Analyses et descriptions

Corpi in scena :
il senso, il testo, l’interpretazione dello
spettacolo teatrale

Roberto Pellerey
Università di Genova

 

Publié en ligne le 30 juin 2023
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2023n5.62461
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Introduzione. Una tradizione moderna : la semiotica del teatro

L’analisi del teatro e dello spettacolo sembra avere oggi uno scarso peso all’interno degli interessi della disciplina semiotica, dopo essere stata invece uno studio di rilievo nei momenti iniziali della formazione della semiotica contemporanea negli anni ’60 e ’70. Gli Atti del primo Congresso dell’Associazione Internazionale di Semiotica, tenuto a Milano nel 1974, riportano dieci articoli sul teatro e sul testo dello spettacolo, che spaziano dall’interazione dei codici in scena alle strategie di rappresentazione, all’ipotesi di assumere il teatro come modello generale dei processi del linguaggio grazie alla sua particolarità di funzionare solo tramite qualcosa che è sempre rappresentato, ovvero esposto in scena al posto di qualcosa di assente, ma agisce come se fosse realmente presente.

Negli anni ’80 e ’90 sono state formulate diverse teorie semiotiche generali del teatro basate sui modelli semiotici più diffusi al momento, seguite da un progressivo disinteresse, fino a una rarefazione degli studi e alla loro quasi scomparsa. Il discorso su teatro e semiotica viene ripreso dalla rivista Culture Teatrali, che nel 2009 ospita una serie di interventi e interviste a critici teatrali e semiologi che riesaminano le ragioni e i risultati della semiotica del teatro facendo un bilancio del suo ruolo nella storia degli studi sullo spettacolo. Alcune osservazioni ricorrenti in queste pagine fissano i punti principali della relazione tra la semiotica e il teatro negli anni ’60–’80. Prima di tutto, questa relazione è inquadrata nel contesto culturale dell’epoca, poiché alla semiotica è riconosciuta la funzione storica di strumento essenziale per la giustificazione teorica del passaggio dalla centralità del testo scritto alla centralità dello “spettacolo in scena” come oggetto di analisi. Allo stesso tempo essa ha collaborato al superamento concreto dei codici teatrali tradizionali a favore del teatro di sperimentazione e del teatro in cui ha un rilievo centrale, anche teorico, la dimensione corporea dell’attore.

Già negli anni ’70–’80 una scuola di semiotica del teatro in gran parte italiana1 ha esaminato il “testo drammatico”, e cioè il testo scritto (in genere in forma di copione scritto da un autore), come un insieme di istruzioni di partenza per la messa in scena e dunque per l’effettiva realizzazione dell’autentico testo spettacolare, consistente in ciò che accade in scena, dai gesti e movimenti degli attori agli spostamenti di luci, oggetti, costumi, apparati scenografici :

anche il testo drammatico più completo, descrittivo e ricco di didascalie-progetto nei confronti del suo allestimento scenico deve sempre essere considerato alla stregua di uno schema, di un’articolata ipotesi teatrale e deve quindi essere analizzato da questa prospettiva, anche quando l’indagine si voglia restringere alle sue strutture e ai suoi valori letterari.2

1 Cfr. G. Bettetini, M. De Marinis, Teatro e comunicazione, Firenze-Rimini, Guaraldi, 1977 ; F. Ruffini, Semiotica del testo : l’esempio teatro, Roma, Bulzoni, 1978 ; A. Serpieri, “Ipotesi teorica di segmentazione del testo teatrale”, Strumenti Critici, 32-33, 1977.


2 G. Bettetini, M. De Marinis, op. cit., 1977, p. 28. Cfr. anche M. De Marinis, Semiotica del teatro. L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982 ; id., Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Firenze, La Casa Usher, 1988.

Il testo spettacolare era inteso, in questa prospettiva, come un macro-atto comunicativo dotato di una molteplicità di codici e convenzioni che riguardano tutto ciò che è presente in scena (dall’intensità delle luci alla disposizione degli spettatori nell’ambiente scenico). Esso è basato su una fondamentale dimensione pragmatica che lo costituisce in realtà come un macro-atto linguistico nei termini della teoria degli speech-acts3.

3 Cfr. M. De Marinis, Semiotica del teatro, op. cit., e Capire il teatro, op. cit.

Ai risultati di questa impostazione non ha corrisposto uno sviluppo rispondente all’effettivo progresso della teoria semiotica, soprattutto di ambito interpretativo. In ambito internazionale esiste una tradizione di studi di semiotica del teatro che si arresta però alla nozione di spettacolo inteso come realizzazione in scena di un testo scritto da un autore, e non esamina il modo in cui lo spettatore attribuisce significato all’insieme dello spettacolo, nodo centrale della prospettiva interpretativa. Nella Semiotica del teatro di Marco De Marinis del 1982 la semiotica applicata è già la semiotica interpretativa, d’altronde appena sistematizzata nel Trattato di semiotica generale (1975) e nel Lector in fabula (1979) di Eco, ma manca tutto il dibattito successivo sui limiti, le oscillazioni e i vincoli dell’interpretazione, nonché lo svolgimento di questo dibattito nell’ambito percettivo, della traduzione, della negoziazione tra il soggetto percipiente e la materia percepita. Eco stesso in un saggio pubblicato nel 1985 (ma risalente ad un intervento del 1972) si interroga sostanzialmente sullo statuto della “rappresentazione” teatrale come finzione che può anche utilizzare l’ostentazione di fatti reali, e termina sulla necessità che l’attore domini bene le dinamiche della cinesica, della paralinguistica, della prossemica per una finzione efficace4. In un saggio del 1994 esamina poi a lungo la storia della cinesica e degli studi sulla gestualità per ricostruire una genealogia degli studi teatrali contemporanei, sempre nella prospettiva del teatro come finzione efficace e consapevole5.

4 U. Eco, “Il segno teatrale” (1972), Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985.


5 U. Eco, “Considerazioni di un semiologo”, in A. Ottai (a cura di), Il teatro e i suoi doppi. Percorsi multimediali nella ricerca sullo spettacolo, Roma, Kappa-Teatro Ateneo, 1994.

Keir Elam (The Semiotics of Theatre and Drama, 1980) esamina il teatro come opera letteraria ed analizza il modo in cui il testo letterario è messo in scena. Anne Ubersfeld (Lire le Théâtre II. L’école du spectateur, 1996) descrive lo spettacolo come un testo composto da codici indipendenti (ad es. del regista, dell’autore, delle luci, della musica) che si uniscono in scena. Patrice Pavis (L’analyse des spectacles, 1996) esamina i rapporti tra testo scritto e lavoro degli attori e del regista. De Marinis ritorna sull’argomento nel 1986 rilevando le difficoltà e le contraddizioni nello studio di “un fenomeno così complesso e sfuggente come la comprensione teatrale dello spettatore comune” dopo aver rinunciato ad intenderla come una decodifica automatica dello spettacolo6.

6 M. De Marinis, “Ricezione teatrale : una semiotica dell’esperienza ?”, Carte Semiotiche, 2, 1986, p. 37.

1. Il teatro e il corpo in azione

Nel frattempo però, dagli anni ‘60 ad oggi, anche il teatro è cambiato. Non si tratta ormai più, dopo le diverse rivoluzioni artistiche e avanguardie che si sono succedute nel tempo, dell’arte della recitazione di un copione, dell’immedesimazione psicologica dell’attore in un personaggio, della finzione efficace di una identità che parla o agisce in scena, o della rappresentazione in scena di una sequenza di fatti regolati da una sintassi narrativa così come la descrivono gli schemi della narratologia o il modello generativo.

Il teatro è oggi per eccellenza un’arte il cui gioco di sensi e valori scaturisce dalla centralità della materia fisica che ne costituisce l’essenza : il corpo dell’attore in azione in scena. Il teatro di ricerca è scaturito negli ultimi 50 anni dal principio dell’autonomia della performance rispetto al testo verbale, a partire dalle intuizioni di Antonin Artaud e dal teatro laboratorio istituito da Peter Brook e da Jerzy Grotowski, fino alla performance corporea in cui la declamazione convincente di un copione scritto da un autore è persino assente. Maestro riconosciuto della visione contemporanea è Jerzy Grotowski, per il quale “la tecnica scenica e personale dell’attore [è] il nucleo dell’arte teatrale”7. Il Teatro non è altro, una volta eliminati scenografie, costumi, musica, luci, testo verbale, che ciò che accade quando qualcuno definito “attore” fa qualcosa di fronte a qualcuno definito “spettatore” :

7 J. Grotowski, Towards a Poor Theatre, Holstebro, Odin Teatret Forlag. Tr. it., Per un teatro povero, Roma, Bulzoni, 1970, p. 21.

Può il teatro esistere senza attori ? Non conosco esempi del genere. (...) Può esistere il teatro senza spettatori ? Ce ne vuole almeno uno perché si possa parlare di spettacolo. E così non ci rimane che l’attore e lo spettatore. Possiamo perciò definire il teatro come “ciò che avviene tra lo spettatore e l’attore”. Tutto il resto è supplementare.8

8 J. Grotowski, op. cit., p. 41.

L’essenza di quest’arte è allora il rapporto diretto tra attore e spettatore che scatena effetti di intensità sensibili, palpabili, vivi :

Eliminando gradualmente tutto ciò che si dimostrava superfluo, scoprimmo che il teatro può esistere senza cerone, senza costumi e scenografie decorative, senza una zona separata di rappresentazione (il palcoscenico), senza effetti sonori e di luci ecc. Non può invece esistere senza un rapporto diretto e palpabile, una comunione di vita fra l’attore e lo spettatore.9

9 Ibid., p. 25.

Di conseguenza diventa centrale l’azione, tecnicamente esercitata e controllata, dell’attore in scena, ovvero la sua capacità di usare il proprio corpo e la propria presenza in una determinata situazione per creare una densità situazionale e uno stato di intensità emotiva che si genera nella compresenza fisica di attore e spettatore10 :

La vicinanza dell’organismo vivo : ecco il solo elemento di cui il teatro non può essere defraudato né dal cinema né dalla televisione : grazie a ciò ogni provocazione lanciata dall’attore, ognuno dei suoi atti magici (…) diventa qualcosa di grande, di straordinario e simile all’estasi. Per questo è necessario abolire la distanza tra l’attore e lo spettatore facendo a meno del palcoscenico, infrangendo tutte le barriere. Che quanto vi è di più intenso, avvenga faccia a faccia con lo spettatore così che egli sia a portata di mano dell’attore, possa sentire il suo respiro e percepire il suo sudore.11

10 Esempi del teatro e del training di Grotowski, tra cui l’intero spettacolo “Il principe Costante”, ai seguenti indirizzi : https://www.youtube.com/watch?v=zoebHrAqq_0&t=808s, https://www.youtube.com/watch?v=s TGj6aizP9M&t=231s, https://www.youtube.com/watch?v=jBMWlroyXco&t=2149s.


