Dossier — Aspects sémiotiques du changement

Divenire, diventare.
Trasformazione e cambiamento

Giulia Ceriani
Università di Bergamo

 

Publié en ligne le 23 décembre 2023
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2023n6.64709
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Il concetto di cambiamento è generalmente inteso nella sua accezione terminativa, come punto di arrivo di un percorso di mutazione che gestisce la relazione tra due stati di esistenza. Ci interesseremo invece, all’interno di questo intervento, del cambiamento come campo semantico del divenire, apice durativo di una trasformazione che investe una zona di passaggio ancora non deciso, flusso e frontiera, zona a rischio della negazione che ancora non ha individuato la sua qualificazione finale. Il tema sarà trattato in una sequenza logica che si propone di investigare gli sviluppi concettuali del rapporto tra senso e dinamiche del non senso, equilibri provvisori e precarietà necessaria alla strutturazione di ogni nuova forma.

1. Liminalità

La definizione di cambiamento, trasversalmente alle diverse definizioni dizionariali, è dal punto di vista concettuale “sostituzione o avvicendamento”. Così inquadrato, parrebbe il punto d’arrivo di una transizione, fase terminativa di un processo che ha conosciuto il passaggio da uno stato precedente a uno successivo.

Ci piace, invece, l’idea di approfondire del cambiamento la natura dinamica, e di isolarne quel punto di passaggio, apice della curva di trasformazione, che racconta di una liminalità indecisa. C’è un momento di fluidità inevitabile, sorta di dissolvenza incrociata, che gestisce l’alternanza di quelle fasi che precedono e seguono il passaggio di stato. Sono momenti apicali che ci interessano in quanto territori ambigui della connessione e dell’attesa, della ridefinizione e del patteggiamento.

La liminalità è per definizione territorio del neutro, né di qua né di là. Ma anche, e non paradossalmente, della complessità dei fenomeni e degli stati di esistenza, che possono presentare una legittima duplicità : in attesa di una descrizione a venire o nella complicità di un territorio indeciso e proprio per questo salvifico. E’ dunque processualità pura, che interpella il suo destinatario — l’attore del cambiamento — chiedendogli di esercitare una scelta in potenza, che potrà poi essere attualizzata una volta terminato il patteggiamento.

La liminalità inquadra il cambiamento come potenzialità, lo sottolinea come momento della scelta e manifestazione della pura virtualità. Sulla soglia ci si affaccia, dalla soglia ci si ritrae. E’ una zona di silenzio che precede una nominazione e una scelta necessaria, imposta o voluta che sia. Il cambiamento non apre all’infinito ma a un nuovo stato che deve trovare una sua nominazione ; e tuttavia, conosce di necessità quel momento all’interno del quale si aprono gli scenari alternativi della scelta, e si anticipano — esplicitamente o implicitamente — i percorsi a venire.

Questa fase speciale, fase della soglia, è anche quella della valutazione : qui decido verso quale direzione orientare i miei passi, ovvero quale più favorevole isotopia tematizzerà il passaggio al nuovo stato.

2. Tensione

Il cambiamento così inteso è dunque una fase altamente tensiva, ovvero inquadra un processo di trasformazione che sovradetermina la misura aspettuale, e ne spiega la corrispondente “eccitazione”, il subbuglio passionale, la turbolenza che agita i periodi temporali così marcati. E’ in questo picco che precede la svolta che si può assistere alla massima ambiguità patemica : l’euforia dell’attesa dei nuovi inizi può facilmente capovolgersi in delusione disforica (non potremo avere quello che vorremmo, e ce ne rendiamo conto ancora prima di avere cambiato). L’eccesso di passioni può portare paralisi. Ma anche riprendersi velocemente, là dove accada che lo stato passionale di pochi sia accolto da quello di molti, e allora il segno può nettamente cambiare, in qualche modo rassicurato.

Come sappiamo, nella concezione teorica greimasiana, le passioni sono alla radice della narratività, la prevengono e la informano, qualificando il punto di vista sull’azione. L’opposizione euforia / disforia va ad investire le altre categorie semantiche, e sovradetermina le assiologie. Quando si passa dalla semantica fondamentale alla semantica narrativa, si scelgono i valori che si mettono in circolazione e le corrispondenti modalizzazioni dell’essere che coincidono con la qualificazione passionale.

