l’effetto della tensione diacronica, imprescindibile, che si crea fra il livello astratto della langue e il livello concreto della parole. Nel Cours il diagramma saussuriano della realtà linguistica (fig. 1)1 mostra infatti la “Langue” e la Parole, anzi la “Massa parlante”, collegate fra loro in verticale da un corto segmento continuo e parallele alla freccia del “Tempo”. Non due ma tre sono i coefficienti di ogni linguaggio : langue e parole, certo, e la langue a partire da analisi sincroniche della parole, però considerando l’incidenza del divenire. Il tempo, come si vede dal diagramma, trascende il rapporto fra i due livelli : la langue, la cui stabilità diacronica è ben rappresentata dalla cocca della freccia, non è una pura convenzione utilizzabile a piacimento da individui o comunità. Oppone resistenza al cambiamento e all’azione delle forze sociali su di essa. Ma la sua continuità implica necessariamente l’alterazione, sia perché la langue è situata nel tempo e non esiste fuori da questa dimensione, sia perché è parlata e morirebbe in assenza di discorsi che la usano. Riportare nello schema non “Parole” bensì “massa parlante”, in coincidenza con la punta della freccia, soddisfa l’esigenza saussuriana di evidenziare la natura collettiva di questi processi. Senza divenire non si vedrebbe l’impatto della “massa parlante” sulla langue ; senza “massa parlante” non avremmo trasformazioni. Tutto resterebbe immobile o preda di egoismi, autoritarismi e reazionismi. Langue e parole, “essenza doppia del linguaggio” nel tempo, costituiscono “un circolo vizioso fondamentale” per l’equilibrio costante fra status e motus2, fra conservazione e infrazione.

1 F. de Saussure, Cours de linguistique générale, Paris, Payot, 1916.


2 F. de Saussure, Ecrits de linguistique générale, S. Bouquet e R. Engler (eds.), Paris, Gallimard, 2002.

Figura. 1. Diagramma della realtà linguistica per Saussure.

 

Hjelmslev, sulla scia di Saussure, spacchetta la coppia langue/parole in un insieme a quattro termini — schema, norma, uso e atto — per sottolineare le relazioni dinamiche tra i linguaggi, le istituzioni e le pratiche3. E soprattutto Eugenio Coseriu esplora i rapporti fra norme e usi e valorizza gli atti di discorso, con l’assunto che “tutti i fatti di lingua devono essere stati una volta parole4. Le grammatiche sono stabili, ma si evolvono lentamente grazie a usi imprevisti, a volte turbolenti da parte dei parlanti.

Ci ispireremo a questa visione del cambiamento, come frizione fra sistemi, norme e processi che già in Saussure riguarda non solo il linguaggio verbale ma più tipi di segni in seno alla società, per indagare una trasformazione assai frequente dappertutto : quella del muro in murales. Il muro è un manufatto edilizio che a livello giuridico funge da barriera, da “parete confinaria o divisoria” (Grande Dizionario Battaglia). Tecnologia biopolitica delle più perfette per amministrare la mobilità dei soggetti, esso incorpora una competenza impersonale alla separazione e alla circolazione. Oggi che le nazioni hanno ripreso a costruire non mura di cinta, fortificazioni a presidio delle città, ma muri fra i territori, la “massa parlante”, non potendoli abbattere, li modifica. Porta i muri dalla propria parte e li rende processi che hanno la capacità di mutare cose e persone, ossia cognizioni, passioni, comportamenti, regole.

1. L’instaurazione di una norma : bloccare il movimento

3 L. Hjelmslev, “Langue et parole” (1943), trad. it. “Lingua e parole”, in Saggi di linguistica generale, M. Prampolini (ed.), Parma, Pratiche, 1981.


4 E. Coseriu, Sistema, norma y habla (1952), trad. it. Sistema, norma e parola (ed. e postfazione di T. Migliore, introduzione di R. De Angelis), Roma, Aracne, 2021, p. 96.

Nell’analisi della casa Braunschweig di Georges Baines i muri confinari del giardino sono essenziali, secondo Floch, per comprendere “le articolazioni logico-semantiche dell’universo della socialità”5. È “l’organizzazione plastica” del muro, il suo insieme di caratteristiche eidetiche e di formato, cromatiche e materiche, a manifestare la categoria “privato / pubblico” e a render conto dell’eventuale emergenza di posizioni intermedie, il “/non privato/” e il “/non pubblico/”, nonché di condizioni complesse (/pubblico + privato/) o neutre (né privato né pubblico)6. Siamo avvezzi a ritenere la casa un’espressione del potere privato e la città un’espressione dei poteri pubblici. Floch prova che tale opposizione è fittizia, suscettibile di variare secondo le sintassi ogni volta in gioco.

5 Cf. J.-M. Floch, “La casa Braunschweig di Georges Baines” (1985), trad. it. in M. Agnello e G. Marrone (eds.), Bricolage. Lettera ai semiologi della terra ferma, Roma, Meltemi, 2006.


6 Ibid., pp. 123-124.

1.1. Dal mondo del muro al mondo dei muri

Così, quando il muro non è parete protettiva della privacy ma barriera fra popoli, pubblico e privato costituiscono un termine complesso : mediante il muro, struttura verticale, fissa e compatta, chi è al potere attua una prima trasformazione, destinata alla stabilità : muta uno spazio fisico e comune in uno spazio politico, di proprietà, interrompendo la comunicazione e il transito. Pochi decidono per molti come, quando dove e perché non spostarsi. Un “io” assegna un “lì” a “voi” e un “laggiù” a “loro”.

È paradossale che, nell’epoca della globalizzazione e della connessione per eccellenza, sia così difficile interagire. Malintesi, vuoti diplomatici e auto-reclusioni giovanili (sindrome dell’“hikikomori”) sono in aumento, insieme al numero di barriere che ormai in molti Stati si erigono e che, oltre a vietare il passaggio di civili tra i territori, bloccano la comunicazione. I muri rappresentano il fallimento della diplomazia, della dimensione contrattuale su tutti i fronti. Berlino (1961-1989) non ha insegnato nulla e oggi nel mondo si contano circa 77 barriere che dividono popoli, contro i 15 del 1989. Le città di Lima, San Paolo e Buenos Aires hanno muri per separare le zone residenziali dalle baraccopoli. E tanti sono anche i confini sigillati tra Paesi : tra gli Stati Uniti e il Messico, tra la Cina e la Corea del nord, tra gli Emirati Arabi e l’Oman, tra l’India e il Bangladesh, tra l’Ungheria, la Serbia e la Croazia, tra la Grecia e la Turchia nell’isola di Cipro e tra Israele e Palestina in Cisgiordania, nella striscia di Gaza lunga 40 km luogo di un conflitto attualmente cruentissimo. In Europa i ministri degli interni di Stati come l’Austria, la Bulgaria, Cipro, la Repubblica Ceca, la Danimarca, la Grecia, l’Ungheria, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Polonia chiedono di continuare a finanziare recinzioni per frenare i flussi migratori.

A livello diacronico, se grandi barriere della storia, dalla Grande Muraglia Cinese al Vallo di Adriano, passando per la Linea Maginot fino al Vallo Atlantico, hanno avuto prevalentemente una funzione militare, di difesa da assalti bellici7, il muro di Berlino è stato la prima fortificazione issata non contro eserciti, ma contro esseri umani e merci8. Da questo punto di vista tutte le nuove barriere discendono dallo Schandmauer. È vero che il muro di Berlino, nell’ottica della “cortina di ferro”, impediva alle persone di uscire da uno spazio, mentre i nuovi muri le tengono fuori da esso. Il muro, cioè, nella storia, è stato un attore antagonista degli umani sia nelle spinte centrifughe, dall’interno all’esterno, sia oggi nelle spinte centripete, dello straniero che tenta di accedere. In ambedue le direzioni, però, esso reprime la possibilità umana di muoversi e di spostarsi, annullando il ruolo del confine come filtro di traduzioni indispensabili per l’avanzamento delle culture9. L’operazione di delimitazione, marcando un territorio che prima era non marcato, è fondativa di ogni autocoscienza collettiva, ma il confine, zona ibrida fra dentro e fuori, chiuso e aperto, proprio e altrui, non può restare inerte. Dev’essere interessato da scambi, da contatti con lo spazio extrasistematico o non semiotico, che sono la miccia per nuove esplosioni di senso, è là dove si rompe l’omeostasi di una cultura10. I popoli chiusi nel loro ideale di purezza stagnano improduttivi.

