Forum-dossier : Quelques paradoxes du « post- » consumérisme

Dopo la crisi, la nuova strategia :
regalare prodotti per vendere
consumatori

Pierluigi Cervelli
Università di Roma La Sapienza

Publié en ligne le 22 décembre 2021
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2021n2.56795
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Introduzione

Dopo la crisi economica del 2001 in Italia, nel discorso professionale sulla comunicazione di mercato e aziendale (a partire, forse, dal lavoro di Fabris1) si è progressivamente iniziato a riflettere sulla presenza di un “nuovo” tipo di consumatore che avrebbe sostituito il consumatore “del passato” (definito “utilitaristico”), “dopo la crisi” del consumo2.

Esigente, informato, comparativo, la sua nuova attitudine sfuggirebbe alle strategie tradizionali delle imprese. Quali ? Quelle tipiche di una comunicazione marcata da un lessico strategico-militare (basato su termini come “target” e “campagna”) e dall’idea di una certa passività del consumatore, un soggetto reificato che “attende solo di essere colpito”— come diceva Eco più di vent’anni prima3, e molto lontano dalla figura del “post”-consumatore che si staglierebbe sulle rovine della crisi economica post 11/9 (ironicamente, quasi ormai “antica” nel senso comune), negli anni 2001-2003.

In questa formulazione del problema, il termine post è utilizzato per esprimere la netta discontinuità, non semplicemente la successione ordinale. Tuttavia la distinzione tra queste due fasi — dal consumatore al postconsumatore — non si basa su caratteristiche differenziali ma solo sulla velocità temporale della trasformazione dei “comportamenti” di consumo nella contemporaneità, appunto dopo una discontinuità radicale col passato.

Un po’ paradossalmente per un rapporto di causa / effetto, si tratta di una discontinuità antropologica che si baserebbe sulla rottura di una serie economica. Il post consumatore — ipostatizzato come soggetto “reale” — sarebbe l’attore tematico della fase del postconsumo, vista però in questo modo come una “era geologica” e definita attraverso un certo “taglio retrospettivo della storia economica”, come sottolineato da E. Landowski nella presentazione del “forum” tenuto prima della presente pubblicazione.

Questo meccanismo si è rinnovato col passare delle crisi : da quella del 2001-2003 a quella del 2007-2008. Dato che non si può dubitare che il periodo di attuale pandemia fornirà ulteriori “post-argomenti”, mi sembra che sarebbe utile applicare l’epistemologia strutturale semiotica alla dimensione diacronica, delineando un’articolazione differenziale fra due “stati di consumo” diacronicamente diversi, ossia le due situazioni sociali che chiamiamo “consumo” e “postconsumo”. Al fine di interdefinirli attraverso le differenze fra articolazioni semiotico-strutturali piuttosto che sulla sola dimensione cronologica, occorre definire delle discontinuità significative (epistemiche e nell’interazione fra marca e consumatore, o fra consumatori stessi) che possano identificare le fasi stesse di passaggio dal consumo al post-consumo attraverso una comparazione fra strutture di relazioni.

1 Cf. G. Fabris, Il nuovo consumatore : verso il postmoderno, Milano, FrancoAngeli, 2003.

2 Una posizione diversa è quella proposta da Andrea Semprini, che — ispirandosi al pensiero di Lyotard — aveva parlato di una “marca postmoderna”, che perde le proprie certezze e deve dunque diventare riflessiva in quanto soggetta a nuove debolezze. Cfr. A. Semprini, La marca postmoderna. Potere e fragilità della marca nelle società contemporanee, Milano, FrancoAngeli, 2006. J.-Fr. Lyotard, La condizione postmoderna (1979), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2014.

3 Cfr. U. Eco, Lector in Fabula, Milano, Bompiani, 1979, p. 27.

1. Consumo e post-consumo :
una proposta di modellizzazione semiotica

Una lettura esclusivamente cronologica avrebbe infatti difficoltà a spiegare come mai alcuni dei tratti tipici del “consumatore postmoderno” sembrano essere di fatto apparsi molto prima della crisi del 2001, già negli anni 70-80 del ’900, in cui l’industria del consumo di massa raggiunge il suo apice. Si pensi solo alla riflessione, ispirata anche dalla semiotica strutturale, di Michel de Certeau che parlava di “enigma del consumatore sfinge”4 — operatore di un fare non più inteso come esaurimento di una merce ma come un atto trasformativo, produttore di uno slittamento di senso fra oggetto di consumo e modo di consumarlo, già una forma di anti (o post) consumo5.