11 Ibid., p. 51.

Da questi presupposti ha preso avvio la rivoluzione teatrale che dagli anni ’60 in poi ha portato, per esempio, all’abolizione del palcoscenico e alla definizione di “scena” per qualsiasi spazio in cui si svolga l’azione, alla disseminazione nello spazio di attori e spettatori, alle diverse forme di teatro inteso come intervento sociale sul campo in comunità specifiche, al lavoro con la voce intesa come emanazione fisica del corpo dell’attore, e così via. In questa direzione l’esperienza più significativa è stata la ricerca condotta dal 1979 dall’ISTA (International School of Theatre Anthropology). Quest’istituzione, promossa dall’Odin Teatret, è costituita da una rete multiculturale di attori, registi e ricercatori che, attraverso lo scambio di conoscenze tecniche tra maestri di tradizioni teatrali differenti, dall’Asia all’Europa, mira a individuare i principi generali dell’uso del corpo per ottenere presenza scenica. Fin dagli anni ’80 hanno partecipato alle sue sessioni periodiche, dedicate ogni volta a temi differenti indagati tramite esercitazioni pratiche e dimostrazioni di tradizioni teatrali e tecniche di spettacolo di culture diverse, gruppi e singoli artisti di Bali12 e di Giava, interpreti dei teatri giapponesi Nô, Kyogen e Kabuki, e interpreti delle principali forme della tradizione teatrale e di danza dell’India13. Anche l’esperienza di queste forme di teatro ha peraltro contribuito a elaborare la nozione di “testo spettacolare” come insieme di elementi, azioni e fattori in scena, che ha preso il nome di performance text :

Il dramma Nô non esiste come un insieme di parole che poi saranno interpretate da attori. Il dramma Nô esiste come un insieme di parole che sono inestricabilmente intrecciate di musica, gesti, danza, metodi di recitazione e costumi. Dobbiamo vedere il Nô non come la realizzazione di un testo scritto ma come un totale performance text durante il quale vi sono parti in cui le componenti non verbali sono dominanti.14

12 Esempio di danza di Bali presentato all’ISTA : https://www.yout ube.com/watch?v=pSSmYqUcOkY.


13 Momenti di lavoro negli incontri dell’ISTA : https://www.youtube.com/watch?v=3ZzQi2WWmnQ, https://www.youtube.com/watch?v=BuMWwEeY4W0, https://www.youtube.com/watch?v=T7Gv0kzFZNk, https://www.youtube.com/watch?v=Kdcu3t3Z8NA, https://www.youtube.com/watch?v=aKj6uxm_EH4.


14 R. Schechner, “Training in prospettiva interculturale”, in E. Barba e N. Savarese (a cura di), L’arte segreta dell’attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Lecce, Argo, 1996, p. 247.

Lo studio della tecnica e delle situazioni sociali, artistiche o rituali della realizzazione dello spettacolo in queste tradizioni ha contribuito a dilatare l’idea del teatro accettando il principio che le nozioni di teatro e teatralità, e la distinzione o la fusione tra teatro, danza, narrazione, canto, performance, e altre forme di spettacolo o di intrattenimento, sono categorie instabili e relative, molto diverse per aree geografiche, tradizioni, sistemi artistici e culturali, al punto che la descrizione più accettata della teatralità la pensa come un sistema di aspettative socio-culturali di fruizione anziché come una sostanza dotata di una natura identitaria propria.

I risultati dello studio comparativo svolto dall’ISTA sono esposti nell’Antropologia Teatrale, lo studio delle basi organiche del comportamento umano in situazioni di rappresentazione organizzata15 per ottenere “presenza scenica” : principi e leggi interculturali di base come la “alterazione dell’equilibrio”, il “principio dell’opposizione”, il “principio dell’equivalenza”16.

Per “alterazione dell’equilibrio” si intende, ad esempio, lo sbilanciamento volutamente prodotto dell’equilibrio del corpo (spostando i pesi o eliminando il sostegno di gambe, piedi o parte del tronco) che obbliga l’attore a un gioco di bilanciamenti muscolari e del peso delle masse corporee per evitare di cadere o di afflosciarsi. Tale lavoro di pesi e contrappesi, in movimento o in immobilità del corpo, genera un effetto di energia irradiante dall’attore, dovuta in realtà alla tensione e allo sforzo delle masse muscolari per mantenere in equilibrio il corpo, e produce una suggestione di intensità per la sola presenza dell’attore, anche quando sia muto o immobile :

15 Cfr. E. Barba, La canoa di carta, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 23-24 ; anche E. Barba, “Antropologia teatrale” e F. Ruffini, “ISTA (International School of Theatre Anthropology)”, in N. Savarese (a cura di), Anatomia del teatro. Un dizionario di antropologia teatrale, Firenze, La Casa Usher, 1983, pp. 13-28 e 84-94.


16 La canoa di carta, op. cit., pp. 27-56.

Nel teatro balinese l’attore si appoggia sulla pianta dei piedi, sollevandone il più possibile la parte anteriore e le dita. Questa postura diminuisce quasi della metà la base di sostegno del corpo. Per evitare di cadere, l’attore è obbligato a divaricare le gambe e a piegare le ginocchia (…). Questa elaborata saldezza di tensioni i cui dettagli restano invisibili sotto pesanti e preziosi costumi, determina nel suo insieme la presenza suggestiva degli attori.17

17 Ibid., pp. 34-35. Esempio di danze Gamelan di Bali : https://www.youtube.com/watch?v=CGJKpgspI0w.

Così nel Kathakali indiano18 l’attore “si appoggia sui lati esterni dei piedi, ma le conseguenze sono identiche. Questa nuova base implica un cambiamento radicale dell’equilibrio che ha come risultato una postura con gambe aperte e ginocchia piegate”19. Non diversamente si comportano gli attori della Commedia dell’Arte e di diverse tradizioni teatrali europee20 :

In tutte le forme codificate di rappresentazione, in Oriente come in Occidente, si ritrova questa costante (…). L’equilibrio — la capacità dell’uomo di tenersi eretto e di muoversi in tale posizione nello spazio — è il risultato di una serie di rapporti e di tensioni muscolari del nostro organismo. Più i nostri movimenti diventano complessi — compiere dei passi più grandi di quelli che compiamo d’abitudine, tenere la testa più avanti o indietro — più l’equilibrio è minacciato. Allora tutta una serie di tensioni entrano in azione per impedirci di cadere (…). Un’alterazione dell’equilibrio ha come conseguenza delle precise tensioni organiche che impegnano e sottolineano la presenza materiale dell’attore.21

18 Esempi di Kathakali : https://www.youtube.com/watch?v=_4WmgIyg6rY, https://www.youtube.com/watch?v=rb0EDfrGOig.


19 Ibid., p. 35.


20 Cfr. ad esempio L’arte segreta dell’attore, op. cit., pp. 73 e 76.


21 Ibid., pp. 73-74.

È questo gioco di tensioni che crea l’effetto di intensità nel portamento e nella presenza dell’attore, che trae a sé l’attenzione dello spettatore, e che prende il nome di “presenza scenica”, una “qualità di presenza che stimola l’attenzione dello spettatore”22. Tale “presenza” è raggiunta, ad esempio dagli attori dell’Odin Teatret, tramite una preparazione costante e un insieme di esercitazioni che riguardano sia l’aspetto fisico che l’aspetto psichico del lavoro dell’attore23.

22 La canoa di carta, op. cit., p. 30.


23 Alcuni esercizi del training realizzato all’Odin Teatret : https://www.youtube.com/watch?v=JUJH4i6-uuM.

Il training è, nella pratica inaugurata da Grotowski, il lavoro fisico quotidiano sul corpo dell’attore, ovvero un insieme di esercizi, ripetuti e variati nel tempo, che portano l’attore alla conoscenza delle particolarità del proprio corpo e alla capacità di plasmarne la materia organica in forme, movenze, figure, movimenti, destinati a modellare le proprie energie. L’attore dovrà non solo esercitare il proprio corpo con un allenamento acrobatico, ma risolvere problemi fisici quali ad esempio imparare come inginocchiarsi con entrambe le gambe senza perdere il controllo del peso e battere le ginocchia a terra, o come spostare l’equilibrio del corpo in avanti senza cadere a faccia in giù ma planando di lato per assorbire progressivamente il colpo con la parte laterale del corpo24. Da una parte il training è scoperta delle proprie energie e particolarità fisiche personali, dall’altra è l’apprendimento di una tecnica che renderà capace l’attore di raggiungere la piena presenza scenica25 :

Il training (…) ha avuto un suo sviluppo. Si è iniziato dalla ripresa di esempi e di frammenti di esercizi, come dei patterns che l’attore deve imparare a padroneggiare, fino a trasformarsi in una capacità, da parte dell’attore, di modellare le proprie energie : per cui l’attore, in realtà, dopo qualche tempo — dipende dalle capacità individuali e dalla temperatura del processo — non esegue più gli esercizi che ha imparato, ma padroneggia qualcosa di più completo e profondo, quei principi cioè che rendono vivo il corpo sulla scena.26

24 Esempi tratti da E. Barba, “Da ‘apprendere’ a ‘apprendere ad apprendere’”, L’arte segreta dell’attore, op. cit., p. 245.