Che una razionalità politica ed economica mirata sostenga la costruzione di muri lo rivela il modo in cui la Casa Bianca, nel 1961, archivia il problema berlinese. Da un lato il presidente degli Stati Uniti John Kennedy giustifica il muro come un ostacolo e un deterrente alle guerre : “Non sarà una soluzione ottimale — dice Kennedy al suo segretario personale Kenneth o’ Donnel — ma è sempre molto meglio di una guerra”11. Dall’altro lato il segretario di stato aggiunto Foy Kholer ammette che “il flusso dei profughi tedesco-orientali sta diventando incontrollabile”12. Il muro di Berlino funzionava quindi anche contro una forza lavoro ritenuta pericolosa per il proprio sistema di produzione. Ma nel sogno dei potenti della Terra di uno schema inventariale dell’umanità, di una classificazione secondo la docilità dei comportamenti, anche la crescita economica rallenta o si ferma. Another Brick in the Wall (1979), il brano dei Pink Floyd che in tutto il mondo ha reso noto il Berliner Mauer come The Wall, narra non a caso di un “muro mentale” che il protagonista dell’album, Pink, non riesce a oltrepassare.

7 Cfr. F. Ballif e S. Rosière, “Le défi des teichopolitiques. Analyser la fermeture contemporaine des territoires”, L’Espace Géographique, 38, 3. Curiosamente, però, nella fondazione di Roma, fratricidio e difesa del territorio convergono : “per deridere il fratello, Remo oltrepassò il muro appena tracciato ; quindi Romolo in preda all’ira, dopo aver soggiunto, rimproverandolo a parole : ‘Così finirà chiunque altro oltrepassi le mie mura!’, lo uccise” (Tito Livio, Ab urbe condita libri CXLII, I, 6-7.


8 Nel Tempio di Gerusalemme il Cortile dei Gentili poteva accogliere ebrei e pagani insieme, mentre un muro, insuperabile per i non ebrei, segnava l’accesso al tempio vero e proprio, spazio sacro riservato soltanto al popolo eletto. Cfr. L. Guttilla, Il Muro tra controllo, interdizione e riscrittura urbana. Il caso di Berlino, tesi di dottorato in Semiotica, XXV ciclo, Università di Bologna, 2015, pp. 19-20.


9 Ju. M. Lotman, La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Venezia, Marsilio, 1985. Ed. S. Salvestroni e F. Sedda, Milano, La Nave di Teseo, 2022.


10 Ju. M. Lotman, La cultura e l’esplosione. Prevedibilità e imprevedibilità, Milano, Feltrinelli, 1993.


11 Cfr. M.H. Catudal, Kennedy and the Berlin Wall Crisis, Berlin, Berlin Verlag, 1980, p. 38, trad. ns.


12 Ibid.

1.2. Il non cambiamento intermedio. L’assenza di frontiere

Programmi d’azione unicamente finalizzati a cercare il medesimo nell’altro, o a plasmarlo secondo i propri modelli, sfociano nella constatazione di uno iato che genera per pregiudizio paura e ostilità. Non si accetta la cultura altrui, perciò si tende a respingerla. “Ogni volta che una civiltà non è riuscita a pensare l’altro, a pensare con l’altro, a pensare l’altro in sé, queste rigide difese di ferro, di filo spinato, di reti elettrificate o di ideologie chiuse si sono innalzate, sono crollate e ora tornano con nuovi stridori”13. Fra popoli geograficamente confinanti il muro arriva per ovviare a cambiamenti in positivo reciproci che non si vogliono innescare. Il mutamento euforico non scaturisce certo dalla liquidazione delle differenze, dallo “spazio liscio anziché striato”14, perché limiti e soglie stabili vanno invece tracciati con i quali garantire la convivenza pacifica. “L’autoriconoscimento e il riconoscimento dell’altro cominciano da operazioni di delimitazione, che sono il segno della volontà di un dialogo fecondo. Si ammette la presenza dell’altro come “occupante” e non come “passante” quando si fissa una frontiera, mentre l’insorgenza del muro prova che il confronto non ha funzionato ed è degenerato nella rottura del rapporto. Le frontiere sono “il miglior vaccino possibile contro l’epidemia dei muri”15 : stabiliscono normativamente dei criteri per il mutuo rispetto. La “striscia” di Gaza è l’esito negativo di patti firmati (vd. l’accordo di Oslo fra Yitzhak Rabin e Yasser Arafat nel 1993), ma mai rispettati nella distribuzione israelo-palestinese dei territori in Cisgiordania. Né i due popoli né l’ONU sono riusciti a definire precisi limiti, confini e frontiere, il che ha permesso a Israele di costruire un muro che di fatto ingloba la maggior parte delle colonie israeliane in Cisgiordania e la quasi-totalità dei pozzi d’acqua. Di qui l’escalation dell’odio reciproco e l’esplosione della guerra.

13 L. Cesari, Storia della pizza, Milano, il Saggiatore 2023.


14 E. Landowski, “Premessa all’edizione italiana”, in Gusti e disgusti. Sociosemiotica del quotidiano, a cura di, con J.L. Fiorin, Torino, Testo e immagine, 2000.


15 G. Marrone, Gustoso e saporito, op. cit.

Confini, frontiere e muri hanno forme e sostanze significanti diverse perché diverse sono le forme e le sostanze semantiche della prossemica a cui si correlano. Il muro è il grado massimo di incomunicabilità che sopraggiunge, in maniera disforica, per il mancato avverarsi di frontiere e di limiti politici. Fra l’altro, a differenza delle fortificazioni urbane, erette con il consenso della cittadinanza contro il pericolo di invasioni, le barriere territoriali non sono espressione di un’intenzionalità collettiva. Le comunità subiscono la costruzione dei muri come una norma imposta dall’alto.

2. Langue e parole del muro

Per conto di chi parla allora il muro ? E qual è la sua langue ? Ribadiamo anzitutto che il muro è una figura del tema della separazione, geografica e politica. Soggetto delegato dell’interdizione, esso ricopre le funzioni narrative di antiattante e di attante di controllo, ma con un modo di esistenza realizzato del separare. Nel paradigma della delimitazione la zona “complessa” del confine, necessaria alle trasformazioni delle culture (Lotman), si sottoarticola in bordi, soglie, limiti e frontiere che ne modulano di molto la dimensione16. La divisione che la frontiera attualizza, mantenendo etimologicamente il ricordo del fronte militare (postazioni, roccheforti e citta?) e riducendo la zona del confine a una linea, il muro la realizza radicalmente e durativamente. La frontiera non è fissa ; lascia aperta, pur nell’urto, la mediazione e la possibilità di spostamenti e variazioni, è attraversabile, dinamica e provvisoria. Il muro è statico, impenetrabile e permanente. E nella relazione prossemica, se la frontiera rappresenta solitamente e positivamente “lo stato terminativo della lotta pragmatica, o del suo prolungamento cognitivo chiamato negoziazione per eufemismo”17, il muro nega all’altro perfino la possibilità di essere un nemico. Lo ferma, lo mette a distanza, lo rende alieno imponendo la propria sovranità sul territorio e spettacolarizzando il rifiuto del riconoscimento. La struttura fisica del muro — solida, rigida, massiccia, opaca — si presta a questo scopo impedendo all’altro di passare e di guardare, vietando cioè la congiunzione a due livelli, “visiva di natura cognitiva e somatica, situata sulla dimensione pragmatica”18.

2.1. Il muro come dispositivo

Un’epistemologia ben assestata fa da sfondo alla figura del muro : quella del “dispositivo”19. La riprendiamo, da un lato per approfondire le riflessioni di Foucault e di Deleuze20, dall’altro per capire se le pratiche di arte urbana che mutano l’aspetto dei muri non coincidano con la “profanazione” indicata da Giorgio Agamben21 come antidoto alle appropriazioni politiche degli spazi. Per Foucault il dispositivo è

un insieme eterogeneo, che comporta discorsi, istituzioni, pianificazioni architettoniche, decisioni regolamentari, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali, filantropiche ; in breve il detto ma anche il non-detto (...). Il dispositivo in sé è l’intreccio che si può stabilire tra questi elementi. Tra questi elementi — discorsivi e non — c’è qualcosa come un gioco : cambiamenti di posizione, modificazioni di funzioni. Il dispositivo è (...) sempre inscritto in un gioco di potere, ma anche sempre legato a uno o a più limiti che nascono dal sapere ma anche lo condizionano. Il dispositivo è questo : strategie di rapporti di forze che sostengono dei tipi di sapere, e che sono sostenute da esse.22

16 M. Hammad, “Presupposti della nozione di limite”, in F. Sedda (ed.), Glocal. Sul presente a venire, Roma, Sossella, 2004. Anche L. Guttilla, Il Muro tra controllo, op. cit., pp. 47-51.