La tensività è giustamente allo snodo di questo passaggio : quando la colorazione euforica / disforica è incerta e determina una pausa temporale, un vuoto, un margine neutro o forse semplicemente ottuso in cui si dà rinvio della decisione finale. Ci si adegua a quanto codificato / stabilizzato collettivamente per nominare l’attesa, oppure ci si sottrae provando a remare controcorrente ; di più, vorremmo sottolineare, ci si ferma, si aspetta di poter decidere, e la passione dominante è allora l’attesa, colorata di incertezza.

 

Il patema1 è la configurazione che dà alla tensività di questo momento la sua colorazione. E’ il modo con il quale l’attesa è vissuta, sempre attesa semplice (voglio / non voglio che qualcosa succeda) sostenuta da un’attesa fiduciaria2 (che il riferimento al meta-soggetto “garante” sia al tempo, al fato, o a qualunque altro fattore determinante) : nel momento del passaggio viene chiamato in gioco l’elemento non immediatamente prevedibile (ma auspicato e temuto), come potrebbe essere ad esempio il cambiamento climatico o le variazioni di Borsa, o altro ancora. Ulteriori elementi possono intervenire sulla mia decisione, e fare in modo che quella zona inerte in cui il cambiamento si prepara — attualizzazione pura — prenda la direzione della speranza o del timore, della meraviglia, dell’incredulità o del disgusto o dell’esitazione. Il cambiamento è qualcosa che verrà, non che è : al presente esiste solo l’apice del passaggio, da uno stato A a uno stato B.

3. Trasformazione

E’ così che, all’interno della vista, sempre parziale, della dimensione temporale immediatamente connessa alla previsione, è opportuno far intervenire anche quella spaziale, nel senso della percezione della distanza che separa, nell’imminenza del cambiamento, da un’ipotetica soglia : più la distanza è ravvicinata, più intensa è l’attesa di quello che sarà e maggiore la sua connotazione passionale. Euforica, disforica.

Una modulazione / modalizzazione chiamata ad influire sull’aspettualità del tempo che intercorre fino alla scadenza, che siamo allora impegnati a giocare in modo più o meno consapevolmente strategico sulle tre variabili del punto di vista sull’azione — incoativa, durativa, terminativa. Determinandone gli entusiasmi e le aspettative, le prese di tempo e le prese di posizione, gli ultimatum, le tensioni suscettibili di influenzare a loro volta gli atteggiamenti dei pubblici a cui riferiamo.

Nel rapporto tra scienze umane e previsione questo è, riteniamo, l’elemento di maggior interesse : a seconda della prospettiva da cui lo si considera, il cambiamento — e il contenuto previsionale che lo descrive come “futuro” — può avere un’isotopia orientata alla catastrofe o alla rinascita, alla decadenza o alla rigenerazione.

1 Cf. I. Pezzini, “Patemi e enunciazioni appassionate : il modello semio-linguistico riformulato”, Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 2020.


2 A.J. Greimas, Del Senso II, Milano, Bompiani, 1994, pp. 218-220.

In tutti i casi, tra stato di partenza e stato di arrivo ad avere luogo è una trasformazione invisibile. La soglia è quella dell’attesa per il mutamento, quando e dove lo si prefigura, in parte anche condizionandolo o quanto meno condizionando la sua rispondenza alle nostre aspettative. Ma la sua manifestazione, che ha un decorso durativo e iterativo al tempo stesso, fatto di tracce, emergenze, passi in avanti e passi del gambero, è riconosciuta come appartenente alla classificazione futuribile solo quando è già esperita. E dunque quando futuro non è più, ma presente, nella sua pienezza. Quando il cambiamento è riconosciuto come tale, nella sua condizione terminativa e finale. O anche paradossalmente quando è ormai passato, qualora la consapevolezza di cui è portatrice arrivi con qualche ritardo3.

3 Cf. G. Ceriani, Intervento “Ritardare l’anticipazione”, convegno Intorno a Omar, Siena, 2022.

Torniamo, in questo senso, a uno dei punti di attenzione a suo tempo focalizzati da Omar Calabrese in Mille di questi anni4, ovvero la contrapposizione tra transizione e transitorietà. Là dove il cambiamento futuro sia nebuloso o difficilmente auspicabile, ecco che l’evento presente verrà vissuto secondo una temporalità durativa, che mette in scena la contrapposizione, provvisoriamente bilanciata, tra attesa e esitazione : il tempo della transizione è un tempo lento, che ha in sé i presupposti della trasformazione, quelle tracce utili a identificare il profilo di un cambiamento che si sa avverrà, ma che si rinvia.