25 Un esempio del training di Grotowski : https://www.youtube.com/watch?v=kNzESIKUQhw&t=430s


26 N. Savarese, “Training e punto di partenza”, in E. Barba e N. Savarese (a cura di), L’arte segreta dell’attore, op. cit., p. 249.

Se per Julia Varley, attrice dell’Odin, il training è “apprendistato, allenamento, addestramento, lavoro su se stessi, preparazione (…) una disciplina fisica e mentale” destinata a “riscoprire, risvegliare e risentire un’energia basilare : esercizi per rafforzare la schiena, per allineare le ossa, per ovviare dolori e contrazioni, per mantenere il tono muscolare”27, per Roberta Carreri, anch’essa attrice dell’Odin, risultato del training è la scoperta di “come trovare la propria presenza scenica (…) liberandosi dagli automatismi della vita quotidiana [e] dai propri automatismi professionali, dai propri cliché”28.

Il training, la conoscenza delle dinamiche fisiche del corpo organico, la nozione di presenza scenica, l’uso di tecniche come l’alterazione dell’equilibrio e i principi individuati dall’Antropologia Teatrale costituiscono attualmente un insieme coeso e solidale di principi che definiscono lo spazio tecnico e teorico dell’arte del teatro oggi.

27 J. Varley, Pietre d’acqua. Taccuini di un’attrice dell’Odin Teatret, Milano, Ubulibri, 2006, pp. 60-61.


28 R. Carreri, Tracce. Training e storia di un’attrice dell’Odin Teatret, Milano, Il Principe Costante, 2007, pp. 35-40.

2. L’Odin Teatret e lo spettacolo teatrale come testo vivo

È possibile utilizzare i criteri e principi fondamentali della semiotica interpretativa, facendo riferimento in particolare a Umberto Eco (da Lector in fabula, 1979, a Semiotica e Filosofia del linguaggio, 1984, a Dire quasi la stessa cosa, 2003, ma anche ai saggi sulla metafora, in Metafora e conoscenza del 2005, e sulla percezione in Studi di semiotica interpretativa del 2007) per descrivere principi e forme dell’Antropologia Teatrale nella pratica metodologica e nel lavoro di un gruppo particolarmente significativo nella storia del teatro contemporaneo, l’Odin Teatret, per poi congiungerli esaminando questo teatro con criteri semiotici per identificare cosa sia il “testo” in questo teatro, quale senso possieda e scaturisca dai suoi elementi materiali testuali (intentio operis), e come proceda l’interpretazione di questo testo-spettacolo da parte dello spettatore. Il centro focale è l’interpretazione dello spettacolo, delle sue possibilità di significato e dei limiti invalicabili dell’interpretazione. In altri termini, è il problema di quale senso scaturisca dall’interpretazione e dall’incontro o impatto con un’evidenza fisica e materiale quale l’azione del corpo dell’attore in scena (una volta definito cosa sia la scena in questo teatro) e quali particolarità abbia il significato scaturito da questa esperienza in condizioni di presenza di un fatto fisico e materiale rispetto ad esperienze condotte tramite rappresentazione trasmessa.

Per questa analisi abbiamo osservato principalmente gli spettacoli e il lavoro dell’Odin Teatret. Formato nel 1964 a Oslo, l’Odin Teatret nel 1966 si sposta a Holstebro (Dinamarca), grazie all’invito delle autorità comunali a fissarvi la sua sede e contribuire alla vita culturale della città. Qui il gruppo teatrale diventa un centro di produzione artistica internazionale. I suoi spettacoli cambiano il teatro contemporaneo, con spettacoli basati sulla capacità degli attori di muovere le emozioni dello spettatore facendolo entrare con l’animo in una “danza” di azioni e reazioni29. Fin dal 1966 l’Odin ha sviluppato tre tipi di studi e di interventi : artistici, pedagogici e di ricerca30. Nella visione dell’Odin, nel teatro la ricerca pura consiste nell’indagine sui principi di base dell’azione scenica. Spettacoli e lavoro dell’Odin sono stati osservati in diversi periodi di permanenza presso la sede di Holstebro, in particolare osservando il lavoro di preparazione degli spettacoli, e assistendo alla loro rappresentazione in sedi e contesti diversi, da Holstebro a Pontedera. Altri riferimenti ed esempi sono offerti dall’osservazione di gruppi, interpreti e spettacoli più distanti dall’antropologia teatrale31.

Resta da stabilire quale nozione di testo si adotti in questo progetto di analisi. Costituisce “testo” dello spettacolo, in questo metodo, l’insieme degli elementi materialmente presenti in scena, così come nel testo scritto materiali testuali sono le parole, frasi, spazi, disposizioni grafiche e paragrafi che compongono l’integralità oggettiva del testo. Materiali testuali sono dunque il corpo degli attori, ciò che gli attori fanno (movimenti, gesti, sguardi, emissioni di suono e parola), gli oggetti, le luci, i costumi, i suoni, i rumori, il tipo di suolo, la distanza tra attori e pubblico, il tipo di sala, il tipo di illuminazione (diffusa in sala o concentrata sulla scena), l’ambiente circostante (sala, piazza o strada urbana, spazio immerso nella natura, edificio abbandonato, fabbrica, porto, edificio storico…), le posizioni e la disposizione nello spazio di oggetti e attori, ovvero tutto ciò che fa parte dello specifico insieme di condizioni materiali dello spettacolo ed è empiricamente percepibile come presente in scena.

29 Parte dello spettacolo Judith creato da Roberta Carreri (Odin Teatret) : https://www.youtube.com/watch?v=6vq_RoAfxrM. Parte de “Il sogno di Andersen” : https://www.youtube.com/watch?v=qEWBgF aLePA ; de “Itsi Bitsi” di Iben Nagen Rassmussen : https://www.youtube.com/watch?v=IdsfenVn5Po ; de “Nello scheletro della balena” : https://www.youtube.com/watch?v=hXNFH1_yUro. Lezione di Else Marie Laukvik : https://www.youtube.com/watch?v=6LXde3SP6wU.


30 All’attività teatrale dell’Odin si sono aggiunti la ricerca applicata (l’ISTA, già citato, l’Università del Teatro Eurasiano, il Centre for Theatre Laboratory Studies, gli Odin Teatret Archives), la pratica pedagogica e la creazione artistica (Transit festival, The Magdalena Project), e due riviste (Teatrets Teori og Teknikk e Open Page), oltre simposi, pubblicazioni e incontri come The Midsummer Dream School, laboratorio estivo con l’Università di Aarhus.


31 In particolare, di Àrhat Teatro (Bergamo), lo spettacolo Fiori e il seminario “Il corpo presente” ; di Pippo Delbono, autore di un teatro etico-sociale di forte dissidenza culturale, Questo buio feroce (2006), La menzogna (2008), il film Sangue (2013) (https://www.youtube.com/watch?v=V5uKCNAXwEk) ; del Teatro delle Albe (Ravenna), Stranieri (2008), L’Avaro (2010) e Ubu buur (2007), con l’attore e regista Mandiaye N’Diaye, autore di un progetto in Senegal di sviluppo cooperativo incentrato sul teatro ; del Teatro a Canone di Chivasso (Torino), A ferro e fuoco (2008), Ballata (2008), La pioggia dura (2013), Soave sia il vento (2009). Osservazioni provengono anche dagli incontri Magdalena sin Fronteras a Santa Clara (Cuba, 2008 e 2011).

È “testo” a un secondo livello la successione di episodi o scene, ognuna composta da un insieme di elementi compresenti, in una concatenazione lineare nel tempo, così come lo sono, a un terzo livello, le interazioni tra attori (e tra attori, oggetti, luci, suoni, spazi) nel corso degli spostamenti in scena o del cambiamento di organizzazione spaziale. L’attore deve tenere conto della presenza di altri attori ed elementi anch’essi in movimento, che condizionano i suoi spostamenti e il tipo di azioni che può effettuare. Il testo è dunque un intreccio tra lo svolgimento di azioni nel tempo, tra loro concatenate in successione o che si alternano in svolgimenti paralleli, e la presenza simultanea di più azioni nello spazio scenico. Tale doppia dimensione di “insieme di elementi compresenti” in scena e di successione nel tempo costituisce un “intreccio di azioni al lavoro” per usare un’espressione di Eugenio Barba32. In ogni caso il testo è “ciò che accade in scena”, in un dato momento e in successione nel tempo, ed è questo carattere empirico ed oggettivo che lo rende esaminabile.

32 E. Barba e N. Savarese, op. cit., pp. 43-46.

Per quanto riguarda i ruoli e le funzioni previste dalla semiotica interpretativa, Autore empirico del testo è il gruppo di attori, tecnici e regista che lo realizzano materialmente, ma “autore modello” dello spettacolo è l’unità operativa, da essi costituita, che produce un dato tipo di spettacolo, adeguato ad una specifica circostanza pubblica e dotato di senso in diverse circostanze successive di rappresentazione. Ma il gruppo teatrale è consapevole di operare non solo per uno spettatore modello che interpreterà lo spettacolo in un dato modo idealmente previsto ma anche per altri spettatori che effettueranno interpretazioni impreviste, discordanti, uniche, o addirittura inaccettabili. Esistono testi volutamente destinati alla ricezione stratificata : gli spettacoli dell’Odin Teatret si rivolgono contemporaneamente, a quattro distinti spettatori, quattro tipi di lettori modello per uno stesso testo.

Questi quattro spettatori sono i) “il bambino che vede le azioni alla lettera” (osserva l’azione in quanto tale) ; ii) “lo spettatore che pensa di non capire ma che a sua insaputa danza” (“si lascia contagiare dal livello pre-espressivo dello spettacolo, dalla danza dell’energia degli attori, dal ritmo che dilata lo spazio e il tempo dell’azione” — catturato dall’intensità di ciò che accade “lo spettacolo lo fa danzare nella sua sedia”33) ; iii) “l’alter ego del regista” (conosce tutti i testi, i precedenti, i riferimenti, i rinvii, gli strati concettuali come il regista stesso) ; iv) lo spettatore “che vede attraverso lo spettacolo” (sa riconoscere le scelte tecniche che materialmente lo spettatore non vede : è l’esperto competente, il critico teatrale, l’attore o il regista di altri gruppi).