17 “Presupposti semiotici”, art. cit.


18 M. Hammad, “La promessa del vetro”, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma-Bari, Meltemi, 2003.


19 Rimandiamo alla voce “Device” di M. Bertolini, International Lexicon of Aesthetics, 2018.


20 M. Foucault, “Il gioco di Michel Foucault”, in Follia e psichiatria. Detti e scritti (1957-1984), D. Borca e V. Zini (eds.), Milano, Cortina, 2005. G. Deleuze, “Che cos’è un dispositivo ?”, Due regimi di folli e altri scritti. Testi e interviste 1975-1995, D. Borca, Torino, Einaudi, 2010.


21 G. Agamben, Profanazioni, Milano, Nottetempo, 2005. Id., Che cos’è un dispositivo ?, Milano, Nottetempo, 2006.


22 M. Foucault, “Il gioco di Michel Foucault”, art. cit.

L’intervista che dà luogo a questo passaggio è del 1977 e costituisce un punto di arrivo di riflessioni sulla biopolitica che Foucault elabora progressivamente e tramite lavori sul campo : nelle analisi empiriche ben conosciute delle forme di cura e di detenzione, di fronte al reticolo di sguardi di Las Meninas di Velázquez nelle Parole e le cose, nelle indagini diacroniche sulla concezione della sessualità. Costrutti molteplici ed eterogenei rendono conto dei rapporti di potere e delle relazioni tra potere e saperi. Deleuze rivisita Foucault enucleando i concetti chiave del suo discorso. Il dispositivo è un “groviglio di linee di natura diversa” che “tracciano dei processi sempre in squilibrio” e “con forze che sono come vettori, tensori”23. “Macchina di visibilità” o meglio macchina che presenta due dimensioni principali, “le curve di visibilità e le curve di enunciazione”, il dispositivo, nel far vedere, fa sapere e fa fare24. Ha cioè un “suo regime di luce” che dipende dalla “terza dimensione dello spazio interna a esso, il potere, composto con il sapere ed esercitato con effetti di presenza manifesta e opaca del destinante soggiacente25.

23 G. Deleuze, “Che cos’è un dispositivo ?”, art. cit., p. 279.


24 Ibid., p. 280.


25 Ibid.

Per distogliere dall’idea di associare il dispositivo al classico apparato Deleuze insiste sulle “linee di forza” : “frecce che si producono in ogni relazione da un punto a un altro”, “assemblaggi” esposti a “derivazioni e a trasformazioni”26, ossia a fenomeni “di incrinatura, di fessurazione, di frattura” attraverso mutazioni di concatenamenti27. È qui che emerge la “quarta dimensione”, quella “del ”, non come “determinazione preesistente” ma come “soggettivazioni” che il dispositivo produce, dentro processi di individuazione riguardanti il destinante e però anche “gruppi o persone i quali possono sottrarsi ai rapporti di forze stabiliti cosí come ai saperi costituiti”28. Dietro le osservazioni filosofiche di Deleuze c’è il ripudio, condiviso con Foucault, degli universali, dell’identificazione di questi processi con un Potere unico e immobile, con un apparato appunto.

26 Ibid., pp. 281-282.


27 Ibid.


28 Ibid., p. 281.

Nel dispositivo agiscono processi in divenire. Apparteniamo a certi dispositivi e agiamo in essi (…). L’attuale non è ciò che siamo piuttosto ciò che diventiamo, ciò che stiamo diventando, cioè l’Altro, il nostro divenire-altro. In ogni dispositivo occorre distinguere ciò che siamo (ciò che non siamo già piú) e ciò che stiamo diventando : la parte della storia e la parte dell’attuale29.

29 Ibid., p. 285.

Ma Deleuze vede in Foucault anche la spinta ad andare oltre “i vecchi dispositivi di sovranità” e i “dispositivi disciplinari” per riconoscere disposizioni di controllo aperte e continue, con “produzioni di soggettività capaci di resistere ai domini e molto diverse da quelle che si esercitavano precedentemente contro le discipline”30. I murales ci permetteranno di verificare e di aggiornare questo assunto.

30 Ibid.

Perché però il muro dovrebbe essere considerato un dispositivo ? E in che modo lo sarebbe ? Sono soprattutto le analisi topologiche di Manar Hammad a chiarire questo aspetto, che evitano liste di cose e di sistemi candidati a essere dispositivi — “non soltanto le prigioni, le scuole, le fabbriche, le discipline, le misure giuridiche la cui connessione con il potere è evidente, ma anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia, l’agricoltura, la sigaretta, la navigazione, i computer, i telefoni cellulari e il linguaggio stesso”31 — per mostrare invece funzionamenti specifici.

31 G. Agamben, Profanazioni, op. cit., p. 28. Verrebbe da chiedersi : tutta la letteratura ? quale filosofia ? che tipo di agricoltura ?

2.2. Privatizzazioni intimidatorie

Hammad parte dalla tesi che lo spazio è non “un circostante”, ma “un mezzo di comunicazione e un veicolo della significazione (…), il cui possesso assicura la capacità di portare a termine ulteriori programmi d’azione”32. “La padronanza” è “una fondamentale posta in gioco dello spazio” : se ne dividono le estensioni al fine di manipolarlo e appropriarsene. /Pubblico/ e /privato/, come già visto in Floch33, non sono primitivi ma il loro contenuto è costruito. Nello specifico, per Hammad, essi sono “termini di operazioni complesse di privatizzazione che producono il pubblico allo stesso tempo che il privato”34. Così “le frontiere durature” costituiscono “un “dispositivo stabile delegato da un gruppo” a “esercitare il controllo”35. E a differenza della “parete di vetro”, che compie “un’interdizione selettiva”, parziale, “il muro pieno impedisce in assoluto il passaggio (…) a nome di qualcuno, al suo posto. Il muro non è un ostacolo naturale, ma un oggetto sociale inscritto in uno spazio sociale, e più particolarmente tra un attore che ne è il padrone e altri attori che possono presentarvisi davanti”36. L’insieme gerarchizzato /fare + potere/ definisce il controllo dei luoghi e il muro, fra le figure delegate, è il “dispositivo dissuasivo” per antonomasia, attualizza il non poter fare, invita e minaccia a non essere valicato, con una legge che trasforma in obbligo tale invito37. Anche la dicotomia interno / esterno non è data in partenza né oggettiva; presuppone un punto di vista implicito, un soggetto osservatore la cui posizione spaziale determina la parte interiore38. Hammad nota inoltre che gli attori verso cui il muro è orientato sono ricostruibili dalla sua stessa forma e materia, ad esempio per l’altezza o lo spessore. Un muretto non è un muro. Il muro “porta con sé l’inscrizione di coloro che è destinato a lasciare fuori”39.

32 “La promessa del vetro”, art. cit., p. 217.


33 “La Maison Braunschweig”, art. cit./p>

34 “La privatizzazione dello spazio”, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma-Bari, Meltemi, 2003.

 

35 “La promessa del vetro”, p. 212.

 

36 Ibid., pp. 212-213.

 

37 “La privatizzazione dello spazio”, art. cit., p. 260.

 

38 “Presupposti semiotici della nozione di limite”, art. cit., p. 127.

 

39 “La privatizzazione dello spazio”, p.  260.