Se la visione è meno chiara, se il punto di partenza passato e quello di arrivo futuro entro cui si colloca il presente non sono chiaramente definiti nella loro marcatura, è allora necessario pensare il presente come transitorietà, stato instabile tra tutti, che attende la fissazione di una soglia oltre la quale non potrà più protrarsi. In un contesto transitorio, l’attesa della sua scadenza è dunque oltre modo passionalizzata, proprio perché così meglio capace di condizionare l’esito futuro della posta in gioco : attraverso la paura, ad esempio, posso far scattare la molla che fa uscire dallo stato transitivo, ed evolvere verso una diversa stabilità che eviti la permanenza della situazione caotica.

4 O. Calabrese, Mille di questi anni, Bari, Laterza, 1991.

4. Differenza

Il cambiamento, abbiamo premesso, è il punto di arrivo di una situazione di passaggio. Non corrisponde a quella zona intermedia che lo prepara in modo determinante, non a quanto definiremmo, deleuzianamente, una piega5. Si distingue dall’apice di quella percezione della catastrofe che occupa uno spazio suo proprio, e interpella la differenza a partire dallo scarto tra due grandezze6. La piega mette in relazione due universi distinti, li costruisce come relazione, decide, all’interno della categoria identità / alterità, quali sono i contenuti del punto di partenza e quali quelli del punto di arrivo. Ma soprattutto, riporta l’attenzione sullo snodo centrale, quella soglia / vetta / apice / punto di vista dominante a partire dal quale decidiamo quale forma far prendere al cambiamento.

La piega è la discontinuità che interviene prima del passaggio allo stato cambiato. Il discontinuo, come sappiamo, si distingue dal discreto proprio per la sua natura processuale, interviene con gradualità diverse nella negazione che prende le distanze dal continuo. E’ un percorso, del quale qui focalizziamo l’apicalità originata dall’accumularsi di tensioni che muovono, sul piano logico e concettuale, dalla saturazione di quanto al cambiamento è antecedente. Il punto è che quell’apice non è, se non nei più rari casi delle situazioni emergenziali dove è l’imprevisto a determinare il passaggio catastrofico, un elemento “tagliente”, bensì una piattaforma di attesa dove si decide della direzione che il cambiamento dirà. O si attende che sia deciso : dagli accumuli di tensioni, di eventi, di situazioni pregresse che avranno portato il cumulo a non essere più sostenibile.

La differenza è una questione di equilibrio precario, che mantiene i suoi tratti in un’invisibilità prudente, finché il cambiamento non renda visibile la frattura, la soglia, il passaggio a cui la trasformazione ha condotto. E’ così che si disegna uno spazio vuoto tra due diverse situazioni / oggetti / stati di esistenza.

Nel catalogo della mostra TRA. Edge of Becoming (Venezia, Palazzo Fortuny, 2011, Edizioni Skirà), Francesco Poli fa alcuni esempi di soglia, tra cui credo il più interessante sia quello che riferisce a “the limits of consciousness, the crossings into the territory of the imagination and the unconscious” (p. 34) : dove il passaggio tra uno stato di coscienza e la propria proiezione fantastica determina una consapevolezza altra non solo mentale ma anche di immediatezza esperibile nel momento in cui, ad esempio, conosce il teatro digitale del Metaverso.

Poi, certo, la differenza è alla radice del valore. In questo senso il cambiamento, punto d’arrivo del processo che conduce al rovesciamento di prospettiva, è la cifra della definizione identitaria : sono questo, oggi, perché ho introdotto un principio di differenza rispetto a quanto ero ieri, e in questo è il mio primo atto verso quella definizione del valore che avrà bisogno di essere tematizzata e ideologicamente fatta oggetto di appropriazione. Lo sanno le marche — commerciali e non — che senza cambiamento perdono inesorabilmente rilevanza, lo sanno i soggetti individuali che se smettono di rinnovarsi ricadono nell’anonimato che cancella le differenze.

5. Instabilità

Il cambiamento, per come lo abbiamo finora definito è il senso prodotto a valle di una trasformazione. E’ la conferma di un passaggio, all’interno di un divenire, tra un’identità di partenza e una che rappresenta un punto d’arrivo, come un discorso in costruzione e non come un effetto di senso finale. Fondamentale è prendere in conto l’instabilità del passaggio, ma anche quella dello stato secondo che solo provvisoriamente coinciderà con l’etichetta che gli avremo, per riconoscerlo, assegnato.

