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Corpi nel bosco

Roberto Pellerey
Università di Genova

Publié en ligne le 22 décembre 2021
https://doi.org/10.23925/2763-700X.2021n2.56804
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Una nuova espressione ha fatto improvvisamente la sua apparizione quando sono stati riaperti asili, scuole e nidi d’infanzia nell’autunno 2020, dopo i lunghi periodi di chiusura e aperture alterne delle stagioni del Covid : gli asili nel bosco. Benchè asili e scuole “nel bosco” si siano sperimentati in realtà in Danimarca dal 1954, in Germania dal 1968, e in Italia dal 2001, il termine è sembrato indicare un’esperienza rivoluzionaria del tutto nuova, e si è imposto con immediata fortuna nel dibattito sull’educazione.

Scuole e asili nel bosco però non sono una novità improvvisa, ma sono il risultato di una pedagogia ampiamente consolidata in Europa. Di cosa si tratta ? Di una forma particolare di scuola o asilo in cui i bambini “stanno praticamente sempre all’aperto (…) un edificio proprio non esiste, i bambini giocano con il bello e il brutto tempo all’aria aperta, e solo in casi di tempo atmosferico davvero avverso ci si reca in un rifugio”1. Il luogo riparato può essere un bungalow, una yurta, una casetta, una sala attrezzata, dove si faranno letture insieme e atelier di pittura, disegno, costruzione di oggetti, intarsio, ceramica, merenda. Tutta l’attività si svolge però normalmente all’aria aperta, giocando e seguendo tracce e percorsi nei prati, tra gli alberi, nel bosco, sui sentieri, accanto ai ruscelli.

1 E. Alessandrini, “Waldkindergarten : l’asilo nel bosco. Un modello alternativo di scuola dell’infanzia”, Infanzia, 2, 2010.

1. Il bosco ritrovato : il selvatico quotidiano

L’immersione prolungata nella natura diventa una condizione vitale continuamente esperita e primo fattore nel processo di conoscenza delle forme e delle materie del mondo. È questa infatti la prima qualità attribuita tradizionalmente agli asili nel bosco. Subito dopo, nelle trattazioni loro dedicate2, si trovano fattori differenti e di diverso ordine tra cui, primo fra tutti, una condizione di libertà : la natura come stanza da gioco senza limiti, in cui ogni oggetto e ogni ambiente diventano materiale di gioco e oggetto sorprendente di scoperta. Ad essa seguono fattori di esperienza percettiva, come l’esperienza del ritmo delle stagioni stando all’interno della natura, oppure l’apprendimento tramite l’esperienza dei sensi. E poi fattori ludico-cognitivi e pragmatici, come il gioco con gli alberi, le rocce, i ruscelli, i rami, i legni, le foglie, i piccoli animali, i fiori, il muschio ; l’esplorazione del bosco con percorsi di scoperta ; e imparare a costruire attrezzature per dondolarsi, salire o arrampicarsi sugli alberi. Un fattore psico-fisico spesso indicato è lo sviluppo fisico più armonico e completo, ma anche più consapevole. E ancora, fattori sociali e culturali, come un rapporto più egualitario e meno coercitivo con gli educatori.

Questi fattori però quest’anno si sono congiunti a una serie di urgenze e preoccupazioni scaturite dalle circostanze specifiche del momento, dovute all’emergenza generata dal Covid. La riapertura delle aule scolastiche infatti si è svolta in un groviglio di normative e di prescrizioni vissute con sofferenza e insofferenza : distanziamenti, mascherine a sei anni, divieto di gioco fisico insieme, immobilità nei banchi, uscite e ingressi regolati e scaglionati, rilievi sanitari e misurazioni di febbre all’ingresso. Questa complessa normativa, per quanto necessaria, ha trasformato, nella percezione di genitori e bambini, la permanenza nelle scuole in una sorta di imprigionamento in una rete di divieti, obblighi, distanze, impossibilità. La normale vivacità infantile, fatta di grida, urla, salti e corse nei corridoi e nelle aule quest’anno nelle scuole non si è vista. Alla sensazione di soffocamento collettivo, si è reagito con la ricerca di una alternativa, di una possibilità di frequentare scuole e asili senza sentirsi soffocati. È a questo punto che è riemersa la pedagogia degli asili nel bosco, finora marginale e stravagante, che si è invece ora presentata come una scelta originale, inedita e libertaria : una rivoluzione improvvisa dotata del merito di tenere i bambini a giocare e imparare all’aperto in quell’ambiente esterno indicato dalla medicina come sostanzialmente privo di contagi.