Proprio in quanto esempio perfetto di dispositivo, il muro si presenta inoltre come una figura non semplice ma composta, un assemblaggio di attori non umani, umani e animali. Pietre o pannelli di cemento costituiscono l’invariante, oggi però anche commutata con recinzioni elettroniche. Vi si aggiungono filo spinato, luci, torrette, guardiani, cani addestrati, telecamere, radar, droni, microchip, fossati, vani paracarro e strade di pattugliamento che, più o meno presenti e progressivamente, normalizzano la divisione, la intensificano e perfezionano e trasformano la dissuasione in azione intimidatoria. Quanti più elementi co-occorrono nel medesimo spazio, tanto più il muro diventa un (s)oggetto che scatena passioni disforiche (rabbia, frustrazione, vergogna, terrore, disperazione, angoscia, pessimismo…), produce un simulacro dell’altro come (non) soggetto avversato e arriva a torturarlo, a martirizzarlo40. Anche il Muro di Berlino, ufficialmente costruito per salvaguardare la DDR dalla “minaccia capitalista”, con l’epiteto di “vallo di difesa antifascista”, è stato un rigido strumento di vigilanza che ha impedito in ogni modo possibile a chiunque di evadere41. Il fine dichiarato della protezione maschera una strategia di governo che priva della libertà di spostamento. Riprendiamo quanto accennato a proposito del commento del segretario di Kennedy (§1.1). I muri non si limitano a bloccare il flusso dei corpi e delle merci ma lo governano, discriminando i soggetti che si trovano ad attraversare i territori e quindi di fatto esercitando il potere su molteplicità in movimento42. È un argomento che oggi vale soprattutto rispetto al “setaccio” dei migranti, distinti sia in mare sia nella “prova topica del muro” fra corpi utili a cui è consentito il passaggio, per quanto sempre gestito in forme poliziesche, e corpi vili o di poco conto ai quali la circolazione è inibita.

40 W. Brown, Stati murati, sovranità in declino (2010), trad. it Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 25.


41 Frederick Taylor descrive nel dettaglio la serie di ostacoli inquietanti e letali posti di fronte a chiunque avesse voluto fuggire dalla cinta di “difesa” di Berlino ovest. Cfr. F. Taylor, Il Muro di Berlino (2007), trad. it. Milano, Mondadori, 2009.


42 M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione (2004), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2007.

3. Murales

È vendicativo il muro. Non solo blocca il movimento e quindi il cambiamento di chi vorrebbe spostarsi, ma punisce il tentativo di varcarlo esponendo la fisicità umana alla morte violenta. Il soggetto che riesce a superarlo ha la possibilità di trasformarsi, entrando in un sistema di valori differente. Farlo significa però adeguarsi all’ideologia su cui si regge quella divaricazione fra mondi, riconoscerne il senso. L’unico modo per disobbedire e contrastare il potere che vi sta dietro è agire d’astuzia : utilizzare la medesima struttura del muro ma rovesciandone il ruolo, rendendola da opponente adiuvante. Gli interventi artistici raggruppabili sotto la classe dei murales hanno questa prerogativa. Sono “mosse tattiche” nel senso di De Certeau, “incursioni a sorpresa” effettuate nel “medesimo campo visivo del nemico”, nello “spazio proprio della strategia” che gestisce la “pratica panoptica dell’osservare e misurare”43.

43 M. de Certeau. L’invenzione del quotidiano (1990), trad. it Roma, Edizioni Lavoro, 2001, pp. 71-73.

Sempre il muro di Berlino nella parte ovest, che i berlinesi chiamavano Schandmauer, “muro della vergogna”, nella prima metà degli anni Settanta cambia : comincia a essere segnato da scritte anonime e da figure colorate eseguite “al volo” da persone di ogni estrazione sociale e abilità. La “questione ottica” ed estetica si impone soprattutto con il “quarto muro”, il Grenzmauer 75, la lastra di pannelli di cemento armato dipinti di bianco e sormontati dal caratteristico elemento curvilineo44. È la soluzione architettonica entrata a far parte dell’immaginario collettivo, la sagoma più riprodotta e che ha finito con l’esemplificare per intero la memoria del “Muro di Berlino”. A conferma del fatto che il muro non è un’entità ma un processo, più varianti si succedono nel tempo, sempre relative al fronte ovest45. Il Grenzmauer 75 è appunto il muro di quarta generazione, quando priorità dell’agenda politica diventa una barriera “di facile manutenzione e di forma graziosa”46, che distragga dalla presenza della striscia della morte. Se la BDR, all’indomani della costruzione, prova a inserire la barriera nei percorsi turistici della città, anche la DDR a un certo punto capisce di dover camuffare il carattere militare degli sbarramenti e far sembrare il muro “sterilizzato, pulito e umano”, dato il costo altissimo che esso ha provocato al regime comunista in termini di immagine47. La pittura bianca, che nei programmi dei due regimi, su questo concordi, aveva il compito di simulare ordine e pulizia, è colta dai giovani della città divisa come un’occasione unica per aprire falle nel sistema di sorveglianza.

Non si tratta solo di “dar sfogo alla propria creativita? come ai propri umori, ai propri sogni e alle proprie frustrazioni”48. I graffiti di Berlino sono stati in grado, invece, di turbare la narrazione dominante del muro e di introdurre un’interdiscorsività e altri racconti. Spontaneamente e gradualmente le pareti bianco / grigie e omogenee del Grenzmauer hanno smesso di fungere da fredda barriera antagonista per essere un accogliente supporto, nella doppia accezione fisica e semantica del termine, di schermo e di sostegno. Il muro è così “passato” dall’altra parte ; da strumento divisorio è divenuto mezzo e co-enunciatore della libertà di espressione, “risultante di una performatività sociale”49. La sua artificazione ha reso la separazione forzata discutibile e meno ovvia. In omaggio a questo nuovo ruolo tematico e figurativo del muro di Berlino l’artista tedesco Ben Wagin, nel Wall Memorial del Marie Elisabeth Luders Building, lascia grezze alcune lastre di cemento dopo aver dipinto l’ultima con l’anno 1989. Presagisce che questa funzione di cambiamento del muro in murales è destinata a continuare.

44 Cfr. G. Falanga, Non si può dividere il cielo, Roma, Carocci, 2009, p. 91.


45 L’Hinterlandmauer, il muro dell’est, è invece rimasto spoglio. Non è mai stato oggetto di discorsi, è sparito con la stessa rapidità con cui è apparso e risulta non marcato. La prospettiva dalla quale si ricostruisce la memoria della divisione è esclusivamente quella occidentale, cosi? come è accaduto durante la Guerra Fredda e anche la notte del 9 novembre 1989. Ciò condiziona parecchio la natura dei memoriali nella Berlino riunificata.


46 La definì così il comandante delle truppe di confine, il generale Klaus-Dieter Baumgarten. Con analoghi fini sedativi pare fosse stata prevista, negli anni Ottanta, poi mai realizzata, una mostra di orticoltura nei pressi della Porta di Brandeburgo. Le quattro generazioni del Muro di Berlino sono riprodotte in scala all’interno del Mauermuseum al Checkpoint Charlie.


47 G. Falanga, op. cit., p. 186.


48 Ibid.


49 A. Semprini, L’oggetto come processo e come azione. Per una sociosemiotica della vita quotidiana, Bologna, Esculapio, 1996, p. 248.

3.1. Usi performativi dei muri

Il muro, come si sa, invoca la scrittura : non c’e? muro, in citta?, senza graffiti. È in qualche modo il supporto stesso a detenere un’energia di scrittura, e? lui che scrive, e questa scrittura mi guarda : non c’e? niente di piu? “guardone” di un muro scritto, perché nulla viene guardato o letto con maggiore intensita? ; trova cosi? compimento la parola del mistico, viene abolita la distinzione grammaticale fra l’attivo e il passivo : “L’occhio con cui vedo Dio e? lo stesso con cui lui vede me” (Angelus Silesius). Nessuno ha scritto sul muro e tutti lo leggono. E? per questo che, emblematicamente, il muro e? lo spazio topico della scrittura moderna.50

50 R. Barthes, Il piacere del testo seguito da Variazioni sulla scrittura, Torino, Einaudi, 1999, p. 64.

La posizione che il muro urbano occupa è privilegiata. Lo mette nelle condizioni di attirare svariati sguardi e di stimolare attività creative. Questa peculiare parete è il supporto di scritture esogene, ma l’esposizione prolungata alle intemperie — dice Barthes — lo dota anche di una potenza grafica propria, endogena. Lettori e spettatori vi partecipano “camminandovi, correndovi, pedalandovi accanto, mettendoli in movimento e integrandoli alla propria vita di ogni giorno, percependo le testimonianze della vita della città”51.

51 I. Pezzini, “Far parlare i muri : giochi di enunciazione in Triumphs and Laments di William Kentridge”, E|C, XIV, 29, 2020.