33 E. Barba, “Quella parte di noi che vive in esilio”, Teatro. Solitudine, mestiere, rivolta, Milano, Ubulibri, 1996, p. 244.

Ogni momento dello spettacolo deve essere giustificato agli occhi di ognuno di questi quattro spettatori. La tecnica del regista (…) consiste nel sapersi immedesimare prima nell’uno, poi nell’altro e nell’altro ancora, sorvegliando le loro reazioni, immaginando il riso del quarto spettatore. Suo compito è armonizzare i quattro diversi spettatori affinché ciò che permette all’uno di reagire non blocchi le reazioni cenestesiche o mentali dell’altro.34

34 Ibid.

L’autore efficace è colui che sa organizzare un testo in grado di rivolgersi contemporaneamente a questi quattro distinti spettatori. Lo spettacolo si costituisce materialmente come “integrità organica” (testo) ma “in alcuni momenti parla a tutti, mentre in altri parla a ognuno diversamente”35.

35 Ibidem, p. 241.

Se attori e registi sono consapevoli dell’esistenza di questi diversi ruoli, esiste dall’altra parte uno spettatore molto attivo e partecipe nel suo lavoro di dare senso a ciò che vede e in cui è immerso. L’atto di cooperazione interpretativa che mette in opera l’interpretazione risulta composto, nella partecipazione a uno spettacolo teatrale, di più processi. In essi gli elementi in scena si integrano con gli altri dati introdotti mentalmente che fanno acquisire un senso a quanto accade in scena. Alle conoscenze introdotte tramite i diversi tipi di escursioni e integrazioni36, nel caso del teatro si unisce una serie di atti, decisioni, ipotesi e scelte che organizzano la comprensione del flusso di eventi materiali percepiti e della successione temporale di momenti ed azioni. Un primo processo, ad esempio, è la compresenza stessa nello spazio teatrale degli spettatori con gli attori, una situazione che, unita alla consapevolezza di stare partecipando all’evento costituito dallo svolgersi di una data rappresentazione, determina la tensione rituale e la densità emotiva complessiva del momento.

36 Si veda U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979.

Un secondo processo di cooperazione interpretativa è la decisione di quale consistenza fisica assegnare al testo, ovvero la decisione se collegare le scene che si succedono in una sequenza narrativa unitaria, una storia che viene narrata, oppure percepire ogni scena come una unità autonoma cui assistere isolandola, percependone i caratteri visivi e poetici propri in un insieme la cui organicità non sarà narrativa ma sarà data dalla coerenza di un motivo estetico e poetico di fondo. Il teatro di Pippo Delbono, ad esempio, è il più chiaro esempio di organizzazione dello spettacolo come successione lineare di momenti autonomi, ognuno composto di diversi elementi compresenti in scena, predisposti per uno spettatore modello non narrativo ma bensì sintagmatico.

Un terzo processo di cooperazione interpretativa è la selezione, in ogni scena, di un singolo elemento, una tra le azioni simultanee degli attori, o un oggetto in movimento, che attrae la percezione diventando la dominante percettiva : è quello che lo spettatore ha deciso di seguire tra tutto ciò che accade in scena, e sarà di fatto la base del suo montaggio percettivo finale dello spettacolo. Più raffinata è l’operazione di distinguere i vari livelli di stratificazione del testo, cioè le fonti utilizzate e le fasi della loro confluenza nel testo finale, decidendo peraltro se dedicare tempo ed attenzione a riconoscerle e distinguerle, oppure ignorarle e legarle nella percezione di un unicum testuale unitario e indistinto. Si tratta di un’operazione abituale nel caso di spettacoli tratti da fonti letterarie rielaborate e amalgamate con altre fonti (esperienze personali, racconti, resoconti, descrizioni di fatti che rievocano la narrazione letteraria…), ma risulta utile anche con spettacoli di gruppi che rielaborano parti di spettacoli precedenti, propri o di altri.

Ancora, lo spettatore coopera quando scandisce in sequenze il flusso di azioni e movimenti, ovvero decide dove una scena finisce e ne inizia un’altra, decidendo così il proprio ritmo dello spettacolo ; ad esempio, decide che un dato gesto, un dato ingresso, un dato cambiamento di musica o di luci è il momento di cesura tra due scene. Coopera, ancora, quando ipotizza un eventuale valore metaforico di un singolo gesto, o di un singolo oggetto. Alcuni spettatori di Min Fars Hus, spettacolo dell’Odin del 1972 che trae origine da vita e opere di Fedor Dostoevskij37, decidono che una donna sconosciuta tastata da un uomo bendato è la madre Russia, o una donna ubriaca è il popolo ingannato38. L’interpretazione è dunque il processo che determina sia l’effettiva consistenza materiale del testo sia il suo senso secondo le diverse scelte e riconoscimenti compiuti.

37 Parte dello spettacolo “Min fars hus” : https://www.youtube.com/watch?v=cr7auaX64H8.


38 F. Taviani, Il Libro dell’Odin. Il teatro-laboratorio di Eugenio Barba, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 164-166.

3. Interpretazioni dello spettacolo :
sensi orientati e sensi imprevisti

Quante sono e quali sono le interpretazioni possibili dello spettacolo da parte dello spettatore, previste o impreviste, accettabili o inaccettabili ? L’Odin considera ovvia, anzi secondo Lluís Masgrau addirittura una virtù estetica, la varietà delle interpretazioni del senso complessivo dello spettacolo, che può essere molto diverso da quello che riteneva il gruppo o il regista che ha creato lo spettacolo :

[la relazione con lo spettatore] è una tecnica minuziosamente elaborata affinché lo spettacolo abbia la capacità di dire cose distinte a ogni spettatore in funzione della sua cultura, la sua biografia, le sue sofferenze, le sue esperienze, le sue ambizioni, le sue nostalgie, i suoi sogni. Si tratta di individualizzare al massimo la relazione con lo spettatore allo scopo che questi abbia la sensazione che lo spettacolo è stato creato appositamente per sussurrargli qualcosa di personale all’orecchio.39

39 L. Masgrau, “Arar el cielo para alumbrar raíces”, in E. Barba, Arar el cielo. Diálogos latinoamericanos, La Habana, Casa de Las Americas, 2002, p. 81.

Se tale interpretazione completata di senso dal lettore è la “intentio lectoris”, anche in teatro interviene la “intentio operis” a delimitare e indirizzare l’interpretazione evitando la sovrainterpretazione :

l’attività interpretativa del lettore non è priva di vincoli. Solitamente un testo è strutturato in modo tale da anticipare e da indirizzare le mosse del proprio destinatario previsto. (…) A questo scopo, la superficie espressiva del testo è disseminata di indizi che mirano a incanalare le abduzioni del lettore in alcuni percorsi prestabiliti.40

40 V. Pisanty e R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004, p. 338.

Gli spettatori idealmente previsti vengono incanalati verso i sensi preventivati per loro, con un insieme di indicazioni coerenti. Da una parte, infatti, “generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui”41, dall’altra il testo è cosparso di elementi che indirizzano l’interpretazione verso una direzione voluta e sollecitata. Il testo teatrale indirizza l’interpretazione e dà indicazioni tramite la natura effettiva della sua testualità materiale (corpo, gesti, movimenti, luci, spazi, oggetti, costumi, suoni, interazioni, sequenze, successioni di scene…) che orienta verso una interpretazione che dia coerenza reciproca alle componenti del testo in una data prospettiva.

41 U. Eco, Lector in fabula, op. cit., p. 54.

Il teatro dell’Odin è cosparso di questi indizi che orientano l’interpretazione, costituiti da attrattori percettivi di diverso ordine che indirizzano l’attenzione verso un elemento della scena, o ancora indicano un cambiamento di scena. Agiscono dunque sulla percezione di quanto è presente in scena oppure sulla divisione del flusso continuo in scene. Nello spettacolo La vita cronica (del 2011)42 la visione degli spettatori è orientata dai rumori, che attirano lo sguardo da un punto all’altro della pedana su cui agiscono tutti gli attori durante lo spettacolo. Un rumore nuovo fa spostare lo sguardo degli spettatori che guardano così tutti nella stessa direzione, mentre guardano in due o tre punti diversi della scena quando si prolungano contemporaneamente rumori e suoni non nuovi, presenti da tempo in scena. Scelgono cioè quale azione seguire tra quelle contemporanee in scena, realizzando un’interpretazione tra quelle possibili in base alla materia del testo. I tipi di suoni e rumori usati comprendono : camminare nel buio (rumore di tacchi o scarpe), pietre che cadono, musica, canto (un attore inizia improvvisamente a cantare o suonare), voce umana che sibila, urla, colpo di pistola, un oggetto che cade improvvisamente al suolo, tintinnio di monetine, un sacchetto che si squarcia (attorno al capo di un’attrice che esibiva soffocamento), chiave battuta sulla porta, ghiaccio che si spezza scagliato al suolo, un cubetto di pietra battuto su una padella, la fiamma ossidrica usata nel buio. Svolge ruolo di suono anche il silenzio, quando improvvisamente si fa silenzio totale di suoni, voci, rumori. I suoni sono così usati come spostatori e attiratori d’attenzione, mentre in altri spettacoli rivestono questo ruolo le luci o i movimenti.

Più in particolare, in La vita cronica si distinguono quattro casi : a) un rumore nuovo sposta lo sguardo verso di sé; a volte cresce lentamente nel silenzio, a volte fa da contrappunto a una scena già in corso ; b) un rumore nuovo fa anche da segnale di cambio scena, viene cioè usato per demarcare l’inizio di una scena nuova nel flusso di azione, musica, movimenti ; c) lo spettatore utilizza l’inizio di un rumore nuovo e diverso come segnale indicatore che “qui si cambia scena” e subentra una nuova azione, una nuova unità narrativa, dunque come prefigurazione d’attesa ; d) spesso il cambio scena è indicato da un rumore non solo nuovo ma anche di un tipo nuovo e diverso : rumore di pietra vs musica o canto (cioè non un canto che subentra a un canto, una pietra che subentra a colpi metallici), battere di mani vs rumore di oggetti, tacchi di scarpa (“sta entrando qualcuno dall’altra parte della pedana”) vs voce.

