In vivo

Estetiche dell’aggiustamento.
Spazio, movimento, corpi nel tango
argentino e nel contact improvisation

Maria Cristina Addis e Davide Sparti
Università di Siena

Publié en ligne le 30 juin 2022
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2022n3.58418
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Introduzione

Il modello interazionale progressivamente delineato da Eric Landowski (Allegato 1) ha considerevolmente incrementato la capacità di descrizione semiotica di fenomeni e esperienze di senso “senza nome”. Pratiche e modi di fare del corpo e con il corpo, atteggiamenti, attitudini, gesti, costituiscono fenomeni di senso né indicibili né inafferrabili né evidentemente “insensati”, ma forme dell’esperienza e comunicazione umana fra le più resistenti all’azione cristallizzante e stereotipante delle lingue naturali e dunque più difficili da lessicalizzare e costruire come oggetti di conoscenza.

Com’è noto, il modello inter-definisce quattro forme di interazione — programmazione (basata sulla regolarità), incidente (basato sul caso o la fatalità), aggiustamento (basato sulla sensibilità) e manipolazione (sull’intenzionalità) — a partire dalle meta-valorizzazioni del “già noto” (rischio di insignificanza) e dell’inedito (rischio di insensatezza) che i soggetti investono nella relazione con l’altro e che definiscono altrettanti “stili di vita”, concepiti in termini di distinti regimi di costruzione del senso 1.

Un simile modo di interrogare la “significatività” del comportamento umano e sociale, calato nella politica 2 o nelle pratiche quotidiane 3, negli ambiti della religione 4 o della ritualità mondana 5, cambia di terreno ma non di oggetto, laddove al centro è sempre il valore che il rapporto con l’altro e con il mondo acquistano nella definizione identitaria del soggetto e le forme in cui egli stesso si definisce ed è definito da tale azione. Qualunque “azione”, infatti, è ridefinita in termini di interazione, nella quale il sé e l’altro, persona o cosa, sono suscettibili di assumere valore di soggetto o oggetto, espressione di un’intenzionalità autonoma o polo strumentale all’esecuzione di operazioni i cui fini e modi sono predeterminati.

Per quanto riguarda la danza, in particolare, tale modello si dimostra più produttivo dei tentativi di ricostruirne una morfologia e una grammatica o definirne la significatività in continuità o per differenza rispetto alle lingue naturali, permettendo di interrogare le forme in cui assume senso da dentro, per coloro che la praticano, e da fuori, per l’osservatore esterno che è parte costitutiva del suo darsi.

1 Cfr. Rischiare nelle interazioni (2005), Milano, FrancoAngeli 2010.

2 Cfr. fra gli altri E. Landowski, “Politiques de la sémiotique”, Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 13, 2, 2019 ; P. Demuru, “Política, magia, semiótica : como resistir ao populismo autoritário e suas fantasias conspiratórias”, Acta Semiotica, I, 2, 2021 ; F. Sedda e P. Demuru, “Da cosa si riconosce il populismo. Ipotesi semiopolitiche”, Actes Sémiotiques, 121, 2018.

3 Cfr. in particolare Rischiare nelle interazioni, op. cit.

4 Cfr. E. Landowski, Shikata ga nai. O ancora un passo per diventare davvero semiologi !, Milano, Mimesis, 2014.

5 Cfr. in particolare E. Landowski, Passions sans nom. Essais de socio-sémiotique III, Paris, P.U.F., 2004.

1. I sensi della danza

1.1. Dalla vita all’arte : il “sentimento dell’esistenza”

Nelle dense ricerche dedicate da Aby Warburg all’efficacia delle arti e delle immagini, lo storico e antropologo dell’arte riconosce alle pratiche artistiche una forma conoscitiva essenziale nel processo di controllo, astrazione e codificazione progressiva dell’esperienza. Le Pathosformeln, formule di pathos 6, configurazioni visive suscettibili di persistere e rinascere lungo le epoche, non costituirebbero semplicemente figure o motivi della passione ma configurazioni dinamiche — immanenti alle diverse arti e trasversali alle epoche e culture — funzionali a mediare il “sentimento dell’esistenza” : gesti, sguardi, corpi raffigurati, non si limitano a “rappresentare” un contenuto passionale, ma mettono in scena e permettono allo sguardo di cogliere la polarità fra l’insieme dei meccanismi di controllo di sé condivisi dagli individui di una società (ethos) e ciò che sfugge a questa istanza di controllo e che l’individuo e il gruppo sociale esperiscono come perdita di sé (pathos).

L’interesse per le Pathosformeln avvicina Warburg alla danza quale forma intermedia fra l’arte e la vita in grado di fornire agli artisti una prima astrazione del sentire. Come sintetizzato dalla celebre riflessione sul ruolo della mimica nelle rappresentazioni teatrali e nelle feste del Quattrocento — “le feste italiane nella loro forma più elevata sono un vero passaggio dalla vita all’arte”7— Warburg individua nelle forme intermedie un campo di elaborazione e traduzione del movimento espressivo in rappresentazione. Fra la forma religiosa, vissuta come esperienza individuale, e la forma artistica, che comporta “una sorta di passività dell’individuo, ormai allontanato dal dinamismo vitale per l’acquisizione di una dimensione simbolica”8, la danza, il teatro, le feste inaugurerebbero il processo di conversione del movimento vitale in opposizioni gestuali che troveranno sintesi formale nell’immagine vera e propria9. Il corpo danzante non è in preda a una forte emozione ma la significa, significato indissociabile dall’essere vivente che la esprime e allo stesso tempo già immagine per qualcuno, per l’individuo passivo posto a distanza che inaugura il pensiero riflessivo. La posizione di “terzità” fra esperienza e rappresentazione occupata secondo Warburg dalla danza illumina la duplice riflessività in gioco nella pratica e nella costruzione del suo senso, quella relativa al rapporto “fra io e sé” dei suoi soggetti e quella espressa dal rapporto fra il movimento coreutico e lo sguardo terzo di un osservatore : coalescente con il movimento vitale e con i programmi esistenziali perseguiti dai suoi soggetti, la danza è comunque indissociabile dall’operazione di cornice che sottrae l’azione alla storia e ne sospende gli effetti nel mondo riflessivo e gratuito dell’esperienza ludica.