La scrittura urbana, al pari della scrittura digitale, che Barthes non ha potuto conoscere, è dunque plurale e dinamica, palinsestuale. Anch’essa si esegue aggiungendo e levando : presuppone cancellature coprenti da parte altrui ; rifiuta l’autorialità e l’individualità del gesto per assecondare una messa in scena rigorosamente polifona. “Graffiare” i muri pubblici è un gesto di protesta e di denuncia52 contro il loro uso impattante negli ambienti e sui corpi. Introdotti come manufatti strategici, i muri, grazie all’interazione situata della scrittura, divengono tattici : “se la strategia mira a naturalizzarli spingendoli verso lo sfondo, facendoli recedere nell’invisibilità, le tattiche li ri-tematizzano costantemente, trascinandoli verso nuove ribalte sociali. La gente non vive semplicemente in ambienti circondati da muri, la gente fa costantemente cose con i muri. E questi usi dei muri sono altrettanto materiali e semiotici quanto i muri stessi”53. I supporti chiamano all’azione.

Le inscrizioni sui muri sono inoltre confrontabili con le scritture sulla pelle, in virtù di una membrana che è un “materiale di scambio simbolico”54 : nei tatuaggi individuali tra esterno ed interno somatico — la pelle è un involucro tra il sé e il me (“corpo proprio” e “carne”) che in Occidente traspone sulla persona effetti di personalità55 ; nei graffiti sociali tra il qui e il laggiù — il muro urbano è un involucro tra il sé e l’alterità, tra la prigionia e la libertà, l’esclusione e l’inclusione, il noi e il loro. Entrambe le pratiche sono state oggetto di giudizio negativo e di condanna, considerate deturpanti e criminose. Il detenuto ne ha bisogno, da un lato per rivendicare quel che lo caratterizza come persona e sostituire al numero identificativo marchiature del me, dall’altro per cercare nel muro un alleato con cui fuggire dall’isolamento. Molti muri di penitenziari amplificano queste semiosi con scritture che assumono e rendono pubbliche le istanze dei carcerati, altre che le cancellano56.

La clandestinità è un tratto comune alle forme di scrittura urbana57, eredi del situazionismo e che trovano posto nella contro-informazione della “guerriglia” semiologica. In questo senso i muri, specie quando imbiancati per la manutenzione, fatti pitturare di fresco da chi li governa, si prestano, come nel caso del Grenzmauer 75 di Berlino, a pratiche di raggiro e di elusione che li ricodificano. Al contempo essi sono un semioforo dei mutamenti nella concezione e nella fruizione artistiche. Imprevedibili, anonimi e fuori dagli spazi istituzionali, graffiti, stencil, tag e pitture di strada sfuggono infatti alle logiche del museo e del mercato ed emergono per se stessi, non per le firme note nel circuito. Il sistema dell’arte tenta di fagocitare questo tipo di interventi e oggi le mostre, le committenze, le compravendite di riproduzioni aumentano. Per una volta, però, sembra proprio che quanto più le élite si ingegnino a inglobare le scritture urbane, tanto più esse si trasformano inavvertitamente e sviluppano nuovi discorsi sensibili e cognitivi, adatti alle circostanze e dove il muro è sempre parte in causa. Realtà alternative si affacciano da un giorno all’altro che traggono linfa dall’essere progettate sul campo e non calate dall’alto.

52 L. Ferrara, M. Mondino e S. Stano, “I graffi della protesta. Street art, barriere artificiali e forme di espressione del dissenso”, Lexia, 13-14, 2012. Per una ricognizione storica e semiotica del writing urbano cfr. M. Mondino, Street art, spazi, media : pratiche di riscrittura urbana, tesi di dottorato, XXVI ciclo, Università di Palermo, 2016. Anche, A. Beyaert-Geslin (ed.), L’urbanité de l’art. Questions sémiotiques, Limoges, Pulim, 2023.


53 A. Mubi Brighenti, “The wall and the city”, Lo Squaderno. Rivista di discussione culturale, 8, 2008, Usi dei muri / Uses of walls, pp. 7-9.


54 È Baudrillard, riferendosi ai primi graffiti comparsi a New York negli anni Settanta, a individuare questa relazione tra “facce” dipinte della citta? e tatuaggi. Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte (1976), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2007, p. 96.


55 Cfr. T. Migliore, “Tatuaggi blasoni del me. L’enunciazione dalla persona alla personalità”, in G. Marrone e T. Migliore (eds.), Iconologie del tatuaggio, Milano, Meltemi, 2018. Anche J. Fontanille, Figure del corpo. Per una semiotica dell’impronta, Roma, Meltemi, 2004.


56 Sui sensi e i significati della cancellatura Cfr. T. Migliore, “La cancellazione verbovisiva”, in P. Fabbri, T. Migliore e A. Perri (eds.), Scritture per immagini, Il Verri, 53, 2013.


57 Cfr. O. Calabrese, “La fotografia illegale. Osservazioni su alcune pratiche sociali contemporanee”, in La fotografia. Oggetto teorico e pratica sociale, I. Pezzini e V. Del Marco (eds), Roma, Nuova Cultura, 2011.

3.2. Fare mondi a colori

Fin qui abbiamo mostrato che il muro non è un’evidenza ontologica, ma un manufatto con una langue — un insieme di prescrizioni e di ingiunzioni dissuasive normate — e una parole — rapporti di forza interpersonali fra gestioni e usi — soggette al divenire. Come dispositivo del potere, il muro, componente degli spazi pubblici, è meno un apparato e più un assemblaggio di linee di forza suscettibili di rovesciarne il senso originario. L’analisi semiotica riguarderà alcuni modi artistici di assunzione del muro così inteso e di enunciazione collettiva tesa a “profanare” i programmi del Potere. Ci interessa scoprire da vicino come un muro di separazione diviene murales.

L’uniformità monocromatica grigia tipica della barriera subisce una prima “piega” nel momento in cui il destinante, per metterla a nuovo, la tinteggia di bianco. A livello strategico questa mossa è controproducente sia perché evidenzia ideologie di comando del dispositivo che prima non emergevano, sia perché trasforma un mezzo funzionale in un mezzo estesico ed estetico. La nuova veste del muro sollecita, nei pubblici, gesti simili di cambiamento del suo aspetto. Alcuni decorano la superficie. Tag policrome ed eterogenee, quanto più sono numerose e addensate tanto più indicano semisimbolicamente metamorfosi in corso. Grigio : policromo :: Potere unico : poteri multipli. Il muro, da totalità integrale astratta, diventa allora totalità partitiva, cioè rappresentazione di un attore collettivo concreto, di un brusio co-enunciativo e sovra-enunciativo58.

58 Nella scala “macroscopica” della totalità partitiva anche l’atto vandalico assume un’altra valenza. È il tassello che contribuisce all’effetto di insieme “brusio”. Per altro, prima di giudicare se un graffito imbratti un muro o meno bisogna capire se si possiede l’enciclopedia media che consente di riconoscerlo e di comprenderlo, ovvero di interpretarlo correttamente. Vedi M. Dentico, “Tra decoro e degrado. Appunti per una semiotica dei segni urbani”, Filosofi(e)Semiotiche, 8, 1, La cancellazione semiotica : sulla logica delle culture, A. Lorusso (ed.), 2021.

Altri gesti sfidano la biplanarità del muro, sempre con forme e colori, e ottengono gradi variabili di “penetrabilità” figurativa. Banksy, protagonista internazionale dell’arte urbana, sperimenta svariate vie di sfondamento. Icona del suo universo è non a caso il topo, l’animale più abile nell’erodere gli ostacoli, ritratto in pose umane da anarchico e ribelle come negli stencil di Blek le Rat, il pioniere francese della Street art. L’anonimo writer di Bristol, in Cisgiordania nel 2005, buca immaginariamente la striscia di Gaza lasciando vedere spiagge esotiche, cieli azzurri o paesaggi di montagna59. Il cemento beige/grigio della barricata prende l’aspetto di un sipario in tessuto, aperto da un vigilante (fig. 2), oppure mostra una crepa o uno squarcio con bambini sorridenti, informatori e osservatori interni con lo sguardo rivolto allo spettatore. Altrove un grande rettangolo nero tratteggiato, con un paio di forbici pronte a tagliarlo, ha l’effetto di trasformare la pietra spessa e rigida del muro in un foglio di carta sottile e duttile. Più soavemente palloncini neri e scale bianche alte e strette prospettano l’evasione. Così Banksy costruisce “versioni di mondi”, dentro quello esistente60, capaci di trasformare i limiti murari in soglie. La surrealtà che ne deriva è discussa con gli abitanti di quei territori, invitati nei video dell’artista a interagire e a discutere personalmente61. Sempre in Cisgiordania, nel 2017, Banksy celebra ironicamente il centesimo anniversario dell’occupazione britannica della Palestina aprendo, a 400 metri dal checkpoint di Gerusalemme, il Walled Off Hotel : un albergo vero e proprio con vista sul muro e arredi che tematizzano l’apartheid palestinese.