Le scuole nel bosco sono apparse a questo punto come una soluzione dotata di una serie di qualità specifiche del momento storico attuale : prima tra tutte, essenziale e fondativa, l’assenza di aule, sentite come luoghi chiusi (a) pericolosi per la salute, a causa del loro trattenere il virus nell’ambiente, e (b) con una vita quotidiana piena di vincoli e divieti. L’assenza di aule diventa così anche (c) l’assenza di una costrizione all’immobilità distanziati dagli altri bambini, considerata innaturale nei bambini : l’assenza di aule diventa garanzia di libertà di movimento. Altre importanti qualità, oltre all’assenza di aule, sono infatti la sicurezza per la salute, data dall’aria aperta che implica un rischio praticamente nullo di contagio, e la libertà di movimento in spazi vasti e naturali. Infine, la certezza che non si farà didattica a distanza, ovvero lezioni on-line, vissute come una condanna alla tristezza del vedersi senza potere stare insieme, oltre che tecnicamente inadatte all’età infantile.

Possiamo descrivere il caso degli asili nel bosco con un primo insieme di tratti oppositivi che ne costituiscono un primo strato culturale o ideologico soggiacente, la cui assiologia appare decisamente chiara :

Si tratta di un insieme di valori e di caratterizzazioni che attribuiscono una natura e una identità chiare alle due condizioni opposte della vita educativa in aula contrapposta alla vita educativa all’aria aperta : da una parte valori che costituiscono un’identità complessiva di “libertà naturale”, dall’altra caratterizzazioni di un “imprigionamento insano”.

2 Le principali pubblicazioni utilizzate come riferimento, e a cui rimandiamo, sono E. Manes, L’asilo nel bosco. Un nuovo paradigma educativo, Roma, Edizioni Tlon, 2018 ; S. Negro, Pedagogia del bosco, Firenze, Terranuova Edizioni, 2019 ; M. Schenetti, I. Salvaterra e B. Rossini, La scuola nel bosco. Pedagogia, didattica e natura, Trento, Erickson, 2015.

La libertà naturale così raggiunta si realizza nella vita quotidiana degli asili nel bosco seguendo un ritmo regolare costante ogni giorno : il selvatico quotidiano. La giornata dei “bimbi del bosco” è organizzata con un ritmo scandito da rituali fissi3. La giornata tipo dei “bimbi del bosco” prevede al mattino l’arrivo dei bambini in orari stabiliti tra le 7.30 e le 9.30, un approccio accogliente da parte degli educatori, lo svolgimento di un cerchio del mattino seduti su panche, sedie o ceppi di legno, possibilmente attorno al cerchio di un falò, per parlare di cosa si è pensato di fare nella giornata, o di argomenti di loro interesse che i bambini stessi introducono nel cerchio. Il cerchio è seguito da un gioco di movimento, da una esplorazione nei sentieri del bosco o nell’area dell’asilo, o da “ricerche leggendarie” : la ricerca del luogo in cui i folletti nella notte hanno nascosto l’orsacchiotto lasciato lì la sera prima, la ricerca della padella scomparsa dei pop-corn, le tracce degli animali che nella notte sono passati al campo base. Intorno alle 10 si fa merenda, che i bambini portano con sé da casa. Segue un gioco organizzato per tutti, oppure il gioco che i bambini fanno da sè in spazi come una cucina da campo o sui giochi di corde sospese predisposti per arrampicate sugli alberi. Altri preferiscono attività di lettura (fatta ad alta voce dagli educatori), disegno, canto o musica, sempre guidati da educatori. Il pranzo, tra le 11.30 e le 13 secondo i casi, e preceduto da canzoncine comunitarie, è consumato tutti insieme, in genere con i cibi preparati a casa che ogni famiglia ha dato al mattino ai bambini. Raramente si organizza una mensa comune, sia per questioni di ordinamento sanitario, sia per le differenze di abitudini alimentari. Dopo pranzo i bambini si dedicano a letture, giochi e disegno, oppure alla costruzione di oggetti insoliti con materie naturali, ma come al mattino si usano spesso attrezzi Robinson (ponti sospesi, trapezi appesi agli alberi, labirinti di corde sospese, ponti tibetani, nastri da giocoliere). Altre volte si effettuano percorsi nei boschi osservando l’ambiente naturale, ed esercitando piccole attività percettive della realtà naturale : ascolto dei suoni naturali o del vento, percezione del muschio o dell’acqua dei ruscelli a piedi nudi, lo scricchiolio delle foglie secche calpestate, i salti da piccole alture, e così via. Prima dell’orario di conclusione, dalle 14,30 alle 17,00 secondo i casi, si tiene un cerchio di saluto, seguito dal ritiro da parte dei genitori.