Al fine di evitare questo tipo di paradosso occorre considerare il cambiamento delle strategie comunicative relative al consumo nel corso del 900 nel mondo occidentale nel quadro di una semiotica delle interazioni. Si può così produrre una prima modellizzazione, molto generale, in cui situare la riflessione sul post-consumo contemporaneo.

Infatti dopo la fase iniziale, primo-novecentesca, la fase di carenza di beni a cui si risponde con la produzione di massa — e in cui la domanda di beni di consumo sopravanza l’offerta — lo sviluppo successivo della comunicazione, quello proprio della fase del consumismo di massa e della attuale fase di crisi (o meglio di trasformazione) del consumo potrebbe essere concettualizzato come un passaggio da un regime di interazione basato sulla giunzione ad uno basato sull’unione, un modello particolarmente proficuo per descrivere come si modificano le relazioni fra attori come il consumatore e l’impresa6.

4 Cfr. M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 1990, p. 66.

5 Come ha scritto Paola Di Cori, “(…) la pubblicazione de L’invenzione del quotidiano segna il definitivo tramonto della fla?nerie, che gia? lo stesso Benjamin dava per scomparsa ai primi del ‘900. Nella citta? delle recenti comunita? di immigrati e delle nuove poverta? (…) non si gira piu? in uno stato di abbandono trasognato ma in uno stato di vigile timore e insicurezza”. P. Di Cori, “Porte girevoli”, Postfazione a M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano, op. cit., p. 21.

6 Sulle nozioni di giunzione e unione, cfr. E. Landowski, Passions sans nom, Paris, P.U.F., 2004, in part. p. 73.

Nella prima fase di carenza dei beni il comportamento del consumatore è in qualche modo prevedibile, e quindi il suo ruolo tematico e attanziale è programmato o almeno programmabile : il consumatore è concettualizzato come il “target” definito da Eco : in qualche modo è un soggetto reificato, deprivato cioè di volontà (si pensi a Ford quando affermava che i consumatori potevano scegliere la vettura che volevano purché fosse nera). Successivamente si passa ad una fase in cui l’universo dei beni si satura progressivamente e il bene deve dunque diventare appetibile : è la fase di esplosione della società dei consumi, che nel mondo occidentale va dagli anni ‘50 agli anni ‘80 del 900. Credo si possa parlare di operazioni di tipo giuntivo nelle dinamiche di consumo perchè l’accento comunicativo è messo quasi esclusivamente sul valore dell’oggetto scambiato e la modalità di interazione adottata è riconducibile puramente a una “economia delle relazioni intersoggettive” e alla manipolazione. Mi pare centrale, come notato da Landowski7 a proposito del modello narrativo greimasiano, che in questo caso è solo l’oggetto a mediare la relazione fra gli attanti in relazione : viene magnificato dalla comunicazione ma per il suo ruolo di mediazione intersoggettiva diventa l’oggetto del desiderio consumistico.

Dopo la fase di esplosione del consumo di massa, la relazione che le imprese tendono a costruire col consumatore sembra essere spostata invece su una logica dell’unione : il prodotto è valorizzato come punto di cristallizzazione di una comunanza di valori che gli attanti in interazione condividono e che può manifestarsi come una comune competenza estesica e valoriale, una forma di vita comune fra marca e consumatore. Le imprese non vogliono più convincere del valore del prodotto ma della verità dell’identità fra marca e consumatore.

Le considerazioni proposte da Floch sull’universo Apple8, descrivono sottilmente uno dei primi casi di questa nuova strategia, che da questo momento in poi investe in forme sempre nuove i consumatori sfruttando progressivamente tutti i canali di manifestazione : da qui il marketing sensoriale, ambientale, il social marketing, il marketing esperienziale ecc.