Figura 2. Banksy, Segregation Wall,
Palestina, striscia di Gaza (2005).

La semiotica plastica, nella fattispecie il colore, è l’adiuvante delle metamorfosi muro-murales anche in Messico, nella barriera che divide sud e nord America. Nel 2011 Ana Teresa Fernandez “cancella” le lastre d’acciaio arrugginite del segmento tra Tijuana e San Diego, che si estende per circa 100 metri nell’Oceano Pacifico (fig. 3). Il modo di significazione semisimbolico funziona nuovamente mediante il colore. Celeste : nero :: libertà : prigionia. Borrando la frontera, nel fondere la recinzione con il mare, la sabbia e il cielo, è un’illusione ottica amara tra il qui e il là / altrove, fra il presente e un indeterminato futuro.

Figura 3. Ana Teresa Fernandez, Borrando la frontera,
Tijuana, muro messicano (2011).

Ma la struttura a sbarre messicana, con pieni e vuoti, permette incrinature del Potere più euforiche. Teeter-Totter Wall, il progetto di Ronald Rael e Virginia San Fratello vincitore del Beazley Design of the Year 2020 del Design Museum di Londra, compie un piccolo miracolo. Sfrutta le fessure del muro per collocarvi in mezzo tre lunghe altalene rosa. Un dispositivo di connessione umana incrocia il dispositivo di divisione e ne sospende temporaneamente l’efficacia. Realizzato in collaborazione con il Colectivo Chopeke di Juarez, il “muro-altalena” è un gioco che congiunge visivamente i bambini di El Paso, in Texas, e di Anapra, in Messico, separati in modo brusco. Sottende l’idea che le azioni che si verificano da una parte hanno una conseguenza diretta dall’altra.

L’uso manipolatorio del muro per renderlo altro da quello che è contraddistingue questi interventi, mettendo in crisi la violenza della barriera. JR si spinge oltre in questo senso integrando la giunzione visiva in un’esperienza di unione tattile e gustativa. L’“artivista” francese, già autore di Face 2 Face (2007), serie di ritratti fotografici monumentali di israeliani e palestinesi in coppia sui due lati della striscia di Gaza, installa nel 2017 la gigantografia di un bambino, 20 metri di altezza, una faccia sorridente e due mani altrettando enormi, sul tratto del muro di Trump tra Tecate e la contea di San Diego (fig. 4).

Figura 4. JR, Kikito e Giant Picnic,
tra Tecate e San Diego, California (2017).

59 Nella scala “macroscopica” della totalità partitiva anche l’atto vandalico assume un’altra valenza. È il tassello che contribuisce all’effetto di insieme “brusio”. Per altro, prima di giudicare se un graffito imbratti un muro o meno bisogna capire se si possiede l’enciclopedia media che consente di riconoscerlo e di comprenderlo, ovvero di interpretarlo correttamente. Vedi M. Dentico, “Tra decoro e degrado. Appunti per una semiotica dei segni urbani”, Filosofi(e)Semiotiche, 8, 1, La cancellazione semiotica : sulla logica delle culture, A. Lorusso (ed.), 2021.


60 Banksy, di cui abbiamo studiato la poetica in più occasioni, è una figura esemplare del pensiero goodmaniano dell’arte come sistema simbolico. Cfr. N. Goodman e C.Z. Elgin, Ripensamenti in filosofia, altre arti e scienze (1988), trad. it. Milano, Et al. EdizionI, 2011, P. Fabbri (ed.).


61 Vari graffiti della West Bank e i dibattiti con i palestinesi sono documentati nel filmato di Banksy del 2015 Make this the year YOU discover a new destination (https://www.youtube.com/watch?v=bEuVfHwZe3E).

Kikito è il titolo dell’opera e il nome del bambino, che ha i capelli scuri e gli occhi vispi. JR lo ha fotografato a Tecate, dove il bimbo vive con la madre e i nonni. Ma il ritratto è diretto verso il fronte americano del muro e perciò, paradosso che l’artista accentua, né il piccolo messicano né la sua famiglia possono vederlo. Spicca il contrasto tra la barriera fredda e ostile e le manine che vi si aggrappano con fare curioso. Dal basso la dismisura del corpo umano dà alla scena una qualità onirica, in grado di retroagire negativamente sull’accettazione di quel muro. Agli occhi di un bambino (e non solo) un muro così dovrebbe esistere solo in un sogno o per gioco. Nella situazione sociale dei Paesi divisi, dunque, Banksy presentifica la surrealtà, JR fa valere livelli altri di realtà. Un pic-nic su un lungo tavolo da pranzo tra Usa e Messico completa l’installazione. Persone al di qua e al di là della barriera si ritrovano commensali a gustare gli stessi cibi, su una tovaglia che raffigura Gli occhi del sognatore62. L’immagine fotografica di Kikito si sdoppia : il volto partecipante guarda in basso, verso il picnic ; lo sguardo, osservante e giudicante, mira in alto. Il cristallino delle sue pupille riflette l’artista e la gente intorno, non più un sistema di controllo.

4. Orientare i cambiamenti.
La “massa parlante” sulla langue nel tempo

Si dirà che i mutamenti di aspetto dei muri in murales lasciano il tempo che trovano. Sono interventi provvisori, maquillage effimeri, poi si torna alla grama realtà. Può darsi. Ma le proposte che vanno controcorrente rispetto alle politiche di costruzione dei muri aumentano, insieme alle tattiche adottate per avanzarle. L’inviolabile barriera è profanata con interventi che schivano il confronto diretto ed enfatizzano invece la dimensione affettiva e immaginaria perduta. Il muro impone brutalmente la separazione sociale e impedisce il contatto visivo e fisico ; i murales rispondono dolcemente dando forma all’esperienza della traduzione reciproca. Alla valorizzazione pratica del muro, costante nei programmi dei capi di Stato, subentrano nei murales usi critici celati da valorizzazioni utopiche e ludiche. Sogno e gioco, mentre ribaltano timie e forie legate alla barriera, interrogano sui comportamenti che inducono a installarla per funzioni utilitarie, bloccando la mobilità di persone e cose. Gioco e sogno che si avverano, accolti favorevolmente dagli abitanti locali, finiscono per renderla assurda, così segnata dall’ossessione di difendersi dall’altro. Una disposizione contraria spodesta questo bisogno di sicurezza : è il sentimento della curiosità63 : ci si sporge dai muri per cercare nell’altro i propri orizzonti.

A livello teorico ed epistemologico l’indagine dei muri-murales permette di comprendere che i cambiamenti sono il frutto di conflitti fra parti sociali. In molti ambiti chi domina ha interesse a restare uomo solo al comando, a mantenere l’ordine, a “cambiare tutto per non cambiare niente”64. Le imposizioni, però, non sempre incontrano l’“apprezzamento collettivo”. La gente può non attribuire qualità positive o di preferenza alle scelte che un governante fa65. Gli studi semiotici sul cambiamento devono integrare a nostro avviso il ruolo indispensabile che le identità collettive, la messa in prospettiva e la focalizzazione hanno nel mutare le cose. Fontanille e Zilberberg offrono un modello delle prassi enunciative distinte a seconda dei gradi di presenza della norma, come grandezza che emerge o appare (“ascendente”), è in declino o scompare (“discendente”), per cui, combinando questi stadi, avremo casi di “rivoluzione”, di “fluttuazione”, di “distorsione” o di “rimaneggiamento”66. Tali cambiamenti vanno letti non nelle prassi in sé, per le tipologie che le caratterizzano, ma nelle variazioni di pronominalità, nelle focalizzazioni e le prospettive di chi li produce. Così, nei murales, si ha “distorsione” perché gruppi sociali intervengono nel discorso del potere e trasformano l’“io” del destinante e il sé del muro in un “noi”, la propria focalizzazione “zero” o “esterna” in una focalizzazione “interna”. “Saremo sempre di più” recita una scritta di protesta contro il sistema penale cancellata e più volte ridipinta sul muro del carcere di San Vittore a Milano. “Massa parlante” in Saussure sostituisce parole per indicare lo spazio di manovra del cambiamento.