42 Parte de “La vita cronica” : https://www.youtube.com/watch?v=f2JmK5vLvs0.

In altri spettacoli invece gli attrattori percettivi sono soprattutto di tipo visivo. In La vita cronica si usa sostanzialmente solo il buio : l’attrice Roberta Carreri spegne di colpo le candele e fa buio e silenzio totale all’improvviso. In Il castello di Holstebro, spettacolo unipersonale di Julia Varley43, il cambio scena è dato dal cambiamento di elemento visivo o verbale usato, tra i tre tipi presenti nel testo : a) movimenti, gesti, azioni ; b) oggetti (compresi abiti, pupazzi, tessuti) ; c) parole, frasi, discorsi (verbale). Il passaggio da una sequenza di movimenti a una di discorsi, a una di uso di oggetti, indica un cambiamento di scena, se lo spettatore non decide di legarli invece in macro-scena composta da 2/3 sequenze diverse. In Grandi città sotto la luna44 spostatore d’attenzione è il distacco di un attore dal semicerchio con cui si presentano di fronte al pubblico, che costituisce ingresso in scena per un intervento singolo con parola, musica, canto, rumori (battere piedi per terra), maschere o costumi : lo spettacolo è fondato in prevalenza sul testo visivo e, tra i suoni, su verbale e musicale. Lo stesso vale per Ode al progresso45, che utilizza sostanzialmente attrattori visivi (ingressi in scena, costumi, azioni complesse), utilizzati peraltro anche nel modo consolidato in teatro per spostare l’attenzione verso una parte della scena per fare qualcosa dall’altra parte senza essere visti, come ingresso o uscita di attori.

43 Parte de “Il castello di Holstebro” : https://www.youtube.com/watch?v=lWKL_nC-hM0.


44 Parte di “Grandi città sotto la luna” : web https://www.youtube.com/watch?v=QDb71IMqFTY.


45 Parte di “Ode al progresso” : https://www.youtube.com/watch?v=_ZaofMabnCk.

Il testo teatrale manifesta con l’orientamento percettivo la sua “intentio operis”, un percorso di senso che materialmente, per la sua organizzazione empirica, il testo contiene e presenta comunque alla lettura, anche se non prevede tutte le letture possibili ed effettivamente sensate per qualcuno della stessa testualità materiale. Una verifica di accettabilità delle interpretazioni è assicurata dal semplice riscontro che, essendo comuni a molti spettatori, alcune di esse possiedono dunque una coerenza autonoma interna. Nell’idea stessa che esistano quattro livelli di interpretazioni previste l’Odin implicita che esse sono le più adatte allo spettacolo, che si concretizzano nei quattro sensi che i diversi spettatori modello vi vedono, escludendo altre interpretazioni. Nello stesso tempo il gruppo accetta alcune interpretazioni del proprio lavoro che semplicemente non aveva previsto ma che mostrano una coerenza inoppugnabile, secondo i diversi criteri esaminati ad es. in I limiti dell’interpretazione di Eco : lettera del testo, coerenza, economia testuale, consenso intersoggettivo della comunità.

All’Odin dobbiamo però proprio il chiarimento su quale sia la dinamica della formazione del senso imprevisto dall’autore, sottraendone la natura alla “soggettività individuale”. Anche nello spettacolo teatrale il senso, per quanto imprevisto e originale, è sempre collettivamente condiviso da un certo numero di spettatori, ed è su questa condivisione comune che basa la sua legittimità, alternativa a quella prevista dall’autore, in quanto riscontro di una oggettività empirica comunemente rilevata. Il senso imprevisto nasce, nel racconto di Barba e di Julia Varley, da una contestualizzazione dello spettacolo imprevedibile storicamente in anticipo. Un dato spettacolo viene cioè presentato in un luogo o in un momento storico in cui i suoi elementi assumono un valore di riferimento a fatti, dati, persone o situazioni contemporanee che non potevano essere a conoscenza dell’autore in anticipo, nel momento in cui componeva il testo, ma che creano un percorso di senso del tutto nuovo nel nuovo contesto storico. Lo spettacolo Kaosmos dell’Odin presentato in Cile nel 199346, in cui sono in scena uomini “in attesa davanti alla porta della legge” (utilizzando il racconto di Kafka “Davanti alla legge”), mentre gli indigeni Mapuche sono da settimane seduti di fronte al palazzo presidenziale in attesa di essere ricevuti per protestare contro l’esproprio delle loro terre, assume un senso di denuncia per una rivendicazione che né Kafka né l’Odin potevano prevedere. Eppure lo assume, pienamente, in relazione ai fatti del contesto in cui è rappresentato, e non può non assumerlo per la nettezza del riferimento acquisito. Diventa la denuncia per la richiesta di un atto di giustizia elusa. Sui giornali cileni si parla quotidianamente della ricerca della verità da parte dei familiari dei desaparecidos :

46 Parte di “Kaosmos” : https://www.youtube.com/watch?v=89_KV4eSVCI.

Una donna viene dall’Argentina per vedere Kaosmos. Non ha dubbi sul tema dello spettacolo : riconosce subito le madri della Plaza de Mayo che cercano di sapere la sorte dei loro figli e i Mapuche che aspettano davanti al palazzo della legge.47

Il meccanismo non è diverso da quello posto in atto quando si rappresenta o si adatta un Ubu re di Alfred Jarry in una nazione oppressa da una dittatura feroce o da un potere soffocante che l’ha trascinata in lunghe guerre, come la Serbia o l’Iran48, che né Jarry né il Teatro delle Albe potevano storicamente conoscere in anticipo. Il meccanismo tecnico della formazione di senso imprevisto è chiaro e non ha rapporto con sfumature soggettive o individuali di significato : il senso imprevisto non è soggettivo ma collettivo, condiviso da una comunità di persone cui sono noti i fatti o situazioni che scatenano il nuovo riferimento, ed è oggettivo, cioè basato su fatti e situazioni storiche o sociali effettivi e reali empiricamente osservabili. Questa osservazione della dinamica tecnica della formazione di senso imprevisto costituisce un contributo alla definizione delle dinamiche del senso di pertinenza della semiotica.

47 J. Varley, Vento ad ovest. Romanzo di un personaggio, Holstebro, Odin Teatrets Forlag, 1996, p. 63.


48 Cfr. M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta 1998-2008, Milano, Ubulibri, 2008.

4. Un caso esemplare : Ubu roi diventa Ubu Buur

Esaminiamo il caso dell’associazione Takkuligey, fondata nel 2002 a Dioll Kadd (Senegal) da Mandiaye N’Diaye, attore e drammaturgo del Teatro delle Albe di Ravenna, tornato al suo villaggio d’origine in Senegal, in un’area rurale di forte tradizione contadina.

Obiettivo dell’intervento dell’associazione è l’istituzione di un’alternativa all’abbandono delle coltivazioni e all’esodo in città dei giovani, e nello stesso tempo si intende combattere il senso di ripiegamento su se stessa della comunità rurale a causa della “assoluta mancanza di infrastrutture e di mezzi”49. Il mezzo è un progetto di sviluppo basato su teatro e agricoltura, cui si aggiungerà in seguito il turismo responsabile. Il perno è però il teatro : “avevo vissuto come attore in Italia e potevo provare a educare (…) attraverso l’esperienza teatrale. Ma la comunità del villaggio è principalmente una comunità contadina, e non si poteva abbandonare quel mondo, che è il cuore dell’intero villaggio. Si poteva dunque provare a portare avanti parallelamente uno sviluppo agricolo e uno culturale”50. Lo spettacolo Leebu Nawet ak Noor, preparato con gli abitanti del villaggio tra 2002 e 2005, e portato in tournée in Italia nel 2006, è una riscrittura del Pluto di Aristofane che mette in scena i due cori contrapposti dei “tradizionalisti” e degli “innovatori” rispetto alle promesse del progresso, cioè ai nuovi metodi agricoli intensivi. Poiché nella tradizione africana non esiste il teatro, si inventa una festa con due cori che giocano.

49 M. N’Diaye,“Le tre T”, in M. Martinelli e E. Montanari, op. cit., p. 89.


50 Ibid., p. 89.

L’Ubu buur, il primo Ubu re di Alfred Jarry allestito in Senegal51, avviato nel 2005 con il consenso dell’assemblea della comunità cui viene subito esposto il progetto, riesce a invertire per la prima volta il flusso migratorio, poiché riporta al villaggio i giovani emigrati nella capitale Dakar, che lavorano allo spettacolo insieme ai contadini e agli ex-studenti delle scuole locali, vivendo e lavorando insieme : “ci siamo chiusi in un recinto come in un monastero, dormivamo lì, mangiavamo lì e lavoravamo lì in forma di comunità”52. Si formano dunque tre gruppi di ragazzi (contadini, ex-studenti, ritornati dalla città) che vivono in comunità per tutta la durata della preparazione dello spettacolo. La comunità appoggia l’impresa non solo come fonte di reddito ma per orgoglio ritrovato di comunità, avviando così un meccanismo virtuoso : gli spettacoli del centro teatrale vanno in tournée in Senegal e in Europa, e i guadagni ottenuti sono investiti in iniziative e strumenti a beneficio complessivo della comunità, a partire dall’acquisto di materiale didattico per la scuola.

51 Parti di “Ubu buur” : https://www.youtube.com/watch?v=uTlppwoHcpo, https://www.youtube.com/watch?v=9B0SOHriB10, https://www.youtube.com/watch?v=0A3GbrSsAN8. Visione integrale : https://vimeo.com/130466761 (spettacolo protetto dal diritto d’autore, vietata ogni riproduzione pubblica non autorizzata).