7 Ibid., pp. 59-66.

8 Cfr. J.-M. Floch, “La via dei logo”, Identità visive, Milano, Francoangeli, 1997, pp. 43-78. A partire dal lavoro di Dario Mangano, che propone utili e pertinenti comparazioni nel campo degli oggetti di uso quotidiano, si può notare come la trasformazione visiva del logo Apple mostri come con il tempo la società di Steve Jobs abbia progressivamente inglobato i valori espressi dall’universo IBM cui inizialmente si opponeva per costruire la propria identità di marca saturando l’intero spazio semantico disponibile. Cfr. D. Mangano, Archeologia del contemporaneo. Sociosemiotica degli oggetti quotidiani, Roma, Nuova Cultura, 2010.

In questo quadro anche il fare tattico di contro-consumo, delineato da de Certeau, per la comunicazione di marca è diventato un terreno di cui appropriarsi : una zona di camouflage in cui la marca può presentarsi come identica persino per coloro che sviano o rifiutano il consumo. Passando dal versante delle strategie a quello delle tattiche, convertendo il lessico militare che usava in quello della guerriglia (con termini come ambush, guerrillia, viral marketing) o ancora valorizzando il riuso, criticando lo spreco e facendo della sostenibilità la propria ultima retorica, le grandi marche hanno camuffato gli eventi pubblicitari come eventi culturali-ludici e usato il tipo di provocazioni estetiche tipiche dell’avanguardia, anche se spesso in forme conservatrici dal punto di vista del contenuto : dai jeans proposti dalla marca Jesus, cui dedicò una riflessione anche Umberto Eco9, fino alla comunicazione di un’azienda come Diesel negli anni ’90.

La mia impressione è che la comunicazione propria del cosiddetto postconsumo è giocata nella logica dell’unione, piuttosto che nel regime della manipolazione. Ma la forma di aggiustamento che essa prevede mi sembra declinata in modo nuovo, cioé in una forma polemica, in modo tale da produrre, attraverso l’aggiustamento polemico e su una scala enormemente più allargata (su scala mondiale), un ritorno alla giunzione. Si tratta di due programmi che si sviluppano in parallelo, ma restano diversi, ed è l’interazione fra i due che costituisce un tipo particolare — e forse inedito — di aggiustamento.

9 Cfr. U. Eco, “Il pensiero lombare o del vivere in jeans”, Corriere della sera, 12 agosto 1976.

2. Postconsumo e “aggiustamento predatorio”

Le nuove e straordinarie marche digitali contemporanee (Facebook, Instagram, Twitter ecc.) — di incredibile successo, ricchezza e ormai dotate (come si è visto nello scorso delle elezioni americane del 2020) di un enorme potere informativo e politico, sembrano adottare tecniche radicalmente diverse da quelle del recente passato in cui si situava il pensiero di Michel de Certeau. Non cercano più soltanto di imitare il consumatore “cacciatore di frodo” del senso, di mostrarsi simili ad esso nella condivisione di un comune universo di valori, ma invece di permettergli al contrario di dispiegare tutto il suo potenziale di movimento e interazione con altri, disinteressandosi dei valori scambiati per valorizzare l’atto di condivisione in sé, per poi utilizzarlo per fini propri, di potere economico e politico.

La valorizzazione dell’interazione praticata da questi colossi dei social network presenta dunque, fino a un certo punto, le stesse dinamiche proprie dell’“aggiustamento” che Landowski evidenzia : dà la possibilità all’altro di sviluppare tutto il suo potenziale senza definire preliminarmente il tipo di relazione che si stabilirà fra gli inter-attanti10.

In particolare la modalità di interazione proposta sembra affine a quel particolare tipo di aggiustamento che Landowski ha definito “polemico”11. Si tratta di una modalità tipica della strategia di guerra cinese descritta magistralmente da François Jullien, tesa constantemente a evitare lo scontro diretto in battaglia, e per certi versi simile all’aggiustamento resistenziale di cui ha parlato Paolo Demuru12, perchè l’intervento sul soggetto con cui si è in interazione avviene lasciandolo libero di dispiegare tutto il proprio potenziale13.

10 Cfr. E. Landowski, Les interactions risquées, Limoges, Pulim, 2006, pp. 40-41, 78.

11 Ibid., p. 102.

12 Cfr. P. Demuru, « Prendere posizione », Actes Sémiotiques, 120, 2017.

13 Cfr. F. Jullien, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Roma, Meltemi, 2004.

Vi è tuttavia una ulteriore operazione che rende particolare questa forma di aggiustamento : il potenziale dei consumatori (definiti creators) “liberato” dall’aggiustamento infatti è immediatamente trattato per definire dei profili che tassonomizzano i consumatori secondo percorsi e ruoli tematici predefiniti (ossia definiti all’interno di una logica dell’interazione programmata). In questa forma di aggiustamento non si lascia l’altro libero per sconfiggerlo più facilmente (libero ad esempio di avere tutto il suo slancio, come nelle arti marziali) ma per estrarre dei beni, per appropriarsi cioè del valore di sapere e potere costituito dalle interazioni sociali e nella sua creatività.