Il selvatico quotidiano è quindi prima di tutto un insieme di attività fisiche, artistiche, espressive e intellettuali, alcune sociali altre individuali, che realizza l’insieme delle caratteristiche indicate come qualità dai sostenitori degli asili nel bosco. Durante queste attività vengono esercitati i diversi movimenti naturali che realizzano le diverse possibilità di azione fisica e di uso del corpo, o di parti del corpo, in relazione all’ambiente, ma anche esperiscono le diverse materie e ambienti naturali : arrampicarsi, bagnarsi, saltare, lanciare, toccare, prendere, correre, trasportare, cadere, spingere, spostare, afferrare, prendendo consapevolezza del proprio corpo e della propria forza. Tutte attività normalmente interdette o fortemente regolate e controllate nelle aule scolastiche per timore che i bambini si infortunino. Qui sono al contrario incoraggiate come realizzazione della naturalezza corporea : i corpi che si muovono nel bosco sono corpi in azione naturale, che seguono la loro natura organica naturale. Il selvatico quotidiano conduce a conoscere i fenomeni naturali : conoscere il cambiamento di odori, luce, vento, umidità, temperatura nelle stagioni e nei diversi orari della giornata. Sollecita abilità e capacità inventive grazie all’interpretazione dei materiali naturali che nel gioco diventano ogni cosa. La capacità creativa di trasformare i materiali in oggetti di gioco : si gioca con i materiali trovati sul posto mentre non si usano giocattoli prefabbricati portati da casa. Un rapporto intenso con gli educatori è permesso dal fatto che vi sono in genere pochi iscritti : da un minimo di 6/7 a un massimo di 16/18. Pioggia, neve e vento impetuoso diventano straordinari materiali di gioco che rendono possibile saltare nelle pozzanghere, rotolarsi nella neve, ricoprirsi di neve, scivolare sul fango, correre e saltare su un terreno insolito e difficoltoso che si impara a conoscere. In ogni caso il rapporto con la natura è intenso ed è forte la relazione dei bambini tra loro e con gli adulti.

In realtà, negli asili nel bosco i bambini svolgono di fatto tre diversi tipi di attività, non sempre originali, ma sempre particolari piuttosto per le condizioni di svolgimento. Il primo tipo sono attività che si fanno abitualmente anche nella didattica ordinaria nelle aule scolastiche e non destano sorpresa : lettura ad alta voce, canto, disegno, pittura, ceramica, costruzioni di oggetti in legno, etc. È diverso però il contesto in cui si fanno, con i bambini immersi in un ambiente naturale di prati, alberi, radure e boschetti, in una condizione sinestesica diversa che ne modifica il senso e il valore rispetto all’aula scolastica. Un secondo tipo sono attività specifiche e particolari appositamente pensate per l’ambiente esterno, come i percorsi sui sentieri, la scalata sulle rocce, l’arrampicata sugli alberi, i giochi di corde Robinson, il percorso a piedi nudi nel ruscello, sul muschio o sulle foglie secche, la corsa sui prati : si tratta di cose che i bambini fanno agendo corporalmente. Si tratta cioè di atti e movimenti dei corpi in azione nel bosco : azioni di corpi che esercitano le loro proprietà fisiche ed organiche in un ambiente che favorisce la sperimentazione corporea a contatto con materie e forme che sollecitano l’uso del corpo. Il terzo tipo sono attività rese possibili dal fatto di stare in un ambiente naturale, e sono attività di osservazione di fauna, flora, piccoli animali, materie, tracce, forme di vita, elementi climatici e naturali : si fanno perché si è avvolti da un contesto naturale esterno che sollecita sensi e percezione, ovvero attenzione e osservazione diretta, e sono cose che i bambini osservano e percepiscono. Questi tre diversi tipi di attività sono le azioni cognitivamente e culturalmente rilevanti dei corpi nel bosco nel selvatico quotidiano.