52 Ibid., p. 92.

Un’attività di produzione teatrale ha ridato vita all’economia di un’intera area rurale, ripristinando le produzioni agricole tradizionali e intervenendo sui nodi centrali cui punta oggi ogni intervento di cooperazione internazionale : invertire il flusso migratorio (dalle metropoli alle comunità rurali), investire in strumenti di lavoro agricolo per l’autonomia produttiva locale, investire nella scuola e nella formazione culturale dei giovani, utilizzare i proventi in denaro a beneficio collettivo della comunità anziché a profitto individuale dei singoli che fanno parte dell’organismo che ha ottenuto il guadagno (in questo caso, il centro teatrale), recuperare l’orgoglio identitario locale. Prima del debutto di Ubu buur nel 2007 una parata degli attori (ai ragazzi del villaggio si è aggiunta l’attrice italiana Ermanna Montanari nei panni di Madre Ubu) tra il recinto teatrale, le strade del villaggio e la savana è uno spettacolo inaugurale collettivo nella forma della festa tradizionale africana con dialoghi di dieci minuti intercalati da danza, musica, movimenti coreografici collettivi, in cui gli spazi del villaggio, capanne, strade, granai spiazzi, aree di bosco e di savana accanto al paese diventano spazi teatrali53. Lo spettacolo teatrale vero e proprio, realizzato con fervore dai giovani attori in un’area apposita esterna al paese, è così una sola parte di un’esperienza teatrale complessiva cui partecipa l’intero villaggio, a sua volta inserita in un progetto di sviluppo complessivo : ma lo spettacolo è certamente tale, con regista, costumista, e attori che sono anche musicisti, cantori, acrobati e domatori.

53 Cfr. M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Jarry 2000. Da “Perhindérion” a “I Polacchi”, Milano, Ubulibri, 2000 ; M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta 1998-2008, Milano, Ubulibri, 2008 ; E. Montanari, “La piana dei kadd”, in M. Martinelli e E. Montanari, op. cit. ; L. Pasina, Takku Ligey : un cortile nella savana. Il teatro di Mandiaye N’Diaye, Pisa, Titivillus, 2011.

L’autore empirico di questa performance complessiva è certamente il Teatro delle Albe di Ravenna, che lo ha ideato e progettato, ma Autore Modello è l’Associazione Takkuligey che ne ha pensato e resa possibile l’effettiva realizzazione sul posto conoscendo condizioni, abitudini e necessità locali. L’associazione Takkuligey è interamente composta da persone native del villaggio, quindi si può affermare che Autore Modello è la comunità stessa del villaggio, che dello spettacolo è anche Lettore Modello : o meglio, Autore Modello è quella parte della comunità che ha aderito e partecipato al progetto, offrendo ad esempio i propri spazi per il corteo iniziale o per lo svolgimento di parti dello spettacolo, o ancora offrendo supporto durante la preparazione, mentre Lettore Modello è la comunità stessa che partecipa e fruisce dell’esperienza teatrale complessiva, ottenendone i benefici estetici ed artistici, partecipando al corteo e ai momenti corali dello spettacolo, e ottenendo in seguito a lunga distanza i benefici sociali ed economici del progetto. Lettore Empirico è l’insieme della popolazione al cui beneficio è rivolta la realizzazione dello spettacolo e dell’esperienza complessiva stessa, ma di cui solo una parte (in verità quasi totale) aderisce e partecipa effettivamente allo spettacolo e all’esperienza facendosi Lettore Modello. In questa prospettiva del testo di questo spettacolo, oltre ai fattori già indicati in precedenza, fanno parte le scenografie corali, di canto e danza collettivi, che amplificano il gioco di interazioni in scena. L’interpretazione dello spettacolo è quindi l’attivazione dell’insieme di atti effettivi il cui svolgimento lo rende possibile, l’effettiva realizzazione delle azioni previste, l’utilizzazione degli spazi predisposti, la partecipazione ai diversi momenti in cui è previsto l’intervento degli spettatori, e così via. Se il testo è l’insieme di azioni e di spazi predisposti, la loro interpretazione è l’effettiva loro utilizzazione per realizzare lo spettacolo complessivo.

Interpretanti sono le conseguenze a breve, medio e lungo termine della realizzazione dello spettacolo : il ritorno al villaggio dei giovani emigrati nella capitale Dakar, l’affiatamento tra i diversi settori sociali di cui fanno parte i ragazzi riuniti a lavorare insieme, la fioritura della nuova autonomia agricola e alimentare, la ritrovata (relativa) autonomia economica, il ritrovato orgoglio di sé della comunità del villaggio, il nuovo ciclo virtuoso “produzione spettacoli, tournées, investimenti a beneficio comune”, la nuova disponibilità di strumenti per il lavoro agricolo e di materiale didattico per la scuola, la creazione di banche dei semi e di orti medicinali, la formazione di personale sanitario, la sicurezza ottenuta, l’attenzione destata nei villaggi vicini, l’interesse suscitato nei politici locali dei grandi centri urbani più prossimi, la conseguente diffusione a onde del modello operativo nella regione.

Sarà invece processo di cooperazione interpretativa ogni ragionamento o intervento intellettuale da parte degli spettatori per attribuire un significato, un senso o un valore a ciò che è presente o accade in scena. Ma quali sono gli elementi di questo testo, cosa vede concretamente lo spettatore ? Esaminiamo le sequenze che lo compongono.

1. Lo spettacolo inizia con la visione di attori con colori e costumi di guerra (pantaloni militari, petto nudo, colori mimetici sul viso), che sotto il sole in una radura ai margini di un villaggio africano, delimitata da una palizzata in legno, danzano e cantano canti minacciosi tenendo in mano fucili e mitragliatori. Atto di cooperazione interpretativa è identificarli come soldati (poiché dotati di un identico abbigliamento, dunque una divisa), di un esercito forse anche irregolare, in stato di esaltazione. Tutti si guardano attorno con gli occhi (dunque, per cooperazione interpretativa, stanno aspettando qualcosa), mentre continua il coro di urla e canti. Un soldato si arrabbia e apostrofa gli altri : non è ancora arrivato Padre Ubu e voi ballate ugualmente (stanno aspettando Padre Ubu) ? Un soldato viene inviato ad arrampicarsi in cima ad un albero e fare da vedetta. Si copre la fronte con la mano e scruta verso l’orizzonte finché griderà “sta arrivando” : tutti cantano “noi saremo sempre con lui” eseguendo una danza ritmica simile ad una marcetta militare (dunque si attiva un processo di attribuzione di caratteristiche e qualità : è un corpo di soldati compatto e fedele).

2. Arriva un uomo vestito allo stesso tempo da comandante e da soldato, con elmetto e divisa militare, ma di grossa taglia, grasso e palesemente inadatto alla vita militare, e in atteggiamento da comandante (è un comandante e soldato, ha movenze da persona che comanda e si attende di essere obbedito : dunque è l’atteso Padre Ubu). Si guarda attorno insoddisfatto ed è irritato, ha l’atteggiamento di chi sta aspettando. Nel frattempo una donna vestita tutta di bianco, e bianca in viso e nei capelli, cammina nel mercato del villaggio tra schiere di persone che le fanno ala, mentre scherza e scambia discorsi divertiti e surreali con i passanti (una donna tutta bianca, diversa completamente dalle altre, e che cammina scherzando e divertendosi : sarà Madre Ubu, moglie di Padre Ubu). Madre Ubu cammina nel mercato, parla con tutti con scambi di battute e dialoghi surreali : si sta attardando perché è la moglie di Padre Ubu, che la aspetta. Intanto Ubu si lamenta perché lei è in ritardo.

3. Madre Ubu arriva e viene accolta nello spiazzo dove si trovano Ubu e i soldati, e suggerisce che Ubu deve ammazzare qualcuno, dopodiché si mette alla testa del gruppo di soldati, su un cavallo bianco. Padre Ubu allora pensa che potrebbe uccidere il Re di Polonia, e lo minaccia a gran voce. Madre Ubu si complimenta con se stessa perché grazie al suo lavoro tra otto giorni sarà regina del Kayor (lo spettatore ragiona concludendo che Padre Ubu è un idiota violento che si lascia manipolare facilmente da sua moglie, la quale invece è ambiziosa e senza scrupoli : sono così rapidamente stabilite le identità psicologiche dei due personaggi).

4. Ubu annuncia ai soldati che sta per arrivare un ospite : il Capitano Bordure. Un uomo con i baffi e un pesante giaccone militare invernale appare al bordo superiore della palizzata e dice di essere innocente (si tratta dell’atteso Bordure).

5. Intanto, in un altro spazio, un uomo a cavallo, molto distinto, con la corona in capo, tutto vestito di giallo, passa nei campi sul suo cavallo cantando e si dirige al villaggio (è un uomo con la corona, soddisfatto e senza sospetti : è il re dal Kayor). Nella scena successiva il re è nel villaggio accanto a Padre Ubu, che gli spara a sorpresa : cade a terra da cavallo e Bordure ne porta via il corpo (il re è morto, ucciso a tradimento : Padre Ubu è un vigliacco e Bordure è suo complice).

6. Bordure incorona Padre Ubu, che prende per mano Madre Ubu : avanzano insieme in corteo, seguiti dai soldati. I soldati non sono raggianti, ma anzi piuttosto cupi, forse minacciosi. Padre Ubu li osserva e commenta : “brutte facce”. Madre Ubu gli dice che vogliono soldi. Ubu all’inizio non vuole ma poi si rende conto che gli conviene per mantenerli fedeli a sé, ed estrae dalla tasca del giaccone militare un mazzo di banconote che distribuisce ai soldati con gesto plateale (i soldati sono fedeli solo per denaro, in realtà sono inaffidabili : Ubu, che è anche avaro, ha ragione di preoccuparsi, e può fidarsi solamente di Bordure che gli è da tempo amico e complice affezionato).

7. I soldati ballano e festeggiano, mentre Ubu consegna loro altro denaro. Madre Ubu balla roteando in cerchio. Ubu urla “Siete contenti ?” e i soldati rispondono in coro entusiasti “Si !” (Ubu, benchè avido, ha imparato a manipolare i soldati rinunciando a parte del suo denaro).