62 La gigantografia The eyes of a Dreamer è in memoria del programma federale governativo creato nel 2012 sotto la presidenza Obama, il DACA, “Development, Relief and Education for Alien Minors (Dream) Act”, che permetteva ai minorenni arrivati illegalmente negli Stati Uniti di ottenere una residenza permanente. Trump lo ha abolito nel 2017. Cfr. https://www.jr-art.net/projects/migrants-picnic-across-the-border.


63 “‘Sicurezza’ proviene da sine cura e significa pervenire a uno stato privo di preoccupazioni e di cui si è certi; procurarsi un equilibrio tra percezioni e sensazioni con l’assenza di sollecitazioni, l’astenia. Chi è sicuro respinge la cura, fino all’‘incuria’ e alla ‘non-curanza’”. P. Fabbri, “Abbozzi per una finzione della cura”, in P. Donghi e L. Preta (eds.), In principio era la cura, Roma-Bari, Laterza 1995, poi in P. Donghi (ed.), Paolo Fabbri. Rigore e immaginazione : Percorsi semiotici sulle scienze, Milano, Mimesis, 2021, p. 92.


64 Celebre formula che riprende l’affermazione di Tancredi “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima” nel romanzo Il Gattopardo (1958) di Tomasi di Lampedusa.


65 L. Hjelmslev, “La stratification du langage”, Word, 10 ; trad. it. La stratificazione del linguaggio, C. Caputo (ed.), Lecce, Pensa Multimedia, 2018.


66 J. Fontanille e C. Zilberberg, Tension et signification, Liège, Mardaga, 1998.


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2 F. de Saussure, Ecrits de linguistique générale, S. Bouquet e R. Engler (eds.), Paris, Gallimard, 2002.

3 L. Hjelmslev, “Langue et parole” (1943), trad. it. “Lingua e parole”, in Saggi di linguistica generale, M. Prampolini (ed.), Parma, Pratiche, 1981.

4 E. Coseriu, Sistema, norma y habla (1952), trad. it. Sistema, norma e parola (ed. e postfazione di T. Migliore, introduzione di R. De Angelis), Roma, Aracne, 2021, p. 96.

5 Cf. J.-M. Floch, “La casa Braunschweig di Georges Baines” (1985), trad. it. in M. Agnello e G. Marrone (eds.), Bricolage. Lettera ai semiologi della terra ferma, Roma, Meltemi, 2006.

6 Ibid., pp. 123-124.

7 Cfr. F. Ballif e S. Rosière, “Le défi des teichopolitiques. Analyser la fermeture contemporaine des territoires”, L’Espace Géographique, 38, 3. Curiosamente, però, nella fondazione di Roma, fratricidio e difesa del territorio convergono : “per deridere il fratello, Remo oltrepassò il muro appena tracciato ; quindi Romolo in preda all’ira, dopo aver soggiunto, rimproverandolo a parole : ‘Così finirà chiunque altro oltrepassi le mie mura!’, lo uccise” (Tito Livio, Ab urbe condita libri CXLII, I, 6-7.

8 Nel Tempio di Gerusalemme il Cortile dei Gentili poteva accogliere ebrei e pagani insieme, mentre un muro, insuperabile per i non ebrei, segnava l’accesso al tempio vero e proprio, spazio sacro riservato soltanto al popolo eletto. Cfr. L. Guttilla, Il Muro tra controllo, interdizione e riscrittura urbana. Il caso di Berlino, tesi di dottorato in Semiotica, XXV ciclo, Università di Bologna, 2015, pp. 19-20.

9 Ju. M. Lotman, La semiosfera. L’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Venezia, Marsilio, 1985. Ed. S. Salvestroni e F. Sedda, Milano, La Nave di Teseo, 2022.

10 Ju. M. Lotman, La cultura e l’esplosione. Prevedibilità e imprevedibilità, Milano, Feltrinelli, 1993.

11 Cfr. M.H. Catudal, Kennedy and the Berlin Wall Crisis, Berlin, Berlin Verlag, 1980, p. 38, trad. ns.

12 Ibid.

13 P. Chamoiseau e É. Glissant, Quando cadono i muri. L’identità nazionale fuorilegge ? (2007), trad. it. Roma, Nottetempo, 2008, p. 13.

14 G. Deleuze e F. Guattari, Mille piani (1980), trad. it. Roma, Castelvecchi, 2003.

15 R. Debray, Éloge des frontières, Paris, Gallimard, 2010, p. 91, trad. ns.

16 M. Hammad, “Presupposti della nozione di limite”, in F. Sedda (ed.), Glocal. Sul presente a venire, Roma, Sossella, 2004. Anche L. Guttilla, Il Muro tra controllo, op. cit., pp. 47-51.

17 “Presupposti semiotici”, art. cit.

18 M. Hammad, “La promessa del vetro”, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma-Bari, Meltemi, 2003.

19 Rimandiamo alla voce “Device” di M. Bertolini, International Lexicon of Aesthetics, 2018.

20 M. Foucault, “Il gioco di Michel Foucault”, in Follia e psichiatria. Detti e scritti (1957-1984), D. Borca e V. Zini (eds.), Milano, Cortina, 2005. G. Deleuze, “Che cos’è un dispositivo ?”, Due regimi di folli e altri scritti. Testi e interviste 1975-1995, D. Borca, Torino, Einaudi, 2010.

21 G. Agamben, Profanazioni, Milano, Nottetempo, 2005. Id., Che cos’è un dispositivo ?, Milano, Nottetempo, 2006.

22 M. Foucault, “Il gioco di Michel Foucault”, art. cit.

23 G. Deleuze, “Che cos’è un dispositivo ?”, art. cit., p. 279.

24 Ibid., p. 280.

25 Ibid.

26 Ibid., pp. 281-282.

27 Ibid.

28 Ibid., p. 281.

29 Ibid., p. 285.

30 Ibid.

31 G. Agamben, Profanazioni, op. cit., p. 28. Verrebbe da chiedersi : tutta la letteratura ? quale filosofia ? che tipo di agricoltura ?

32 “La promessa del vetro”, art. cit., p. 217.

33 “La Maison Braunschweig”, art. cit.

34 “La privatizzazione dello spazio”, Leggere lo spazio, comprendere l’architettura, Roma-Bari, Meltemi, 2003.

35 “La promessa del vetro”, p. 212.

36 Ibid., pp. 212-213.

37 “La privatizzazione dello spazio”, art. cit., p. 260.

38 “Presupposti semiotici della nozione di limite”, art. cit., p. 127.

39 “La privatizzazione dello spazio”, p.  260.

40 W. Brown, Stati murati, sovranità in declino (2010), trad. it Roma-Bari, Laterza, 2013, p. 25.

41 Frederick Taylor descrive nel dettaglio la serie di ostacoli inquietanti e letali posti di fronte a chiunque avesse voluto fuggire dalla cinta di “difesa” di Berlino ovest. Cfr. F. Taylor, Il Muro di Berlino (2007), trad. it. Milano, Mondadori, 2009.

42 M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione (2004), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2007.

43 M. de Certeau. L’invenzione del quotidiano (1990), trad. it Roma, Edizioni Lavoro, 2001, pp. 71-73.

44 Cfr. G. Falanga, Non si può dividere il cielo, Roma, Carocci, 2009, p. 91.

45 L’Hinterlandmauer, il muro dell’est, è invece rimasto spoglio. Non è mai stato oggetto di discorsi, è sparito con la stessa rapidità con cui è apparso e risulta non marcato. La prospettiva dalla quale si ricostruisce la memoria della divisione è esclusivamente quella occidentale, cosi? come è accaduto durante la Guerra Fredda e anche la notte del 9 novembre 1989. Ciò condiziona parecchio la natura dei memoriali nella Berlino riunificata.

46 La definì così il comandante delle truppe di confine, il generale Klaus-Dieter Baumgarten. Con analoghi fini sedativi pare fosse stata prevista, negli anni Ottanta, poi mai realizzata, una mostra di orticoltura nei pressi della Porta di Brandeburgo. Le quattro generazioni del Muro di Berlino sono riprodotte in scala all’interno del Mauermuseum al Checkpoint Charlie.

47 G. Falanga, op. cit., p. 186.

48 Ibid.

49 A. Semprini, L’oggetto come processo e come azione. Per una sociosemiotica della vita quotidiana, Bologna, Esculapio, 1996, p. 248.