3 L’osservazione diretta di un asilo nel bosco nella sua pratica effettiva sia quotidiana che nel tempo di un anno (2020-21) è stata effettuata presso l’asilo dell’Associazione Libelle con sede a Pietra Ligure (SV).

2. Nel cuore del bosco

La storia degli asili nel bosco registra in verità interpretazioni discordanti della “libertà naturale” ritrovata. Lo sviluppo delle scuole e degli asili nel bosco nei paesi Scandinavi, in Germania (dal 1991) e in Gran Bretagna (dal 1995), si fonda sul presupposto di una tradizione di movimenti artistici, culturali e pedagogici che promuovono vita e lavoro all’aria aperta come generatori di uno sviluppo armonico tra mente e corpo.

La fondatrice dell’esperienza considerata prima tra tutte le scuole nel bosco, nel 1954 a Søllerød, in Dinamarca, osservava quanto l’immersione nella natura creasse gioia, benessere, facilità di relazione e capacità di osservazione nei propri figli. In Svezia le prime “Skogsmuller” per bambini di 5 e 6 anni si innestano, nel 1957, su una tradizione culturale di movimenti che promuovono la vita all’aria aperta, che risale al movimento popolare Friluftsfrämjandet fondato nel 1892. In Norvegia il militante del “Friluftsliv” intende la natura in cui si re-identifica come la casa degli antenati : l’immersione in essa porta alla trasmissione di valori della tradizione, oltre a scatenare azione, gioia, e avventura sportiva. In Italia, come in Francia, prevale invece lo spirito della ricerca di soluzioni educative anticonformiste che non imprigionino i bambini in codici di comportamenti e in schemi di conoscenza preconfezionata, senza esperienza diretta e personale, senza scoperta sorprendente, senza l’entusiasmo della ricerca, e slegate dal territorio in cui si vive, tanto nelle sue peculiarità storiche che nelle sue particolarità geografiche ed ambientali : codici e schemi considerati passivi e creatori di personalità deboli e sottomesse, indotte a essere facilmente soggiogate dai poteri del momento. L’esperienza della scuola nel bosco in Italia eredita e prosegue una parte consistente della storia dell’Animazione e della pedagogia sperimentale basata sull’Animazione degli anni ’60 e ’704, che tra i loro punti focali hanno annoverato il ricollegamento alla storia e alla cultura locale, in chiave di riscoperta delle proprie radici culturali, sociali e professionali, e di ricostituzione di una identità socio-culturale oscurata delle comunità locali, e della loro storia culturale, professionale, identitaria. In questo senso, in questa tradizione l’assenza di aule è la condizione di una ricerca della verità e della realtà che non sia precostituita ma sia ottenuta dai bambini personalmente con la propria ricerca (anche storica ed etnografica) e la propria esperienza diretta. E non esclude oggi un dialogo virtuoso con le istituzioni scolastiche più ricettive.

4 Cfr. R. Pellerey, “Il teatro incorporato e la sua trasmissione : interferenze e interventi sociali”, in Reti e storie per innovare in educazione. Approcci di ricerca e complessità, a cura di A. Traverso, Pisa, ETS, 2014. Tra i numerosi testi sull’Animazione si può vedere E. Casini-Ropa, “Il punto. I percorsi dell’animazione”, in G. Scabia, E. Casini-Ropa (a cura di), L’animazione teatrale, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1978 ; G.R. Morteo, “Attuali rapporti tra animazione e teatro per ragazzi”, in Educazione attraverso il teatro. Atti del convegno del Settore Scuola-Ragazzi del Teatro Stabile di Torino (Torino, 4-6 maggio 1979), Milano, Emme, 1979 ; F. Passatore, Animazione dopo. Le esperienze di animazione dal teatro alla scuola, dalla scuola al sociale, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976 ; R. Rostagno, “Animazione”, in A. Attisani (a cura di), Enciclopedia del teatro del ’900, Milano, Feltrinelli, 1980.