A differenza del caso di Kutuzoff contro Napoleone, o degli irakeni dopo l’invasione del 2003 (esempi citati da E. Landowski come casi di aggiustamento polemico14) queste piattaforme non si propongono di resistere indirettamente fino a sfiancare l’avversario, a fargli esaurire le forze, o a indebolirlo sfruttandone a proprio fine la forza, ma semplicemente non oppongono alcuna resistenza (ossia qualunque limitazione delle azioni e delle interazioni, anche quelle dannose) al fine di tesaurizzare gli effetti quantitativi di queste interazioni, e così di impossessarsi cioè di tutti quegli elementi immateriali (e semiotici) che l’aggiustamento libera : la creatività, le relazioni sociali, i desideri (di piacere, sapere o saper-fare) ed in senso più generale del tempo di vita stesso dei loro utilizzatori. Il loro obiettivo è infatti costruire un sistema di interazioni il cui effetto sia semplicemente — al di là di ogni valutazione morale su quello che fanno davvero gli agenti / attori in interazione — far passare ai propri utilizzatori il massimo di tempo possibile sulle piattaforme producendo il massimo possibile di dati attraverso l’interazione o la semplice “circolazione” sui social15.

Per questo la loro modalità comunicativa si basa sempre di più sulla modalità dell’irretire16, a prescindere dai modelli di corpo e delle forme di vita proposte  : presentano infatti una serie infinita di immagini e soggetti con cui entrare in interazione (i cosiddetti profili) : attraverso ad esempio l’apertura infinita di link a partire da una immagine verso altri attori con cui interagire, o consigliando soggetti di contatti potenziali che presentano ancora altri contatti. E tutto questo è magnificato dal potere del dispositivo di creare effetti di presenza, di sensibilità, in cui lo sguardo con cui si entra in contatto con l’alterità può farsi tattile, realizzando una mimesi della prossimità con corpi e prodotti comunicativi.

Parlerei perciò di una forma di interazione, che si potrebbe definire in questo caso come aggiustamento predatorio, che lascia libero l’altro all’estremo (anche nelle sue pratiche di insulto, odio, bullismo, denigrazione, messa in circolazione di informazioni false) purchè tutto questo possa generare collettivamente il coinvolgimento di un numero amplissimo di persone, di una massa, delle cui informazioni, produzioni e interazioni le piattaforme si appropriano per i loro interessi. Esse forniscono un palcoscenico in cui lasciano ognuno dei micro attori che si muovono libero di agire ma poi raccolgono ed estraggono dalle interazioni una massa di informazioni quantitative comunicabili che sommata vale più dei singoli elementi che la compongono : dà origine ad un sapere fornito di potere che può essere sfruttato o venduto e che ha un valore non solo economico ma persuasivo e politico.

14 Mi riferisco in particolare alle riflessioni contenute nel paragrafo “Chi perde vince”.

15 Discutendo una versione anteriore del presente articolo, Landowski mi faceva osservare che questo dispositivo in cui i soggetti, invitati a fare “liberamente” cio che piace loro — circolare sui social —, fanno sopratutto, senza saperlo o senza pensarvi, ciò che Facebook, Instagram e gli altri “social neworks” desiderano che essi facciano — produrre il massimo di dati — e che questo dispositivo è esattamente conforme a quello, attualmente molto alla moda nei gruppi dirigenti sia pubblici che privati, dei nudges, analizzato in termini comparabili a quelli che propongo anche in questo numero. Cfr. J.-P. Petitimbert, “La duplicité du nudge : une variante manipulatoire de la programmation”, Acta Semiotica, I, 2, 2021.