5 G. Deleuze, Le Pli. Leibniz et le baroque, Parigi, Minuit, 1988.


6 Cf. A.J. Greimas e J. Courtès, “Différence”, in Sémiotique. Dictionnaire, Paris, Hachette, 1979.

Come scrive giustamente a questo proposito Jacques Fontanille, il trattamento discreto del cambiamento non fa fare grandi passi avanti : “ou bien l’identité se change en elle-même, en se réaffirmant à travers le changement lui-même, ou bien le changement (la non-superposition des états) ne trouve son sens et sa direction que sur le fond de l’identité de l’être”7.

7 J. Fontanille, “Introduction”, Le Devenir, Limoges, PULIM, 1995, p. 6.

Al contrario, se pensiamo a istituire uno spazio attualizzato tra continuum tensivo e isotopia discorsiva a seguire, potremo inquadrare l’instabilità intermedia come dinamica narrativa dei passaggi tra momenti di squilibrio e riprese di equilibrio. L’identità diventa una presentificazione provvisoria dove la possibilità del cambiamento è prefigurata e può essere sottoposta a quella valutazione — esplicita o implicita — che in modalità anticipatoria consenta di decidere la direzione.

Questo implica anche la presa in conto della posizione di un attante osservatore che attenda e prefiguri il cambiamento come predicazione di un divenire non fluido, ma nemmeno pienamente discontinuo, piuttosto assestato nella non continuità. Il cambiamento come divenire è orientato, conosce intensità intrinseche differenti in relazione all’intensità e all’estensione dei conflitti che animano la fase di instabilità che ne precede la “caduta” significante, e individua delle porzioni liminali che preannunciano — nel flusso — il passaggio necessario a una nuova mutazione a seguire.

 

E’ così che nell’enunciazione del cambiamento8 il discorso si costruisce in funzione di un’indecidibilità di fondo che rinvia al confronto di istanze conflittuali, centripete (che focalizzano una tematizzazione a venire) e centrifughe (che resistono all’etichettatura del cambiamento enunciato). E possono definirne a valle una configurazione lineare e proattiva, oppure circolare e regressiva, là dove il cambiamento non prefiguri uno scarto innovativo, quanto piuttosto il presidio di una situazione già nota.

8 Cf. ancora Fontanille, ibid., p. 12.

6. Divenire, diventare

Paolo Fabbri, riflettendo sul cambiamento inteso come trasformazione estesica, ha messo a confronto le posizioni di Greimas e Lotman. Mentre Greimas annuncia la necessità di una sincope tensiva che rompa la monotonia dell’alternanza secondo “un rythme second, fait d’attentes et de temps forts”, e introduce la marcatura discontinua di una sincope tensiva in anticipazione9, Lotman rivendica la necessità di un divenire nella turbolenza, movimento orizzontale di determinazione nel caos, anzi in forme caotiche minimali che gestiscono l’attesa, la sorpresa, l’innovazione e quant’altro nella non continuità10.

9 A.J. Greimas, De l’Imperfection, Périgueux, Fanlac, 1987, p. 93.


10 Cf. J. Lotman, La cultura e l’esplosione, Milano, Feltrinelli, 1993.

Il senso come divenire è allora una qualifica provvisoria all’interno della struttura, “produit par la circulation de la case vide dans les séries”11. E, ancora una volta, ad essere essenziale non è il pieno dei contenuti assegnati e delle ideologie confermate, ma il vuoto che è al tempo stesso sottrazione, cioè diminuzione di intensità ; latenza, ovvero assenza che presuppone presenza ; e infine distanziamento, cioè apertura di uno spazio neutro tra due presenze12. Il cambiamento consente di pensarlo come premessa necessaria, e il divenire che vi conduce elegge come terreno di scambio la neutralità che consegue al suo essere pura attualizzazione.

11 G. Deleuze, Logique du sens, Paris, Minuit, 1969, p. 88.


12 Cf. G. Ceriani, “Vuoto/i. Inversione di paradigma”, E/C, 31, 2021.

C’è esitazione nella neutralità, c’è instabilità, c’è incertezza : ma si tratta in ogni caso di parentesi aperte che aprono a tutti quei gradienti dell’intensità rivelatori del conflitto che precede ogni apparizione del senso stesso. O del non senso, come altra sua epifania. Far circolare il non senso affinché il cambiamento sia inteso come “senso trasformato, prodotto di una dinamica di mediazione come un ‘tra’”13. Il divenire del cambiamento non sarà allora più concepibile, in questa prospettiva, come logica di mutazione extratestuale volta a confermare una qualsivoglia forma di innovazione, ma otterrà di essere riconosciuto come fondamento della prospettiva immanentista di generazione testuale.