Una relazione col proprio territorio e con le proprie istituzioni locali diversa in ogni contesto territoriale, così come una diversa stratificazione di intrecci di esperienze, si osserva facilmente, in numerosi paesi europei, quando si guarda ai diversi tipi di asili nel bosco che in diversi contesti sono stati creati. Esiste infatti un tipo di scuola nel bosco “classica”, in cui i bambini trascorrono tutta la giornata nel bosco o nella natura, avendo comunque a disposizione una struttura per avversità climatiche eccessive, e un tipo “integrato”, in cui diversi gruppi di bambini si alternano tra il bosco e un edifico scolastico normale, ad esempio alcuni nel bosco al mattino ed altri al pomeriggio, oppure a turni di una settimana o un mese : quando una classe è nel bosco, un’altra è in una normale aula scolastica. Altri stanno nel bosco un intero giorno alla settimana. Nel tipo di scuola denominata “a bosco aperto” ogni bambino decide ogni giorno se vuole stare quel giorno nel bosco o in aula. Queste diverse soluzioni sono possibili, e mostrano l’interesse sperimentale da parte delle istituzioni scolastiche ufficiali, proprio perché scuole e istituzioni educative si sono interessate a questa esperienza, sono state spesso aperte e curiose, e hanno accettato di generare incroci e mescolanze.

È dunque falsa l’immagine di uno scontro frontale tra la pedagogia del bosco e le istituzioni didattiche e scolastiche. Ogni scuola nel bosco nasce per iniziativa di un gruppo di genitori insoddisfatti delle scuole tradizionali, ma dipende dal riconoscimento, dalla accettazione e dalla autorizzazione delle dirigenze scolastiche della località in cui ha sede la scuola, che inoltre effettuano l’esame scolastico di fine ciclo che permette il rilascio del titolo scolastico, cioè la licenza di scuola Elementare (o Primaria, nella terminologia odierna). Le scuole nel bosco, per essere legittimate, devono oggi essere riconosciute sotto la categoria delle “home schooling”, che possono attivarsi solo accettate e legittimate da dirigenze e provveditorati locali. Allo stesso modo, molti piccoli Comuni hanno avviato sperimentazioni di diverso tipo, approfittando di avere facilmente a disposizione vicino alle scuole parchi, boschi, giardini, prati e aree verdi, in cui portare i bambini per tenerli all’aperto quanto più possibile anche per lezioni e insegnamenti di contenuto tradizionale. Questa strada inattesa ha portato, o riportato, i corpi nel bosco e i bambini nella selva.

Quando si partecipa a un incontro nazionale delle scuole e asili nel bosco ci si accorge facilmente che l’immagine di una opposizione radicale con le istituzioni scolastiche è del tutto falsa, così come si percepisce chiaramente, dalla somma delle esperienze che vengono a raccontarsi e a fare domande, che si tratta di un magma effervescente e variegato spinto da un bisogno di “autenticità” e “naturalezza” e che sta cercando una risposta a proprie domande profonde. Si nota immediatamente la ricerca di incontro, di scambio di interrogativi e di possibili risposte, di acquisita consapevolezza di essere un movimento vasto e diffuso con dubbi sulla pedagogia e sulle scuole che riporta all’ondata di cambiamento delle pratiche e della teoria didattica e pedagogica che ha modificato la scuola italiana negli anni ’60.