6 Cfr. in particolare C. Cieri Via “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel fra religione, arte e scienza”, in M. Bertozzi (a cura di), Aby Warburg e la metamorfosi degli antichi dei, Ferrara, Franco Panini, 2002, “Aby Warburg e la danza come atto puro della metamorfosi”, Quaderni Warburg Italia, 2-3, 2004, e A. Warburg, “Dürer e l’antichità italiana”, in Opere. I. La rinascita del paganesimo antico e altri scritti (1889-1914), Torino, Aragno, 2004.

7 A. Warburg, in C. Cieri Via, “Aby Warburg e la danza ...”, art. cit., p. 64.

8 A. Warburg, in C. Cieri Via, “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel...”, art. cit., p. 121.

9 Come sottolinea fra gli altri Claudia Cieri Via, il processo evolutivo fra forma religiosa, forma artistica e legge scientifica non è necessariamente da intendersi come evoluzione temporale né gerarchia valoriale : “per quanto riguarda il tentativo di rimettere ordine, io credo che siano originariamente acquisite in una certa sequenza, ma che adesso siano all’opera simultaneamente secondo le disposizioni individuali. E quanto all’adattabilità di queste forme di ordine a un dato scopo, non è assolutamente sicuro che la più alta (cioè quella acquisita più tardi) sia la più efficiente” (lettera a Mary Hertz del 31 dicembre 1890, in “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel”, art. cit., p. 122). I diversi livelli della struttura del sentire della vita sembrano riguardare il dominio dell’esperienza più o meno mappato dai linguaggi, a prescindere dal grado di astrazione raggiunto da una cultura nel suo complesso.

Le nostre riflessioni riguardano in particolare due pratiche di danza, il tango e il contact improvisation, che definiamo espressione di altrettante estetiche dell’aggiustamento, in quanto la mutua reattività sensibile dei partner e la comune capacità di “sposare il potenziale di situazione” e fare esperienza del presente da un lato strutturano e polarizzano l’interazione sensibile fra partner, dall’altro costituiscono l’oggetto del racconto riflesso da tale “messa in scena”. Lo sguardo incrociato cui sono sottoposte si basa in gran parte sull’esperienza etnografica e auto-etnografica espressa da entrambi gli autori, quali praticanti o ex-praticanti assidui, per un arco di più di venti anni, di una delle due pratiche e sporadici frequentatori dell’altra. Non si tratta del resto di aggiornare lo stato dell’arte sulla storia della danza o del costume, né di dimostrare o confutare una qualche tesi sociologica o semiotica, ma di utilizzare i modelli socio-semiotici per ricostruire le configurazioni immanenti di pratiche le cui grammatiche, conoscenze e ideologie sono per lo più implicite o trasmesse per via orale, nutrite dalle scelte pedagogiche e stilistiche delle diverse “scuole”, dalle dichiarazioni e più raramente gli scritti dei maestri.

 

1.2. Dal “prodotto finale” al processo di produzione :
verso l’improvvisazione

Pensiamo anzitutto alla coreografia prodotta da un coreografo di fama. La coreografia coincide con un insieme di istruzioni esplicite per l’organizzazione dei corpi nello spazio e nel tempo. Siamo all’interno del regime della programmazione : i parametri dell’interazione sono predefiniti. Decisioni sul fraseggio, il ritmo, la durata, la collocazione nello spazio, le distanze fra i ballerini, le forme del movimento, sono prese prima dell’esecuzione.

L’attività del coreografo è invisibile agli occhi del pubblico, è frammentata, ed è contrassegnata da ripensamenti e riscritture (il coreografo dispone di un tempo esteso, che permette di deliberare a lungo su come arrangiare i movimenti). Solo se così prodotto, quale lavoro coreografato soggetto a re-visione e perfezionamento per raffinamento successivi (eliminando ridondanze e incoerenze), sarà degno di essere presentato in pubblico. Questo prodotto ha in sostanza ‘catturato’ dei gesti poi ‘montati’ in una coreografia che verrà pulita in modo da trattenerli per il futuro e riprodurli (rappresentarli) innumerevoli volte su un palcoscenico. Le prove della compagnia hanno proprio lo scopo di ridurre al minimo le sorprese e gli imprevisti.

Rivolgiamoci adesso alle danze basate sull’improvvisazione congiunta, come, appunto, il tango argentino e il contact, forme di collaborazione che sono anche delle co-elaborazioni. L’improvvisazione è una modalità di generazione della danza che libera tanto dall’istanza di programmazione centralizzata quanto dalle risorse per gestire l’interazione : le decisioni sono prese interamente sul momento, durante la danza, disegnando in tempo reale una coreografia inedita. In questa adesione al presente, vi è simultaneità di invenzione ed esecuzione. Si scopre dove andare / come andare avanti direttamente nel corso della danza. La competenza di chi balla ha largamente a che fare con la capacità di adesione psico-fisica al qui e ora dell’interazione sensibile con l’altro e con l’ambiente. A valere non è il vincolo della fedeltà alla traccia coreografica, quanto la contingenza: “è così, ma anche altrimenti”. Proprio perché la coreografia ha tutto il tempo che vuole per decidere cosa mostrare, il processo passa in secondo piano ed è subordinato al “prodotto finale”, mentre nell’improvvisazione la danza coincide con il proprio processo di produzione. Proprio perché non si risolve in un prodotto esterno (ha un risultato ma non un prodotto), la danza d’improvvisazione è costantemente produttiva, e offre l’aver luogo della propria performance come oggetto estetico.