8. Madre Ubu ammira la grande pianura del Kayor e fa vedere quanti sono i sottomessi al potere di Ubu. Allora Ubu annuncia che per diventare ricco ucciderà tutti i nobili e prenderà le loro ricchezze (Ubu è avido più di quanto si pensava, e senza scrupoli).

9. Ubu uccide tutti i nobili e consegna le loro ricchezze ai suoi “finanzieri”. Madre Ubu gli chiede “Ma che re sei ? Uccidi tutto il mondo”. In risposta, i soldati, preavvisati, annunciano che Ubu andrà in tutti i villaggi e prenderà le terre, ucciderà chi non ne ha, i soldati lo aiuteranno come veri estorsori, quindi ucciderà tutti e se ne andrà (Ubu è davvero avido e senza scrupoli, al punto di distruggere tutto per arricchirsi il più possibile, senza risparmiare nessuno).

10. Madre Ubu porta in scena una lettera : è di Bordure, che dice di essersi alleato con l’imperatore d’Africa, Bugrelao, per invadere il Kayor. Madre Ubu dice a Ubu che a questo evento inatteso c’è una sola soluzione : la guerra (di fronte a sorprese inattese, come il tradimento di Bordure e la minaccia d’invasione, Madre Ubu è determinata, mentre Ubu non sa cosa fare).

11. Ubu e i soldati provano le armi, si esercitano, saltano, corrono, alzano le armi. Ubu prova a cavalcare in testa ai soldati, realizzando così una sorta di corteo militare (Ubu e i soldati si stanno organizzando per la guerra, con risultati grotteschi).

12. Ubu annuncia che i soldati del re d’Africa stanno entrando nel villaggio. Dice che i soldati sono terribili, alti tre metri, e sputano fuoco dalla bocca. Ma Ubu e suoi soldati prendono posizione per combattere : tutti hanno le armi puntate (tutti sono pronti a combattere, senza spavento).

13. Entrano nel villaggio tre ragazzini magri vestiti in rosso, con la testa rasata, che camminano lentamente e avanzano senza fretta, poi con calma fanno versi e urla, e gesti di minaccia con le mani. Tutti i soldati di Ubu cadono a terra e lì restano distesi (i soldati del re d’Africa uccidono tutti i soldati di Ubu, gesti e versi stanno per l’azione di uccidere, non si specifica come).

14. Entra Bordure con una pistola in mano rivolta verso l’alto. I tre ragazzi prendono i fucili dei soldati uccisi. Madre Ubu alza le mani : i tre ragazzi le prendono la corona dal capo e uno di loro se la pone in capo (è proclamato un nuovo re).

15. Un soldato di Ubu annuncia che hanno perso la guerra : e ora che fare ? Padre Ubu monta a cavallo, Madre Ubu danza roteando, circondata da forti suoni di tamburo. Il suono dei tamburi porta via Padre e Madre Ubu come un vento.

16. Si apre un cancello che delimitava la scena nella radura chiusa dalla palizzata di legno, tutti gli attori escono dal recinto e inizia un corteo trotterellando al passo nella via centrale del villaggio, cui man mano si uniscono gli abitanti del villaggio facendo un grande corteo festoso. Giungono tutti in una grande radura sotto un baobab, dove cantando e ballando si scioglie lo spettacolo.

Conclusioni

Si può affermare, in conclusione, che mentre testo di questo spettacolo sono gli atti e le azioni che ne compongono la sequenza di scene, lo spettacolo trova il suo senso e il suo valore nei singoli atti di cooperazione che interpretano e coordinano i momenti e i personaggi della narrazione, ma anche nella collaborazione più ampia costituita dall’accoglienza e dall’aiuto della comunità del villaggio alla sua preparazione e realizzazione, come ad esempio nell’atto di fornire spazi del villaggio per parti dello spettacolo, mettere a disposizione momenti e fatti della vita quotidiana reale, come il mercato, per realizzarvi scene, fornire supporto agli attori e al regista durante la preparazione e le prove dello spettacolo, facilitandone la vita quotidiana, e mantenendo vivi la curiosità, l’interesse e la partecipazione degli abitanti che più volte cercano in paese oggetti o materiali utili alle scene.

Il suo senso infine risiede nei risultati che produce a medio e lungo termine, riassumibili nella rifioritura economica e sociale del villaggio e nella rinascita dell’orgoglio identitario locale, e infine l’esempio e il modello offerti ai paesi dell’area circostante. L’individuazione e la descrizione di questi processi di creazione di significato, senso e valore è a nostro avviso l’obiettivo di una semiotica reale del teatro che permetta di spiegare non solo i singoli processi di cooperazione e interpretazione dei momenti scenici ma anche il senso e i risultati del “fare teatro” in ogni determinato ambiente, situazione e circostanza.

 

Bibliografia

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1 Cfr. G. Bettetini, M. De Marinis, Teatro e comunicazione, Firenze-Rimini, Guaraldi, 1977 ; F. Ruffini, Semiotica del testo : l’esempio teatro, Roma, Bulzoni, 1978 ; A. Serpieri, “Ipotesi teorica di segmentazione del testo teatrale”, Strumenti Critici, 32-33, 1977.

2 G. Bettetini, M. De Marinis, op. cit., 1977, p. 28. Cfr. anche M. De Marinis, Semiotica del teatro. L’analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani, 1982 ; id., Capire il teatro. Lineamenti di una nuova teatrologia, Firenze, La Casa Usher, 1988.

3 Cfr. M. De Marinis, Semiotica del teatro, op. cit., e Capire il teatro, op. cit.

4 U. Eco, “Il segno teatrale” (1972), Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani, 1985.

5 U. Eco, “Considerazioni di un semiologo”, in A. Ottai (a cura di), Il teatro e i suoi doppi. Percorsi multimediali nella ricerca sullo spettacolo, Roma, Kappa-Teatro Ateneo, 1994.

6 M. De Marinis, “Ricezione teatrale : una semiotica dell’esperienza ?”, Carte Semiotiche, 2, 1986, p. 37.

7 J. Grotowski, Towards a Poor Theatre, Holstebro, Odin Teatret Forlag. Tr. it., Per un teatro povero, Roma, Bulzoni, 1970, p. 21.

8 J. Grotowski, op. cit., p. 41.

9 Ibid., p. 25.

10 Esempi del teatro e del training di Grotowski, tra cui l’intero spettacolo “Il principe Costante”, ai seguenti indirizzi : https://www.youtube.com/watch?v=zoebHrAqq_0&t=808s, https://www.youtube.com/watch?v=s TGj6aizP9M&t=231s, https://www.youtube.com/watch?v=jBMWlroyXco&t=2149s.

11 Ibid., p. 51.

12 Esempio di danza di Bali presentato all’ISTA : https://www.yout ube.com/watch?v=pSSmYqUcOkY.

13 Momenti di lavoro negli incontri dell’ISTA : https://www.youtube.com/watch?v=3ZzQi2WWmnQ, https://www.youtube.com/watch?v=BuMWwEeY4W0, https://www.youtube.com/watch?v=T7Gv0kzFZNk, https://www.youtube.com/watch?v=Kdcu3t3Z8NA, https://www.youtube.com/watch?v=aKj6uxm_EH4.

14 R. Schechner, “Training in prospettiva interculturale”, in E. Barba e N. Savarese (a cura di), L’arte segreta dell’attore. Un dizionario di antropologia teatrale, Lecce, Argo, 1996, p. 247.

15 Cfr. E. Barba, La canoa di carta, Bologna, Il Mulino, 1993, pp. 23-24 ; anche E. Barba, “Antropologia teatrale” e F. Ruffini, “ISTA (International School of Theatre Anthropology)”, in N. Savarese (a cura di), Anatomia del teatro. Un dizionario di antropologia teatrale, Firenze, La Casa Usher, 1983, pp. 13-28 e 84-94.

16 La canoa di carta, op. cit., pp. 27-56.

17 Ibid., pp. 34-35. Esempio di danze Gamelan di Bali : https://www.youtube.com/watch?v=CGJKpgspI0w.

18 Esempi di Kathakali : https://www.youtube.com/watch?v=_4WmgIyg6rY, https://www.youtube.com/watch?v=rb0EDfrGOig.

19 Ibid., p. 35.

20 Cfr. ad esempio L’arte segreta dell’attore, op. cit., pp. 73 e 76.

21 Ibid., pp. 73-74.

22 La canoa di carta, op. cit., p. 30.

23 Alcuni esercizi del training realizzato all’Odin Teatret : https://www.youtube.com/watch?v=JUJH4i6-uuM.

24 Esempi tratti da E. Barba, “Da ‘apprendere’ a ‘apprendere ad apprendere’”, L’arte segreta dell’attore, op. cit., p. 245.

25 Un esempio del training di Grotowski : https://www.youtube.com/watch?v=kNzESIKUQhw&t=430s

26 N. Savarese, “Training e punto di partenza”, in E. Barba e N. Savarese (a cura di), L’arte segreta dell’attore, op. cit., p. 249.

27 J. Varley, Pietre d’acqua. Taccuini di un’attrice dell’Odin Teatret, Milano, Ubulibri, 2006, pp. 60-61.

28 R. Carreri, Tracce. Training e storia di un’attrice dell’Odin Teatret, Milano, Il Principe Costante, 2007, pp. 35-40.

29 Parte dello spettacolo Judith creato da Roberta Carreri (Odin Teatret) : https://www.youtube.com/watch?v=6vq_RoAfxrM. Parte de “Il sogno di Andersen” : https://www.youtube.com/watch?v=qEWBgF aLePA ; de “Itsi Bitsi” di Iben Nagen Rassmussen : https://www.youtube.com/watch?v=IdsfenVn5Po; de “Nello scheletro della balena” : https://www.youtube.com/watch?v=hXNFH1_yUro. Lezione di Else Marie Laukvik : https://www.youtube.com/watch?v=6LXde3SP6wU.

30 All’attività teatrale dell’Odin si sono aggiunti la ricerca applicata (l’ISTA, già citato, l’Università del Teatro Eurasiano, il Centre for Theatre Laboratory Studies, gli Odin Teatret Archives), la pratica pedagogica e la creazione artistica (Transit festival, The Magdalena Project), e due riviste (Teatrets Teori og Teknikk e Open Page), oltre simposi, pubblicazioni e incontri come The Midsummer Dream School, laboratorio estivo con l’Università di Aarhus.