50 R. Barthes, Il piacere del testo seguito da Variazioni sulla scrittura, Torino, Einaudi, 1999, p. 64.

51 I. Pezzini, “Far parlare i muri : giochi di enunciazione in Triumphs and Laments di William Kentridge”, E|C, XIV, 29, 2020.

52 L. Ferrara, M. Mondino e S. Stano, “I graffi della protesta. Street art, barriere artificiali e forme di espressione del dissenso”, Lexia, 13-14, 2012. Per una ricognizione storica e semiotica del writing urbano cfr. M. Mondino, Street art, spazi, media : pratiche di riscrittura urbana, tesi di dottorato, XXVI ciclo, Università di Palermo, 2016. Anche, A. Beyaert-Geslin (ed.), L’urbanité de l’art. Questions sémiotiques, Limoges, Pulim, 2023.

53 A. Mubi Brighenti, “The wall and the city”, Lo Squaderno. Rivista di discussione culturale, 8, 2008, Usi dei muri / Uses of walls, pp. 7-9.

54 È Baudrillard, riferendosi ai primi graffiti comparsi a New York negli anni Settanta, a individuare questa relazione tra “facce” dipinte della citta? e tatuaggi. Cfr. J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte (1976), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2007, p. 96.

55 Cfr. T. Migliore, “Tatuaggi blasoni del me. L’enunciazione dalla persona alla personalità”, in G. Marrone e T. Migliore (eds.), Iconologie del tatuaggio, Milano, Meltemi, 2018. Anche J. Fontanille, Figure del corpo. Per una semiotica dell’impronta, Roma, Meltemi, 2004.

56 Sui sensi e i significati della cancellatura Cfr. T. Migliore, “La cancellazione verbovisiva”, in P. Fabbri, T. Migliore e A. Perri (eds.), Scritture per immagini, Il Verri, 53, 2013.

57 Cfr. O. Calabrese, “La fotografia illegale. Osservazioni su alcune pratiche sociali contemporanee”, in La fotografia. Oggetto teorico e pratica sociale, I. Pezzini e V. Del Marco (eds), Roma, Nuova Cultura, 2011.

58 Nella scala “macroscopica” della totalità partitiva anche l’atto vandalico assume un’altra valenza. È il tassello che contribuisce all’effetto di insieme “brusio”. Per altro, prima di giudicare se un graffito imbratti un muro o meno bisogna capire se si possiede l’enciclopedia media che consente di riconoscerlo e di comprenderlo, ovvero di interpretarlo correttamente. Vedi M. Dentico, “Tra decoro e degrado. Appunti per una semiotica dei segni urbani”, Filosofi(e)Semiotiche, 8, 1, La cancellazione semiotica : sulla logica delle culture, A. Lorusso (ed.), 2021.

59 Provocatoriamente Banksy definisce la West Bank “la più grande prigione a cielo aperto e la destinazione ultima per le vacanze degli artisti che si occupano di graffitismo”. Cfr. Banksy, Wall and Piece, Londra, Century, 2006, p. 136.

60 Banksy, di cui abbiamo studiato la poetica in più occasioni, è una figura esemplare del pensiero goodmaniano dell’arte come sistema simbolico. Cfr. N. Goodman e C.Z. Elgin, Ripensamenti in filosofia, altre arti e scienze (1988), trad. it. Milano, Et al. EdizionI, 2011, P. Fabbri (ed.).

61 Vari graffiti della West Bank e i dibattiti con i palestinesi sono documentati nel filmato di Banksy del 2015 Make this the year YOU discover a new destination (https://www.youtube.com/watch?v=bEuVfHwZe3E).

62 La gigantografia The eyes of a Dreamer è in memoria del programma federale governativo creato nel 2012 sotto la presidenza Obama, il DACA, “Development, Relief and Education for Alien Minors (Dream) Act”, che permetteva ai minorenni arrivati illegalmente negli Stati Uniti di ottenere una residenza permanente. Trump lo ha abolito nel 2017. Cfr. https://www.jr-art.net/projects/migrants-picnic-across-the-border.

63 “‘Sicurezza’ proviene da sine cura e significa pervenire a uno stato privo di preoccupazioni e di cui si è certi; procurarsi un equilibrio tra percezioni e sensazioni con l’assenza di sollecitazioni, l’astenia. Chi è sicuro respinge la cura, fino all’‘incuria’ e alla ‘non-curanza’”. P. Fabbri, “Abbozzi per una finzione della cura”, in P. Donghi e L. Preta (eds.), In principio era la cura, Roma-Bari, Laterza 1995, poi in P. Donghi (ed.), Paolo Fabbri. Rigore e immaginazione : Percorsi semiotici sulle scienze, Milano, Mimesis, 2021, p. 92.

64 Celebre formula che riprende l’affermazione di Tancredi “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima” nel romanzo Il Gattopardo (1958) di Tomasi di Lampedusa.

65 L. Hjelmslev, “La stratification du langage”, Word, 10 ; trad. it. La stratificazione del linguaggio, C. Caputo (ed.), Lecce, Pensa Multimedia, 2018.

66 J. Fontanille e C. Zilberberg, Tension et signification, Liège, Mardaga, 1998.

 

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Résumé : Les murs de séparation entre territoires politiques (à exemple de l’ancien mur de Berlin) sont désormais de plus en plus nombreux sur tous les continents. L’article étudie les conditions dans lesquelles certains d’entre eux sont transformés en supports de fresques murales et fait ressortir les significations sociales et politiques de cette pratique.


Resumo : A investigação da relação entre muros e murais permite observar de perto as dinâmicas da política no mundo globalizado atual e identificar algumas chaves teóricas e metodológicas para os estudos semióticos da mudança. Uma epidemia de muros é a língua / norma dos governos de hoje, que não sabem e não querem estabelecer fronteiras para gerir territórios e administrar sujeitos em mobilidade. Em resposta a essas separações autoritárias e intimidadoras, a “massa falante” transforma o muro em murais. Escritas e intervenções artísticas alteram as instâncias de enunciação, perspectivas e pontos focais do muro : a barreira do poder torna-se suporte para um discurso plural, o aparelho de punição um dispositivo para vigilância e preservação.


Abstract : Examining the relationship between walls and murals offers a close insight into the contemporary globalized political landscape. It helps identify key theoretical and methodological aspects for semiotic studies on change. Today’s governments often resort to erecting walls as a language and norm, failing to establish boundaries to manage territories and mobile populations. In response to these authoritarian separations, the populace transforms walls into murals. Through writings and artistic interventions, there is a shift in enunciation, perspectives, and focal points of the wall. The once-imposing barrier of power becomes a platform for diverse discourse, and punitive apparatuses serve as tools for vigilance and preservation.


Riassunto : L’indagine del rapporto tra muro e murales permette di osservare da vicino le dinamiche della politica nel mondo odierno globalizzato e di individuare alcune chiavi, teoriche e metodologiche, per gli studi semiotici sul cambiamento. Un’epidemia di muri è la langue / parole e la norma dei governi di oggi, che non sanno e non vogliono fissare frontiere per gestire i territori e amministrare soggetti in mobilità. A queste separazioni autoritarie e intimidatorie la “massa parlante” risponde trasformando il muro in murales. Scritture e interventi artistici mutano le istanze di enunciazione, le prospettive e le focalizzazioni del muro : la barriera dell’Uno al potere diventa supporto di un discorso plurale, l’apparato di punizione un dispositivo per stare in guardia e salvare.


Mots clefs : dispositif, frontière, mobilité, street art.


Auteurs cités : Giorgio Agamben, Bansky, Roland Barthes, Jean Baudrillard, Omar Calabrese, Michel de Certeau, Eugenio Coseriu, Régis Debray, Gilles Deleuze, Paolo Fabbri, Jean-Marie Floch, Jacques Fontanille, Michel Foucault, Nelson Goodman, Félix Guattari, Manar Hammad, Louis Hjelmslev, Jurij M. Lotman, Ferdinand de Saussure, John Searle, Andrea Semprini, Frederick Taylor, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Claude Zilberberg.


Plan :

Introduzione

1. L’instaurazione di una norma : bloccare il movimento

1. Dal mondo del muro al mondo dei muri

2. Il non cambiamento intermedio. L’assenza di frontiere

2. Langue e parole del muro

1. Il muro come dispositivo

2. Privatizzazioni intimidatorie

3. Murales

1. Usi performativi dei muri

2. Fare mondi a colori

4. Orientare i cambiamenti. La “massa parlante” sulla langue nel tempo

 

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Recebido em 11/10/2023. / Aceito em 30/11/2023.