 

1.3. Uno spazio intermedio fra rappresentazione e quotidiano :
la danza come gioco

In maniera non dissimile dallo statuto dei milongueri che ballano tango, nei raduni e nelle jam sessions di contact, i partecipanti non sono necessariamente danzatori professionisti ma spesso persone qualunque, amatori coinvolti in una pratica ludica non radicata nel circuito di diffusione dell’arte. Sia la milonga che la contact jam sono costellate di osservatori, i quali, pur seduti a bordo pista, non sono però esterni o periferici (non è presente una quarta parete) ma possono in ciascun momento diventare attori. Il rapporto fra danzatori e osservatori è regolato da confini labili e reversibili : i primi interrompono più volte le danze, siedono, riposano, eventualmente bevono o conversano, così come i secondi possono ad ogni intervallo (tango) o fra una sequenza e l’altra (contact) entrare attivamente nella pratica. All’interno di questa pratica partecipatoria autoprodotta che si rigenera spontaneamente di evento in evento, non si resta mai lontani rispetto al contesto in cui si consuma l’esperienza sensibile. Laddove nel caso di una pratica di palco come la danza coreografata, il teatro diventa luogo dello sguardo : relegati in platea, si guarda ciò che accade sulla scena.

Vale la pena insistere su questo punto relativo alle “condizioni d’enunciazione” che sovra-determinano la pratica della danza e la sua ricezione. A differenza della maggior parte delle danze coreografiche che calcano i teatri, nel tango e nel contact l’eventuale spettacolarizzazione è del tutto secondaria. È ben possibile e piuttosto diffuso farne oggetto di spettacolo teatrale, sottoponendone i linguaggi all’azione coreografica e al dispositivo della rappresentazione. Ma sia il tango sia il contact restano riti sociali il cui fine principale è l’esperienza euforica di coloro che la praticano, il comune esercizio di una performance a beneficio primario di coloro che la praticano. Benché la riproduzione di figure e coreografie spesso elaborate e spettacolari, così come la coscienza dei danzatori di essere guardati e giudicati facciano parte integrante delle due pratiche, le eventuali valorizzazioni coreutiche costituiscono operazioni ulteriori : si può fare dell’uno e dell’altro linguaggio coreutico materia di spettacolo teatrale, ma si tratta di una valenza secondaria, il cui senso primo è invece quello di progetto esistenziale di coloro che la praticano.

 

2. Due pratiche

2.1. Il tango argentino

Veniamo al tango argentino. Strutturalmente inter-soggettivo, il tango si articola nello spazio transizionale che si sviluppa fra i corpi. La diade è la sua unità fondamentale e non ulteriormente scomponibile. Nel tango, in altre parole, si opera sempre in modalità noi, ed il tango come danza sussiste solo tra-due. Due persone — di solito, ma non per forza, un uomo e una donna — si abbracciano, aderiscono vicendevolmente, e si muovono insieme diventando un accoppiamento ambulante e un’unità coreografica temporanea. Data la struttura dell’interconnessione mediata dall’abbraccio chiuso, nel tango i due ballerini non si guardano neppure negli occhi, e il loro sguardo non si incrocia. Si affidano a un centro condiviso che fa da canale attraverso il quale si trasmettono l’uno all’altro informazioni sulla posizione, l’equilibrio e il movimento. La riuscita della danza dipende dalla risposta alla sonorità del brano e al ritmo che abita e impregna i nostri corpi. Chi balla, accoglie gli aspetti tensivi offerti dal suono e dai movimenti del corpo altrui, e si lascia contagiare da essi, riorganizzando il proprio corpo.

Nel tango l’esperienza estetica è anzitutto esperienza della sensorialità 10. Riattivando la suscettibilità al tatto, si impara a far sentire al partner il proprio potenziale di azione, in maniera che ciascuno possa avvalersi dell’altro (la “presa” di cui parla Landowski 11). E quando il sentire è condiviso, e l’altro consente, si crea la sintonia reciproca. Come spettatori non iniziati al tango, rivolgiamo alla danza uno sguardo parziale, concentrandoci sul solo aspetto figurativo, sulla linea di spostamento della coppia nello spazio, senza avere accesso alla dimensione propriocettiva. Non cogliamo in che misura il tango implichi risonanza sensomotoria : ballando avverto ma anche rilascio una scia di indizi che ci rendono sensibili (e avvertibili) gli uni agli altri in termini di posizione e tensione (prontezza). Non si tratta di un ‘miracolo’. Pur improvvisando, l’interazione fra ballerini è ‘resa possibile’ da un ‘vocabolario’ di gesti permutabili in differenti combinazioni che il corpo ha ‘indicizzato’ e poi accoppiato a una particolare postura, raccolta e pronta, detta ‘in asse’, al fine di massimizzare la possibilità di muoversi in ogni direzione. Le posture e i movimenti del corpo non servono a produrre delle forme o figure prestabilite, ma a facilitare la capacità di reazione all’altro e all’ambiente circostante. Sono cioè orientate a predisporre il praticante a sposare il “potenziale di situazione”, a saper sentire l’altro e riconfigurare costantemente il proprio progetto di movimento in reazione alla contingenza.