Al 12º incontro del Comitato Nazionale Educazione in Natura che si è tenuto a Greve in Chianti (Firenze) i giorni 8-10 ottobre 2021 sono intervenuti asili e scuole già attivi da anni, altri che si stanno costituendo, teorici fondatori dei primi asili nel bosco italiani, maestri, educatori, insegnanti di scuole statali, genitori, ex-bambini del bosco diventati educatori, intellettuali curiosi, artisti e formatori, accomunati da una forte richiesta di realizzare progetti educativi innovativi. Si sono sentiti racconti e osservazioni su aspetti disparati e anche sorprendenti, che comprendono ad esempio l’autocritica sull’eccessivo radicalismo degli anni passati, la smitizzazione meditata del “bosco” come unico ambiente necessario all’educazione “viva” (con espressione, questa, utilizzata da Paolo Mai, fondatore anni fa della prima esperienza italiana di asilo nel bosco a Ostia), la necessità di distinguere situazioni e casi diversi, ma anche la necessità di garantire il diritto dei bambini a stare in natura e l’orgoglio di avere realizzato asili e scuole il cui “meglio” rispetto a quelli tradizionali ha a che fare con il “bello” e con la capacità di individuare la necessità educativa specifica di ogni singolo bambino. Educatori e maestri nel bosco hanno raccontato scuole divise per classi d’età e altre invece pluriclasse, scuole con ore di “lezione” per materie e altre invece la cui suddivisione per argomenti scaturisce dalle esperienze del giorno o della settimana, scuole con una programmazione rigida di argomenti e attività e altre con improvvisazione dettata dal momento, scuole con un programma che segue le linee guida ministeriali e altre che vi ritornano tirando le somme complessivamente dopo cinque anni di lavoro, scuole con bambini sempre felici e altre con bambini in forte disagio sociale che vanno recuperati “tirando fuori i loro talenti”, scuole che collaborano con la scuola pubblica (anche per incontri di formazione degli insegnanti) e altre che ne rifuggono completamente. Scuole che fanno “lezione” e altre che seguono il metodo di partire dall’esperienza per arrivare alla formulazione di principi e conoscenze generali risultato di “apprendimento” diretto, ma che si preoccupano di organizzarsi per “fare accadere esperienze” con il principio che il bambino acquisisce esperienze mentre “sta nel motorio”, col risultato che l’esperienza diventa regola acquisita. Si tratta di un principio di metodo largamente diffuso nei racconti, basato su un percorso istruttivo all’inverso : non “cosa si deve imparare ? Allora facciamo questo” ma “quale esperienza si fa oggi (nata per caso o pensata secondo le possibilità di questi giorni), dunque quali regole e conoscenze arriviamo ad acquisire oggi tramite l’esperienza diretta ?” Ci si chiede, nelle scuole pluriclasse, come suddividere i bambini in determinati momenti che si alternano a quelli comuni : per classi d’età, per livello di approfondimento, per interesse individuale del bambino ? Tutti concordano sulla necessità di distinguere argomenti ed esperienze che possono accadere nel bosco ad altre che invece richiedono di essere fatte in posizioni precise seduti a un tavolo per non pregiudicare l’acquisizione di una adeguata capacità prensile e motoria, poiché il corpo deve acquisire date posizioni e dati rinforzi muscolari : scrittura, italiano, matematica.

Punto universale su cui tutti concordano è la centralità della personalità e della sensibilità degli insegnanti ed educatori, capaci di cogliere la personalità dei singoli bambini, poiché chi lavora in presenza con i bambini sa “dove mettere le mani” per far scattare esperienze e ottenere risultati di conoscenza, ovvero per “far brillare” (con espressione di Paolo Mai) la specificità del bambino e della situazione esercitando un’adeguata flessibilità contestuale e di soluzioni senza imporre schemi preconfezionati. Si nota diversità e differenziazione nei modi di organizzare la giornata educativa, che discende dalla flessibilità contestuale e dalle predisposizioni del gruppo degli educatori. È in questo magma effervescente di dubbi, domande, esperienze in corso in un clima di entusiasmo e fervore, perlopiù ignorate dai media, che ha il suo spazio l’esperienza sorprendente degli asili e delle scuole nel bosco.

Ma questa storia in corso, questo esperimento che si sta svolgendo in questa circostanza storica attuale, è istituita su un sistema di principi di fondo, per quanto mitigati da riflessioni recenti, che sono stati i fondamenti dell’elogio del selvatico e della vita nella selva per i sostenitori della pedagogia del bosco. L’ideologia del selvatico, inteso come una condizione e un ambiente migliori di vita, si è basata sull’opposizione distintiva di fondo “selvatico vs addomesticato”, in cui i due tratti oppositivi di fondo si caricano di una serie di scivolamenti semantici automatici : il “selvatico” è “autentico” (vs “artificiale”), “naturale” (vs “innaturale”), “salutare” (vs patogeno”), “liberatorio” (vs “costrittivo”), a loro volta in ricaduta semantica libera. Questa cascata di interpretazioni costituisce una ideologia implicita sottesa all’elogio del selvatico, che procede e si instaura, nelle interpretazioni più radicali, sull’onda del senso di liberazione per l’abbandono della prigionia dell’aula e della pretesa dogmaticità dell’insegnamento grazie a una rete di suggestioni emotive, di impliciti culturali, di orgogli e rivendicazioni identitarie, di sostituzioni semantiche (selvatico = in libertà, quindi naturale, quindi autentico, e così via), che fruiscono di una retorica di metafore e di anafore che Eco avrebbe chiamato di semiosi ermetica5, in uno slittamento continuo di significati e di rimandi enciclopedici. Nella memoria del “bimbo” del bosco” si fondono Robinson Crusoe, Robin Hood e Walden, ma anche Mowgli che si muove liberamente e a pieno agio nella selva.