13 F. Marsciani, “A partire dagli effetti di senso. Le trasformazioni sotto l’apparire”, Actes Sémiotiques, 120, 2017.


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1 Cf. I. Pezzini, “Patemi e enunciazioni appassionate : il modello semio-linguistico riformulato”, Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 2020.

2 A.J. Greimas, Del Senso II, Milano, Bompiani, 1994, pp. 218-220.

3 Cf. G. Ceriani, Intervento “Ritardare l’anticipazione”, convegno Intorno a Omar, Siena, 2022.

4 O. Calabrese, Mille di questi anni, Bari, Laterza, 1991.

5 G. Deleuze, Le Pli. Leibniz et le baroque, Parigi, Minuit, 1988.

6 Cf. A.J. Greimas e J. Courtès, “Différence”, in Sémiotique. Dictionnaire, Paris, Hachette, 1979.

7 J. Fontanille, “Introduction”, Le Devenir, Limoges, PULIM, 1995, p. 6.

8 Cf. ancora Fontanille, ibid., p. 12.

9 A.J. Greimas, De l’Imperfection, Périgueux, Fanlac, 1987, p. 93.

10 Cf. J. Lotman, La cultura e l’esplosione, Milano, Feltrinelli, 1993.

11 G. Deleuze, Logique du sens, Paris, Minuit, 1969, p. 88.

12 Cf. G. Ceriani, “Vuoto/i. Inversione di paradigma”, E/C, 31, 2021.

13 F. Marsciani, “A partire dagli effetti di senso. Le trasformazioni sotto l’apparire”, Actes Sémiotiques, 120, 2017.

 

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Résumé : La notion de changement est généralement comprise dans son sens terminatif, comme point d’arrivée d’un parcours de mutation entre deux états. Ce qui nous intéresse ici, c’est par contre l’aspect duratif du changement vu en tant que phase de transformation, le terme recouvrant le champ sémantique du devenir et désignant une zone de passage risquée, un flux au cours duquel aucun terme final n’est encore décidé. Le thème est abordé selon une logique qui privilégie la dynamique des rapports entre sens et non sens, les équilibres provisoires et précaires par lesquels passe nécessairement la structuration de toute forme nouvelle.


Resumo : O conceito de mudança é geralmente entendido em sua acepção terminativa, como ponto de chegada de um percurso de mutação cujo papel é gerenciar a relação entre dois estados de existência. Entretanto, neste artigo, abordaremos a mudança como um campo semântico do devir e, mais especificamente, como ápice durativo de uma transformação que envolve uma zona de passagem ainda não decidida, fluxo e fronteira, zona em risco de negação que ainda não identificou sua qualificação final. O tema será tratado em uma sequência lógica que visa investigar os desenvolvimentos conceituais da relação entre sentido e dinâmicas do não sentido, equilíbrios provisórios e a precariedade necessária à estruturação de toda nova forma.


Abstract : The concept of change is generally understood in its terminative sense, as the point of arrival of a path of mutation that manages the relationship between two states of existence. Instead, within this intervention, we will be interested in change as a semantic field of becoming, the lasting apex of a transformation that affects an area of passage that has not yet been decided, flow and frontier, an area at risk of denial that has not yet identified its final qualification. The theme will be treated in a logical sequence that aims to investigate the conceptual developments of the relationship between sense and the dynamics of non-sense, provisional balances and the precariousness necessary for the structuring of each new form.


Riassunto : Il concetto di cambiamento è generalmente inteso nella sua accezione terminativa, come punto di arrivo di un percorso di mutazione che gestisce la relazione tra due stati di esistenza. Ci interesseremo invece, all’interno di questo intervento, del cambiamento come campo semantico del divenire, apice durativo di una trasformazione che investe una zona di passaggio ancora non deciso, flusso e frontiera, zona a rischio della negazione che ancora non ha individuato la sua qualificazione finale. Il tema sarà trattato in una sequenza logica che si propone di investigare gli sviluppi concettuali del rapporto tra senso e dinamiche del non senso, equilibri provvisori e precarietà necessaria alla strutturazione di ogni nuova forma.


Mots clefs : changement, devenir, instabilité, seuil, transformation.


Auteurs cités : Omar Calabrese, Gilles Deleuze, Paolo Fabbri, Jacques Fontanille, Algirdas J. Greimas, Eric Landowski, Juri Lotman, Isabella Pezzini, Francesco Poli.


Plan :

Introduzione

1. Liminalità

2. Tensione

3.Trasformazione

4. Differenza

5. Instabilità

6. Divenire, diventare

 

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Recebido em 11/10/2023. / Aceito em 10/11/2023.