Per ultimo ma non da ultimo, va sottolineata la natura sociale del tango, il fatto, cioè, che nel contesto della milonga (il luogo dove il tango si riversa diventando pratica sociale), il singolo incontro diadico è inserito in una serie indefinita di sostituzioni (le diadi si dissolvono e riaggregano dando luogo a configurazioni mutevoli), facendo del tango una danza seriale di rotazione piuttosto che di attaccamento a un medesimo partner. Fondato sul contatto fra due persone in movimento, nonché fra queste e le altre coppie a loro volta in movimento, la milonga corrisponde a una comunità di individui disparati che si impegnano in una serie di incontri ricorrenti ma di breve durata. Data la rotazione, la natura distribuita della creatività si intensifica, come se la jam session del jazz fosse non un incontro eccezionale ma la modalità principale di interazione. Nel tango si improvvisa costantemente con e attraverso la pluralità (fig. 1, infra).

10 Per un’estesa ricognizione delle valenze sensibili, estetiche e esistenziali investite nella pratica del tango e dischiuse in particolare dall’interazione fra corpi cfr. in particolare F. Mégret, “Asi se baila. Code des milongas et ‘droit du quotidien’”, in France Joyal (a cura di), Tango, corps à corps culturel, Montréal, Presses de l’Université du Québec, 2009 e D. Sparti, Sul tango. L’improvvisazione intima, il Mulino, Bologna, 2015.

11 Cfr. “Avere presa, dare presa”, Lexia, 3-4, 2009.

2.2. Il Contact Improvisation

Anche il contact improvisation adotta come suo formato (prevalente) il duetto. Così come, al pari del tango, si basa sulla capacità di stabilire un punto di contatto con l’altro, un punto che viaggia lungo i corpi condizionando lo svolgersi della danza. Vettore di una coreografia che non è frutto di una volontà di forma ma si genera attraverso il mutuo aggiustamento dei ballerini, il contact realizza un dialogo fisico basato sull’improvvisazione, di cui conserva l’energia e l’urgenza. Per essere praticata fluidamente, il contact richiede diverse abilità : la capacità di offrire sostegno o resistenza, di sollevare, sospendere, bilanciare e controbilanciare, rotolare, esplorare posizioni e movimenti a terra, affidarsi all’altro e lasciarsi cadere, secondo principi ispirati alle arti marziali di relazione e in particolare l’Aikido 12. Il tango appare forse più ‘estetico’ del contact, ma come quest’ultima, a differenza del balletto, privilegia il flusso alle pose e ai movimenti orientati alla forma. La danza è anzitutto attività, oltre che esperienza espressiva, attività in cui il movimento è di per sé — e non solo perché bello — significativo. Tanto nel contact quanto nel tango si accetta l’assunto secondo cui la comunicazione ha più valore della rappresentazione, la sensazione prevale sull’espressione

In rapporto al mondo della vita e al mondo della rappresentazione, lo spazio del e nel tango, come del e nel contact improvisation, è un campo da gioco, luogo separato, autonomo rispetto al fluire delle sequenze comportamentali, cognitive e affettive quotidiane, che con l’arte condivide il fatto che azioni e interazioni godono di un generale statuto di inefficacia, sono cioè intersoggettivamente riconosciute come prive di conseguenze dirette su ciò che siamo, sui nostri rapporti con gli altri, col mondo e con le cose (toccare, abbracciare, stringere il partner hanno valenze molto diverse dentro o fuori l’area predisposta alla danza). I gesti sono sottratti al loro senso sociale e esperiti sul piano sensibile e estetico : movimenti e azioni hanno valore in sé per il loro soggetto, che vi trova piacere, benessere, appagamento legati a una certa esperienza del proprio corpo e di quello dell’altro.

12 Sulle influenze dell’Aikido sul contact improvisation cfr. in particolare S. Paxton, “Aikido Roll” e “Aikido Information Indeed”, Contact Quarterly, 5, 3/4, 1980, p. 16 e 17. Sulle grammatiche tensive e figurali dell’Aikido e sui rapporti che tale pratica intrattiene con il tango ci permettiamo di rimandare rispettivamente a M.C. Addis, “Forme d’aggiustamento. Note sulla pratica dell’Aikido”, in A.C. de Oliveira (a cura di), As interações sensíveis, São Paulo, Estação das Letras e Cores, 2013 e D. Sparti, M.C. Addis, “‘A questo non rinuncio’. Pratiche del corpo e precariato”, Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali, 1, 2021.

2.3. Differenze fra le due pratiche

Chiariti i diversi punti in comune, tango e contact hanno due diverse storie culturali, ricorrono a una differente sintassi e si rapportano ai corpi in maniera distinta. Il contact contiene una radicalità non presente nel tango, legata all’assenza di preoccupazioni formali e stilistiche, nonché all’opzionalità della musica (e del ritmo) come vettori della creatività. Nel tango, rispetto al contact, un maggior numero di gesti sono “passi”, e un buon numero di passi avvengono insieme, dando luogo a delle forme ricorrenti e riconoscibili che vengono rimodulate nel corso della danza. A differenza del contact, il tango, pur improvvisato, non è un ballo sperimentale che sovverte radicalmente le frontiere della danza, mettendo in questione i principi della coreografia. Resta una forma di improvvisazione strutturata e idiomatica. Una forma di creatività “entro una cornice”, al pari degli scacchi : una grammatica regolata di posture passi e figure, dotata però di una sintassi illimitata.