31 In particolare, di Àrhat Teatro (Bergamo), lo spettacolo Fiori e il seminario “Il corpo presente” ; di Pippo Delbono, autore di un teatro etico-sociale di forte dissidenza culturale, Questo buio feroce (2006), La menzogna (2008), il film Sangue (2013) (https://www.youtube.com/watch?v=V5uKCNAXwEk); del Teatro delle Albe (Ravenna), Stranieri (2008), L’Avaro (2010) e Ubu buur (2007), con l’attore e regista Mandiaye N’Diaye, autore di un progetto in Senegal di sviluppo cooperativo incentrato sul teatro ; del Teatro a Canone di Chivasso (Torino), A ferro e fuoco (2008), Ballata (2008), La pioggia dura (2013), Soave sia il vento (2009). Osservazioni provengono anche dagli incontri Magdalena sin Fronteras a Santa Clara (Cuba, 2008 e 2011).

32 E. Barba e N. Savarese, op. cit., pp. 43-46.

33 E. Barba, “Quella parte di noi che vive in esilio”, Teatro. Solitudine, mestiere, rivolta, Milano, Ubulibri, 1996, p. 244.

34 Ibid.

35 Ibidem, p. 241.

36 Si veda U. Eco, Lector in fabula, Milano, Bompiani, 1979.

37 Parte dello spettacolo “Min fars hus” : https://www.youtube.com/watch?v=cr7auaX64H8.

38 F. Taviani, Il Libro dell’Odin. Il teatro-laboratorio di Eugenio Barba, Milano, Feltrinelli, 1975, pp. 164-166.

39 L. Masgrau, “Arar el cielo para alumbrar raíces”, in E. Barba, Arar el cielo. Diálogos latinoamericanos, La Habana, Casa de Las Americas, 2002, p. 81.

40 V. Pisanty e R. Pellerey, Semiotica e interpretazione, Milano, Bompiani, 2004, p. 338.

41 U. Eco, Lector in fabula, op. cit., p. 54.

42 Parte de “La vita cronica” : https://www.youtube.com/watch?v=f2JmK5vLvs0.

43 Parte de “Il castello di Holstebro” : https://www.youtube.com/watch?v=lWKL_nC-hM0.

44 Parte di “Grandi città sotto la luna” : web https://www.youtube.com/watch?v=QDb71IMqFTY.

45 Parte di “Ode al progresso” : https://www.youtube.com/watch?v=_ZaofMabnCk.

46 Parte di “Kaosmos” : https://www.youtube.com/watch?v=89_KV4eSVCI.

47 J. Varley, Vento ad ovest. Romanzo di un personaggio, Holstebro, Odin Teatrets Forlag, 1996, p. 63.

48 Cfr. M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta 1998-2008, Milano, Ubulibri, 2008.

49 M. N’Diaye,“Le tre T”, in M. Martinelli e E. Montanari, op. cit., p. 89.

50 Ibid., p. 89.

51 Parti di “Ubu buur” : https://www.youtube.com/watch?v=uTlppwoHcpo, https://www.youtube.com/watch?v=9B0SOHriB10, https://www.youtube.com/watch?v=0A3GbrSsAN8. Visione integrale : https://vimeo.com/130466761 (spettacolo protetto dal diritto d’autore, vietata ogni riproduzione pubblica non autorizzata).

52 Ibid., p. 92.

53 Cfr. M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Jarry 2000. Da “Perhindérion” a “I Polacchi”, Milano, Ubulibri, 2000 ; M. Martinelli e E. Montanari (a cura di), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta 1998-2008, Milano, Ubulibri, 2008 ; E. Montanari, “La piana dei kadd”, in M. Martinelli e E. Montanari, op. cit. ; L. Pasina, Takku Ligey : un cortile nella savana. Il teatro di Mandiaye N’Diaye, Pisa, Titivillus, 2011.

 

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Résumé : Dans le spectacle théâtral, alors vu comme la représentation scénique d’un texte écrit pour être récité, la sémiotique des années 60 cherchait des codes et des signes. Mais depuis, et le théâtre et la sémiotique ont changé. Aujourd’hui le spectacle théâtral se fonde sur la capacité des acteurs à manipuler la matière physique et plastique du corps pour obtenir une qualité de présence générant densité et intensité émotionnelles dans la co-présence entre acteurs et spectateurs. Les spectacles de l’Odin Teatret sont l’exemple même de ce « teatro povero » issu de Grotowski. La sémiotique interprétative envisage le spectacle comme un « texte » — un « texte vivant » — englobant la totalité des éléments (gestes, objets, sons, distances, etc.), mouvemants, déplacements et interactions présents sur scène et rend compte de l’« interprétation », c’est-à-dire du processus par lequel le spectateur attribue au spectacle une signification (parfois imprévue). Elle identifie les indications mise en place par le texte, les modes de coopération interprétative du spectateur, les rôles de l’« Auteur » et du « Spectateur Modèle ». Cas exemplaire, le spectacle Ubu Buur, version africaine de l’Ubu Roi d’Alfred Jarry, est examiné in fine sous cet angle.


Resumo : Nos anos 60, os semioticistas procuravam códigos e signos no espetáculo teatral visto como a representação cénica de um texto escrito para ser recitado. Mas tanto o teatro, quanto a semiótica mudaram. Hoje, o teatro alicerça-se na capacidade dos atores manipularem a matéria física e plástica do próprio corpo para obter uma qualidade de presença que gere intensidade emocional na copresença com os espectadores. Os espetáculos do Odin Teatret são o exemplo mesmo de este teatro povero herdado de Grotowski. A semiótica interpretativa define o espetáculo como um “texto” (um testo vivo) que abrange a totalidade dos elementos presentes na cena (objetos, gestos, sons, distâncias etc.) e dos movimentos, deslocamentos e interações que nela se desenrolam. A partir daí, ela analisa a “interpretação”, ou seja os processos pelos quais o espectador atribui uma significação (às vezes imprevista) ao espetáculo. Ela identifica as indicações colocadas no texto, os modos de cooperação interpretativa da parte do espectador, os papeis de “autor” e do “espectador modelo” (U. Eco). Examine-se, por fim, um caso exemplar, o espetáculo Ubu Buur, versão africana do Ubu Roi de Alfred Jarry.


Abstract : During the 60’, semioticians searched for codes and signs in theatrical performances viewed as scenic representations of texts meant to be recited. But both theatre and semiotics have changed. Today, theater is based on the actors’ capability to manipulate the physical and plastic properties of their own body so as to obtain a quality of presence on the scene that generates emotional intensity. The performances of the Odin Teatret are the very example of this “teatro povero” stemming from Grotowski. Interpretive semiotics defines the theatrical spectacle as a “text” that encompasses all elements (bodies, gestures, objects, sounds, distances, etc.), movements and interactions to be perceived on the scene. On this basis, it analyses the processes of “interpretation”, that is to say the way how spectators construct meaning. It identifies the hints given by the text, the modes of interpretative cooperation, and the roles ot the Autore and Spettatore Modello (as defined by U. Eco). The article ends with a short analysis of a most exemplary case, Ubu Buur, an african version of Ubu Roi (Alfred Jarry).


Riassunto : La semiotica negli anni settanta cerca codici, segni, e significati nello spettacolo teatrale considerato come un macro-atto comunicativo, cioè la rappresentazione di un testo scritto da un autore per essere recitato in scena. Sia il teatro che la semiotica però sono cambiati. Il teatro oggi è un’arte basata sulla capacità dell’attore di manipolare la materia fisica del corpo, un materiale plastico che l’attore impara a usare nel training per ottenere una qualità di presenza sulla scena che genera densità e intensità emotiva. Gli spettacoli dell’Odin Teatret sono il campione esemplare di questo “teatro povero” nato con Grotowski. La semiotica interpretativa esamina lo spettacolo come un testo composto da tutti gli elementi presenti in scena (il corpo degli attori, i loro movimenti, gli oggetti, i suoni, la distanza attori-spettatori, e così via) e dall’intreccio dei loro movimenti, spostamenti e interazioni in scena. Partendo da questa idea di testo la semiotica esamina oggi nel teatro l’interpretazione dello spettacolo, cioè il processo con cui lo spettatore attribuisce senso allo spettacolo, ad esempio identificando i diversi processi di cooperazione interpretativa operati dallo spettatore, i vincoli e le indicazioni interpretative poste dal testo alla percezione dello spettatore, i ruoli di Autore e Spettatore Modello, o la dinamica della formazione da parte degli spettatori di un significato imprevisto dello spettacolo. In questa chiave esaminiamo lo spettacolo Ubu Buur, creato in Senegal dal Teatro delle Albe di Ravenna e dalla comunità locale di Dioll Kadd, che costituisce la prima metamorfosi africana dell’Ubu Roi di Alfred Jarry.


Mots clefs : acteur, « autore modello », coopération interprétative, corps, interprétation, Odin Teatret, scène, spectacle, spectateur, « spettatore modello », texte, théâtre, training, Ubu Roi.


Auteurs cités : Eugenio Barba, Gianfranco Bettetini, Roberta Carreri, Marco De Marinis, Umberto Eco, Keir Elam, Jerzy Grotowski, Marco Martinelli, Luis Masgrau, Ermanna Montanari, Mandiaye N’Diaye, Patrick Pavis, Valentina Pisanty, Franco Ruffini, Nicolò Savarese, Richard Schechner, Anne Ubersfeld, Ferdinando Taviani, Julia Varley.


Plan :

Introduzione. Una tradizione moderna : la semiotica del teatro

1. Il teatro e il corpo in azione

2. L’Odin Teatret e lo spettacolo teatrale come testo vivo

3. Interpretazioni dello spettacolo : sensi orientati e sensi imprevisti

4. Un caso esemplare : Ubu roi diventa Ubu Buur

Conclusioni

 

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Recebido em 04/02/2023. / Aceito em 13/03/2023.