16 Cfr. F. Marsciani, Tracciati di etnosemiotica, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 74.

Conclusioni

Le “nuove” marche digitali17 riescono attraverso l’aggiustamento “predatorio” ad appropriarsi delle produzioni e dei percorsi individuali, delle relazioni e delle stesse autoproduzioni “dal basso”, ossia di tutto quel “sovrappiù di senso” che costituisce la ricchezza semiotica di una pratica. Come ? Creatività, risemantizzazione e mobilità — la valorizzazione stessa dell’atto di passare, un po’ ingenuamente considerato sovversivo di per sé rispetto alle strategie da de Certeau — diventano il materiale su cui operare strategicamente, perchè sono sottoposte a calcolo algoritmico e trasformate in informazioni quantitative. In questo modo la mobilità stessa del consumatore e le sue stesse capacità di trasformare le relazioni fissate in un sistema di valori dato sono convertite in inediti ed enormi pacchetti di dati vendibili, da cui trarre il vero profitto.

Le piattaforme social trasformano così le interazioni (fra persone che si conoscono o che si interessano reciprocamente, per curiosità individuali) in quantità di tempo passato sulle piattaforme e di like, atomi di gusti e disgusti collettivi legati ai prodotti, misurabili quantitativamente e perciò vendibili, che possono essere usati a fini di marketing (per ottenere informazioni sui gusti e le preferenze personali senza bisogno di chiederli), tarandoli sul singolo individuo, che diventa così egli stesso il bene da scambiare. Attraverso l’aggiustamento predatorio queste marche, in poco più dell’ultimo decennio, hanno così costruito un modello economico e relazionale in cui — ed è questa la grande innovazione rispetto al passato — riescono a regalare i loro prodotti, i software che permettono di avere dei contatti social, e a vendere i loro consumatori.

Mi pare che questo passaggio configuri una vera e propria svolta nel consumo contemporaneo, propria dei nuovi paesaggi digitali in cui ci muoviamo, una svolta inedita che forse le stesse scienze sociali stentano ancora a definire, ma che mostra nuovamente il consumo come un campo di operazioni, strategiche e tattiche, che possono essere indagate attraverso gli strumenti teorici di una teoria semiotica dell’interazione.

17 Oltre a quelle succitate, sarebbe possibile ampliare il numero delle marche digitali considerate, includendo ad esempio anche airbnb, cui ha dedicato ricche e pertinenti riflessioni semiotiche Maria Cristina Addis. La piattaforma si è proposta infatti secondo una retorica della condivisione e dell’ospitalità (nasceva infatti come condivisione di una parte della propria casa da parte di un host — un ospite — ed è rapidamente diventato uno dei modi per trasformare i centri storici delle città in serie sterminate di microalberghi mai abitati se non da viaggiatori paganti, all’interno di una logica estrattiva simile a quelle delle altre grandi marche digitali, che implica la sparizione dell’abitare quotidiano. Cfr. M.C.Addis, “She must be the place : sleepy sheep and the digital remediation of place in Airbnb online experiences during the first lockdown”, E/C, 31, 2021.


Bibliografia

Addis, Maria Cristina, “She must be the place : sleepy sheep and the digital remediation of place in Airbnb online experiences during the first lockdown”, E/C, 31, 2021.

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Petitimbert, Jean-Paul, « La duplicité du nudge : une variante manipulatoire de la programmation », Acta Semiotica, I, 2, 2021.

Semprini, Andrea, La marca postmoderna. Potere e fragilità della marca nelle società contemporanee, Milano, Francoangeli 2013.

 


1 Cf. G. Fabris, Il nuovo consumatore : verso il postmoderno, Milano, FrancoAngeli, 2003.

2 Una posizione diversa è quella proposta da Andrea Semprini, che — ispirandosi al pensiero di Lyotard — aveva parlato di una “marca postmoderna”, che perde le proprie certezze e deve dunque diventare riflessiva in quanto soggetta a nuove debolezze. Cfr. A. Semprini, La marca postmoderna. Potere e fragilità della marca nelle società contemporanee, Milano, FrancoAngeli, 2006. J.-Fr. Lyotard, La condizione postmoderna (1979), trad. it. Milano, Feltrinelli, 2014.