Un’altra caratteristica che distingue le due danze riguarda i ruoli e i corpi coinvolti. Nel tango, i due ruoli di genere — o comunque, il ruolo di chi propone e il ruolo di chi segue — si incorporano in e manifestano attraverso forme di movimento differenti. Propugnando apertamente una completa intercambialità dei ruoli, nel contact i movimenti non sono codificati secondo i generi, e a differenza del tango prevede la possibilità di interconnessioni simultanee fra una pluralità di attori (fig. 2).

Fig. 1. Sessione di milonga.

Fig. 2. Triade all’interno di una Contact Jam Improvisation.

 

3. Sentire e reagire, qui e adesso : divenire altro in due

3.1. Né agenti né pazienti : il peso del corpo
e la danza dell’aggiustamento

Nel quadro degli esempi e delle analisi che — nelle diverse opere di Landowski e in quelle di coloro che ne hanno messo a frutto i modelli nei più diversi campi — hanno nutrito la progressiva messa a fuoco del concetto di aggiustamento, l’opposizione fra i valori della regolarità e della sensibilità, della sicurezza e dell’insicurezza, fra i regimi dell’insignificante e del fare-senso sono riconducibili a un’opposizione più generale fra predeterminazione e apertura al possibile, fra senso dato e senso prodotto, e soprattutto all’operazione di trasformazione di un polo nell’altro. La relazione fra due ballerini o judoka, quella adottata dai guerriglieri di fronte alle forze armate manifestano una medesima operazione di sospensione, di arresto dell’incontrovertibile, di misconoscimento di qualunque sistema di valori estrinseco al potenziale di situazione espresso dall’hic et nunc dell’incontro. Di fatto si tratta di due contraddittori, di una relazione privativa che oppone un valore positivo a un valore che manca di quella proprietà : l’aggiustamento nega una programmazione che lo precede, un ordine e una regola logicamente precedenti, di cui misconosce il tratto di ineluttabilità e necessità.

Come abbiamo introdotto in precedenza, una stessa pratica — viaggiare in automobile, confezionare un artefatto, praticare una danza o uno sport — o una medesima interazione affettiva, lavorativa o occasionale possono essere vissute come mera esecuzione di una sequenza di operazioni miranti a raggiungere un obiettivo dato (programmazione) o come passiva adesione a uno “stato di cose” rispetto al quale il soggetto non ha alcun potere di intervento (incidente), come messa in atto di strategie per far sì che l’altro adotti una certa condotta che soddisfa un valore per me, oppure valorizzando l’interazione stessa e i suoi effetti trasformativi sulle parti in gioco, che trovano così mutuo compimento. Laddove le due danze, a livello “teorico”, esprimono il regime dell’aggiustamento, la pratica necessita un esercizio costante di “negazione dell’ineluttabilità” — sia essa espressa da atteggiamento programmatico o fatalista, proprio o del partner — che struttura il processo di apprendimento e le trasformazioni fisiche, sensibili e passionali che il danzatore dovrà operare su di sé e nei confronti dell’altro.

A livello tecnico, il praticante dovrà evitare l’anticipazione dei movimenti altrui come l’adesione ex-post a una direzione e rotazione stabilita unidirezionalmente dal partner. Colui che è sostenuto (o, nel tango, “guidato”) deve attivamente organizzare il proprio corpo per non arrestare la spinta dell’altro senza per questo abbandonarvisi a “peso morto”, così come il sostegno (o la guida) non consiste nello stabilire unidirezionalmente la direzione e la durata dell’evoluzione : nelle loro numerose differenze, le due pratiche condividono i principi e le leggi fisiche che vedono i corpi come “conduttori” di forze dinamiche che ognuno rimodula senza interrompere né contrastare.

Un esempio ricorrente dei maestri di contact (come di Aikido) e valido per il tango è quello di una porta che si apre all’improvviso nel momento il cui ci accingiamo a sfondarla : l’energia che impieghiamo in previsione di una resistenza che viene invece a mancare ci si ripercuote contro, facendoci sbilanciare ed eventualmente cadere. La danza si svolge nella gamma di tensioni fra la rottura della porta e la caduta di colui che non trova resistenza, in un gioco simmetrico e reversibile fra dare e ricevere peso, fare vuoto e consentire all’altro di fare esperienza del disequilibrio. Tra “agente” e “agito” si instaura dunque una danza circolare nella quale le posizioni, gli spostamenti e le direzioni assunte dipendono esclusivamente da quelli dell’altro.

La danza stessa, come abbiamo osservato tramite le parole di Warburg, è “rappresentazione” della lotta fra le forze disgreganti della passione e quelle coesive e integranti della coscienza. Peculiarità delle due danze è quella di mettere ognuna in scena, in miniatura e a titolo ludico-estetico, la congiunzione fisica fra due corpi, l’incontro o scontro di due soggetti al limite dell’involucro ultimo che ci separa dall’esterno, la pelle. Il contatto, al centro delle due pratiche, dischiude nondimeno due “storie” e due sintassi opposte e speculari, che parlano in un caso dell’attrazione sessuale fra esseri culturalmente e socialmente marcati e nel secondo dell’attrazione fisica che ci affetta in quanto “gravi mobili”.

 

3.2. La (ri)costruzione dei corpi

Ci concentriamo infine su una delle differenze più evidenti e marcate fra le due danze : la connotazione sessuale e culturale dei milongueri, a fronte della neutralizzazione del corpo sociale operata dal contact, in cui il genere, come il peso, la dimensione, o qualunque altra proprietà del corpo del danzatore è indifferente ; si danza scalzi e l’unico vincolo imposto all’abbigliamento è che sia sufficientemente confortevole, ampio o elastico da sopportare estensioni, flessioni e rotazioni e abbastanza liscio e uniforme da permettere all’altro di aderire senza attrito al proprio corpo.

Sia la milonga che la contact jam esemplificano forme particolari dello stare insieme in pubblico, basate sulla legittima rotazione dei ballerini. Nel caso del tango, tuttavia, questa alternanza delle coppie (che si formano, dissolvono e riformano in combinazione sempre nuove), trasformando ciascun ballerino/a in oggetto di investimento libidico, alimenta il registro del piacere. Nel contesto della milonga è proprio la presenza di persone poco note a generare la possibilità di esperimenti socio-sensuali di intimità condivisa, aprendo uno spazio di circolazione del desiderio, che sembrerebbe del tutto espunto dal contact.

Di fatto, si tratta di corpi diversamente costruiti che fondano estetiche altrettanto diverse.

Come si evince da quanto precede, lo “spazio della danza” implica una configurazione topologica complessa, che vede uno “spazio proprio” del singolo corpo, di cui la pelle marca il confine ultimo, lo spazio di interazione fra i due corpi, lo spazio di interazione fra ognuna delle coppie (o gruppi nel caso del contact) e le altre all’interno del medesimo campo da gioco.

A livello figurale, il tango descrive la sfera dinamica creata da due corpi che “fanno tutt’uno” : il braccio sul dorso (la guida) o sulla spalla (il guidato) e il palmo sotto (la guida) o sopra (il guidato) quello dell’altro descrivono il perimetro mobile di un sistema di forze centripeto, che traduce figurativamente la congiunzione sessuale, astratta e ridotta alla sua dinamica (fig. 3). I partner si alternano nella sperimentazione della perdita e riacquisto dell’equilibrio entro il confine chiuso del loro abbraccio : la sfera, per quante rotazioni, torsioni, distensioni conoscano i corpi che la formano, descrive tracciati orizzontali in asse verticale, seguendo in fondo gli stessi principi dalla camminata pedonale (fig. 2). I corpi della contact, al contrario, descrivono un sistema aperto e centrifugo, che trova il suo perno nel punto di contatto fra una qualunque superficie del proprio corpo e una qualunque di quello dell’altro, punto di conversione fra sostenente e sostenuto a partire dal quale i danzatori sperimenteranno a turno la sospensione della gravità (figg. 1-4).

Fig. 3. Tango, dettaglio dell’abbraccio.

Fig. 4. Contact, punto d’equilibrio.

Il suolo, di conseguenza, assume funzioni attanziali molto distinte. Il tango gioca all’interno del sistema ortogonale stabilito dall’uomo in piedi e dai “sei lati del mondo” che tale postura dischiude : la forza di gravità ricopre lo stesso ruolo assolto nel quotidiano, contraltare della consumata conquista della verticale. Come recita una delle dichiarazioni di Steve Paxton più citata e tramandata nell’insegnamento del contact, “Solo dancing does not exist : the dancer dances with the floor : add another dancer and you have a quartet : each dances with the other and each with the floor”. The floor non è semplicemente l’area in cui si danza ma un attore a pieno titolo.

 

La possibilità che lo stesso suolo possa assolvere funzione attanziale di co-operans per il soggetto in movimento è già stata messa in evidenza da Landowki13, che parte proprio dal gioco speculare di forze (inerzia della gravità e resistenza del corpo) implicate dallo “stare fisicamente al mondo” : come l’acqua su cui galleggia la barca e l’aria su cui poggiano le ali dell’uccello, la terra è condizione del camminare, suscettibile di divenire vero e proprio partner d’interazione sensibile. Nel tango il suolo è la condizione d’interazione con l’altro, nel contact l’interazione con l’altro è ciò che consente di rimodulare il proprio rapporto con il suolo.

13 Cfr. “Avere presa...”, art. cit., p. 195, n. 26.

Recita la definizione del contact offerta dal suo ideatore, Steve Paxton :

Contact improvisations are spontaneous physical dialogues that range from stillness to highly energetic exchanges. Alertness is developed in order to work in an energetic state of physical disorientation, trusting in one’s basic survival instincts. It is a free play with balance, self-correcting the wrong moves and reinforcing the right ones, bringing forth a physical / emotional truth about a shared moment of movement that leaves the participants informed, centered, and enlivened.14

14 S. Paxton, in N. Stark Smith, “Editor note”, Contact Quarterly, 5, 1, 1979, p. 2.


La “spontaneità” del dialogo prevede un complesso processo di de-programmazione dello schema corporeo e del circuito di cognizione, volizione e percezione che regola la nostra esperienza sensibile del mondo.

Come chiarito dal termine “disorientamento”, il soggetto deve perdere una certa competenza cognitiva (cognizione dello spazio che guida l’azione in condizioni ordinarie), abbandonare una certa attitudine pragmatica (l’esercizio di “forza in eccesso”), e in generale virtualizzare ogni pregresso programma d’azione, volontario o irriflesso, che in questo caso investe, come introdotto in precedenza, la stessa verticalità. Rotolare, cadere, dondolare a testa in giù descrivono un pattern di coordinazione psico-motoria alternativo a quello “ortogonale”, un modello concentrico privo di direzioni preferenziali, in cui ogni punto è potenzialmente suscettibile da fungere da perno. Lo spazio e il corpo dell’altro non pertengono più, se non marginalmente, al campo della vista, ma si strutturano e destrutturano conformemente alle leggi fisiche che affettano indifferentemente cose e persone.