3 Cfr. U. Eco, Lector in Fabula, Milano, Bompiani, 1979, p. 27.

4 Cfr. M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro, 1990, p. 66.

5 Come ha scritto Paola Di Cori, “(…) la pubblicazione de L’invenzione del quotidiano segna il definitivo tramonto della fla?nerie, che gia? lo stesso Benjamin dava per scomparsa ai primi del ‘900. Nella citta? delle recenti comunita? di immigrati e delle nuove poverta? (…) non si gira piu? in uno stato di abbandono trasognato ma in uno stato di vigile timore e insicurezza”. P. Di Cori, “Porte girevoli”, Postfazione a M. de Certeau, L’invenzione del quotidiano, op. cit., p. 21.

6 Sulle nozioni di giunzione e unione, cfr. E. Landowski, Passions sans nom, Paris, P.U.F., 2004, in part. p. 73.

7 Ibid., pp. 59-66.

8 Cfr. J.-M. Floch, “La via dei logo”, Identità visive, Milano, Francoangeli, 1997, pp. 43-78. A partire dal lavoro di Dario Mangano, che propone utili e pertinenti comparazioni nel campo degli oggetti di uso quotidiano, si può notare come la trasformazione visiva del logo Apple mostri come con il tempo la società di Steve Jobs abbia progressivamente inglobato i valori espressi dall’universo IBM cui inizialmente si opponeva per costruire la propria identità di marca saturando l’intero spazio semantico disponibile. Cfr. D. Mangano, Archeologia del contemporaneo. Sociosemiotica degli oggetti quotidiani, Roma, Nuova Cultura, 2010.

9 Cfr. U. Eco, “Il pensiero lombare o del vivere in jeans”, Corriere della sera, 12 agosto 1976.

10 Cfr. E. Landowski, Les interactions risquées, Limoges, Pulim, 2006, pp. 40-41, 78.

11 Ibid., p. 102.

12 Cfr. P. Demuru, « Prendere posizione », Actes Sémiotiques, 120, 2017.

13 Cfr. F. Jullien, Strategie del senso in Cina e in Grecia, Roma, Meltemi, 2004.

14 Mi riferisco in particolare alle riflessioni contenute nel paragrafo “Chi perde vince”.

15 Discutendo una versione anteriore del presente articolo, Landowski mi faceva osservare che questo dispositivo in cui i soggetti, invitati a fare “liberamente” cio che piace loro — circolare sui social —, fanno sopratutto, senza saperlo o senza pensarvi, ciò che Facebook, Instagram e gli altri “social neworks” desiderano che essi facciano — produrre il massimo di dati — e che questo dispositivo è esattamente conforme a quello, attualmente molto alla moda nei gruppi dirigenti sia pubblici che privati, dei nudges, analizzato in termini comparabili a quelli che propongo anche in questo numero. Cfr. J.-P. Petitimbert, “La duplicité du nudge : une variante manipulatoire de la programmation”, Acta Semiotica, I, 2, 2021.

16 Cfr. F. Marsciani, Tracciati di etnosemiotica, Milano, FrancoAngeli, 2007, p. 74.

17 Oltre a quelle succitate, sarebbe possibile ampliare il numero delle marche digitali considerate, includendo ad esempio anche airbnb, cui ha dedicato ricche e pertinenti riflessioni semiotiche Maria Cristina Addis. La piattaforma si è proposta infatti secondo una retorica della condivisione e dell’ospitalità (nasceva infatti come condivisione di una parte della propria casa da parte di un host — un ospite — ed è rapidamente diventato uno dei modi per trasformare i centri storici delle città in serie sterminate di microalberghi mai abitati se non da viaggiatori paganti, all’interno di una logica estrattiva simile a quelle delle altre grandi marche digitali, che implica la sparizione dell’abitare quotidiano. Cfr. M.C.Addis, “She must be the place : sleepy sheep and the digital remediation of place in Airbnb online experiences during the first lockdown”, E/C, 31, 2021.

 

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Mots clefs : aggiustamento, predatorio, consumo, digitale, semiotica strutturale.

Auteurs cités : Maria Cristina Addis, Michel de Certeau, Paolo Demuru, Umberto Eco, Jean-Marie Floch, François Jullien, Eric Landowski, Dario Mangano, Francesco Marsciani, Jean-Paul Petitimbert, Andrea Semprini.


Plan :

Introduzione

1. Consumo e post-consumo : una proposta di modellizzazione semiotica

2. Postconsumo e “aggiustamento predatorio”

Conclusioni

 

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Recebido em 22/07/2021. / Aceito em 29/10/2021.