Il neonato, significativamente, è figura chiave nell’insegnamento del contact, sia in termini di posizioni e movimenti di base (strisciare, rotolare, sostenersi sui gomiti o sul fianco) sia come suggerimenti di movimento propedeutico (esplorare le potenzialità motorie del corpo cui attingono coloro che ancora non sanno camminare). L’immagine dell’infante alla scoperta del proprio movimento e dello spazio offre l’organizzazione topologica di un corpo la cui attività percettiva, affettiva e “epistemica” è ancora indifferenziata : se nell’interazione quotidiana la testa è il luogo del dominio cognitivo presupposto a un’interazione di tipo programmatico o strategico con lo spazio, nel contact non è che l’ultima e più pesante vertebra, vettore o perno di un sistema di forze, come lo sono gli arti, il bacino, il dorso, mentre la pelle diviene sede di un’intelligenza sensibile in cui il piacere è indissociabile dalla conoscenza.

Paxton descrive però una trasformazione emotiva e passionale che non si risolve nell’algida esperienza della gravità : se i soggetti ne risultano insieme “informati, centrati, rivitalizzati”, è in virtù di una “regressione” cognitiva, pragmatica e passionale che trova il suo apice nel vuoto, nella caduta : il “momentum”, il punto di rottura catastrofica in cui la gravità è per un attimo sospesa, e il rischio di cadere, farsi male e eventualmente “morire” mostrerà al suo soggetto “il proprio istinto”, la propria capacità di reagire al qui e ora della contingenza per convertire l’ineluttabilità della gravità in una nuova piega delle sue danze.

 

Conclusioni : immagini di genere e dialogo fra corpi

Nello sganciarsi dalle norme di genere, il contact neutralizza15 quelle differenze — quel confronto con l’alterità contrassegnato da una dimensione potenzialmente desiderante — che contribuiscono a alimentare tensione e passione nel tango. L’intensità del tango, in altre parole, deriva spesso dall’incontro fra due presenze di genere che sono altrettanti corpi sessuati, un incontro carico di eros potenziale, sublimato, certo, e tuttavia insopprimibile.

Le opposte forme di gestione dell’erotismo nelle due danze prestano il fianco ad altrettante speculari critiche. Nel caso del tango, il rapporto di genere restituito dalle sue logiche e dalle sue figure sembra reificare la normatività eterosessuale e saldare il piacere ai generi socialmente fondati, escludendo dal suo orizzonte la possibilità di rinnovarne le forme e riformularne gli immaginari. D’altro canto, la disposizione del contact a disaccoppiare la danza dal genere sembrerebbe riflettere una forma di correttezza politica che espelle la dinamica di genere dall’esperienza della danza, trasformandola in una sorta di sport androgino o pratica ascetica. Il contact è un corpo a corpo, che però esclude la tenerezza sensuale e potenzialmente erotica dell’abbraccio, sorvolando sugli esiti sentiti come appaganti della relazione uomo / donna.

Si tratta di valutazioni, peraltro del tutto legittime, fondate sull’oggettivazione delle forme e figure implicate o prodotte dalla danza, che non tengono in considerazione le forze che la generano e l’esperienza ricercata dai suoi soggetti.

Come abbiamo introdotto in apertura, la danza, e tanto più la danza di improvvisazione non da palco, è una forma intermedia, forma significante di un significato patetico : da fuori un’immagine, da dentro un gioco, nei due casi esperienza riflessiva del “sentimento dell’esistenza” relativamente indipendente dai temi e delle figure che lo manifestano. Peraltro nel tango ogni tipo di corpo è legittimo : una persona minuta, se conosce la tecnica del trasferimento del peso, e riesce a condividerla, può ballare tranquillamente con una persona molto più corposa di lei. Una persona pesante, se sa muovere fluidamente il proprio asse, risulterà molto più dinamica di una persona smilza ma inesperta. Più in generale, i generi espressi dal tango sono posizioni che chiunque può assumere, ed è sempre più frequente, anche se ancora marginale, la danza fra coppie di donne o di uomini (così come una donna, soprattutto se esperta, può fungere da guida nella pratica con un principiante).

D’altro canto il contact non nega di certo la libido, ma la significa diversamente. Come abbiamo visto, il corpo (ri)costruito dal contact è una sfera sensibile, che virtualizza l’identità sociale e culturale al fine di porre il corpo in condizioni di sentire.

Se il tango mette in scena un erotismo adulto e riproduce in miniatura e a titolo ludico-estetico la congiunzione sessuale, il contact ha più a che vedere con l’erotismo esternalizzato dei neonati, per i quali la scoperta dello spazio e del movimento è indissociabile dal piacere così come l’eccitazione non si oppone alla dinamica del corpo ma entra nel suo circolo.

Cambiano invece la “recita e i suoi corpi”, che potremmo semplificare come amore e morte : in un caso rischio di “piccola morte” implicato dal piacere, quale congiunzione ultima che annulla ogni ulteriore gioco, nel secondo rischio di dissoluzione cognitiva, emotiva e eventualmente, in ultima istanza, fisica (la caduta).

Nei due casi, a livello “esistenziale”, si tratta di rimodulare l’orizzonte fiduciario che regola i rapporti intersoggettivi : perdere il controllo ma non abbastanza da operare fratture irreversibili, guidare ma non tanto da imporre all’altro una sintassi univoca, scoprirsi altro da sé e scoprire l’alterità dell’altro nelle reazioni singolari generate dall’ascolto e la comune adesione al qui e ora del dialogo fra corpi.

15 La neutralizzazione della dimensione emotiva — il minimalismo emotivo — proviene dalla tradizione di Merce Cunningham, che concepiva i ballerini come neutral doers.

Allegato

Il modello interazionale

 

Bibliografia

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1 Cfr. Rischiare nelle interazioni (2005), Milano, FrancoAngeli 2010.

2 Cfr. fra gli altri E. Landowski, “Politiques de la sémiotique”, Rivista Italiana di Filosofia del Linguaggio, 13, 2, 2019 ; P. Demuru, “Política, magia, semiótica : como resistir ao populismo autoritário e suas fantasias conspiratórias”, Acta Semiotica, I, 2, 2021 ; F. Sedda e P. Demuru, “Da cosa si riconosce il populismo. Ipotesi semiopolitiche”, Actes Sémiotiques, 121, 2018.

3 Cfr. in particolare Rischiare nelle interazioni, op. cit.

4 Cfr. E. Landowski, Shikata ga nai. O ancora un passo per diventare davvero semiologi !, Milano, Mimesis, 2014.

5 Cfr. in particolare E. Landowski, Passions sans nom. Essais de socio-sémiotique III, Paris, P.U.F., 2004.

6 Cfr. in particolare C. Cieri Via “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel fra religione, arte e scienza”, in M. Bertozzi (a cura di), Aby Warburg e la metamorfosi degli antichi dei, Ferrara, Franco Panini, 2002, “Aby Warburg e la danza come atto puro della metamorfosi”, Quaderni Warburg Italia, 2-3, 2004, e A. Warburg, “Dürer e l’antichità italiana”, in Opere. I. La rinascita del paganesimo antico e altri scritti (1889-1914), Torino, Aragno, 2004.

7 A. Warburg, in C. Cieri Via, “Aby Warburg e la danza ...”, art. cit., p. 64.

8 A. Warburg, in C. Cieri Via, “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel...”, art. cit., p. 121.

9 Come sottolinea fra gli altri Claudia Cieri Via, il processo evolutivo fra forma religiosa, forma artistica e legge scientifica non è necessariamente da intendersi come evoluzione temporale né gerarchia valoriale : “per quanto riguarda il tentativo di rimettere ordine, io credo che siano originariamente acquisite in una certa sequenza, ma che adesso siano all’opera simultaneamente secondo le disposizioni individuali. E quanto all’adattabilità di queste forme di ordine a un dato scopo, non è assolutamente sicuro che la più alta (cioè quella acquisita più tardi) sia la più efficiente” (lettera a Mary Hertz del 31 dicembre 1890, in “Aby Warburg : il concetto di Pathosformel”, art. cit., p. 122). I diversi livelli della struttura del sentire della vita sembrano riguardare il dominio dell’esperienza più o meno mappato dai linguaggi, a prescindere dal grado di astrazione raggiunto da una cultura nel suo complesso.

10 Per un’estesa ricognizione delle valenze sensibili, estetiche e esistenziali investite nella pratica del tango e dischiuse in particolare dall’interazione fra corpi cfr. in particolare F. Mégret, “Asi se baila. Code des milongas et ‘droit du quotidien’”, in France Joyal (a cura di), Tango, corps à corps culturel, Montréal, Presses de l’Université du Québec, 2009 e D. Sparti, Sul tango. L’improvvisazione intima, il Mulino, Bologna, 2015.

11 Cfr. “Avere presa, dare presa”, Lexia, 3-4, 2009.

12 Sulle influenze dell’Aikido sul contact improvisation cfr. in particolare S. Paxton, “Aikido Roll” e “Aikido Information Indeed”, Contact Quarterly, 5, 3/4, 1980, p. 16 e 17. Sulle grammatiche tensive e figurali dell’Aikido e sui rapporti che tale pratica intrattiene con il tango ci permettiamo di rimandare rispettivamente a M.C. Addis, “Forme d’aggiustamento. Note sulla pratica dell’Aikido”, in A.C. de Oliveira (a cura di), As interações sensíveis, São Paulo, Estação das Letras e Cores, 2013 e D. Sparti, M.C. Addis, “‘A questo non rinuncio’. Pratiche del corpo e precariato”, Sociologia. Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali, 1, 2021.

13 Cfr. “Avere presa...”, art. cit., p. 195, n. 26.

14 S. Paxton, in N. Stark Smith, “Editor note”, Contact Quarterly, 5, 1, 1979, p. 2.

15 La neutralizzazione della dimensione emotiva — il minimalismo emotivo — proviene dalla tradizione di Merce Cunningham, che concepiva i ballerini come neutral doers.

 

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Mots clefs : aggiustamento, corpo, danza, improvvisazione, interazione, pratica estetica, tango.

Auteurs cités : Claudia Cieri Via, Paolo Demuru, Eric Landowski, Frederic Megret, Steve Paxton, Franciscu Sedda, Nancy Stark Smith, Aby Warburg.


Plan :

Introduzione

1. I sensi della danza

1.1. Dalla vita all’arte : il “sentimento dell’esistenza”

1.2. Dal “prodotto finale” al processo di produzione : verso l’improvvisazione

1.3. Uno spazio intermedio fra rappresentazione e quotidiano : la danza come gioco

2. Due pratiche

2.1. Il tango argentino

2.2. Il Contact Improvisation

2.3. Differenze fra le due pratiche

3. Sentire e reagire, qui e adesso : divenire altro in due

3.1. Né agenti né pazienti : il peso del corpo e la danza dell’aggiustamento

3.2. La (ri)costruzione dei corpi

Conclusioni : immagini di genere e dialogo fra corpi

 

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Recebido em 19/03/2022. / Aceito em 20/05/2022.