5 U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990.

3. La comunità del bosco

La tesi che il bambino sia liberato quando ritorna ad agire esperienzialmente nella vita in natura non è però del tutto nuova. Trova la sua espressione moderna nella tradizione teorica dell’Attivismo, a sua volta basato su una lunga serie di riferimenti teorici. Si tratta però della storia di un avvicendamento di visioni teoriche in cui si sono sempre congiunte e sorrette a vicenda due idee principali di fondo, di cui una oggi appare debole o trascurata nelle preoccupazioni dei sostenitori delle scuole nel bosco.

Le idee di fondo principali sono tutte già presenti nel padre ispiratore e fondatore riconosciuto della teoria pedagogica principale di riferimento, la pedagogia civica e attivistica di John Dewey. Il suo primo principio fondamentale è la tesi che l’educazione sia un processo di sviluppo di capacità, esercizio didattico attivo, che consiste allo stesso tempo in apprendimento di conoscenze e in esercizio dell’individuo che sviluppa le sue capacità personali nell’esperienza diretta. La personalità di un individuo così formato è una somma di capacità attive. Ma questo si unisce alla formazione della consapevolezza di essere parte di un organismo complessivo, la società di cui si fa parte, in cui si svolge un ruolo : l’educazione consiste allora nello sviluppo armonico individuale delle proprie capacità e conoscenze finalizzato alla capacità di essere parte attiva e vivace della società, pienamente consapevole del proprio statuto di cittadino, e capace di far progredire l’organismo sociale di cui si è parte. È una idea civica dell’educazione : l’individuo armonicamente formato attraverso un’educazione attiva di esperienze e conoscenze, trova il suo senso vitale nell’azione per la società di cui fa parte, che completa il suo sviluppo armonico personale facendolo confluire nel benessere e nel progresso della comunità sociale intera, che a sua volta gli permette pienezza del suo fare perché finalizzato al benessere collettivo. Questa è l’essenza della pedagogia di Dewey, che si trova alla radice di una linea che procede da Dewey all’Attivismo e poi oggi alle scuole nel bosco.

Numerose idee completano poi questa visione di Dewey. A lui risale il principio che i bambini formano una comunità in cui diversi individui imparano a conoscersi e ad organizzare una vita quotidiana comune. In questa vita comunitaria i bambini si collegano al contesto circostante, cioè i luoghi in cui trascorrono il loro tempo : immersi in un dato contesto sociale, culturale e ambientale non acquisiscono sapere e conoscenze in modo uniforme e asettico ma in un modo adeguato e conseguente al contesto, che dà senso in modo ogni volta specifico e particolare alla conoscenza. La capacità della relazione sociale si forma così, nelle comunità di ragazzi e bambini, in relazione diretta allo sviluppo della personalità intesa come somma di capacità attive. Imparare a collaborare e a svolgere un proprio ruolo insieme a quello degli altri per il buon funzionamento della vita collettiva è così in Dewey il nucleo essenziale stesso dell’educazione.

Numerosi pedagogisti sviluppano questi principi6, promuovendo soprattutto il lavoro di gruppo, che dà coesione al gruppo infantile e abitua alla suddivisione dei compiti ; le attività manuali e artigianali che abituano al contatto e alla lavorazione delle materie ; le escursioni sul territorio, la raccolta di materiali della natura, il piacere del “fare”. Queste indicazioni confluiscono nella teoria pedagogica dell’Attivismo, dovuta ad Adolphe Ferrière (1879-1960), che si fonda sulla centralità dell’esperienza pratica diretta, sulla funzione sociale positiva del lavoro concreto, sullo svolgimento di esperienze in comunità di bambini, e su un metodo aperto che modifica continuamente i modi e le tecniche utilizzate nel contesto educativo specifico in cui si opera. L’importanza dell’Attivismo consiste nel fatto che dà ispirazione e origine alle “scuole nuove”, una serie di esperienze sperimentali svolte tra il 1889 e il 1910, di educazione in comunità e scuole campestri basate sull’esperienza diretta dei bambini in un contesto rurale e naturale, in ambienti privi di aule, quali la New School di Reddie ad Abbotsholme, l’École des Roches di Demolins, la scuola di Badley a Bedales, le “case di educazione in campagna” di Lietz7, primi modelli storici di riferimento per l’educazione all’aperto e in natura in contrapposizione all’insegnamento in aula considerato passivo8. In questi esperimenti di école nouvelle secondo il modello progettato da Ferrière nel 1909 “Le attività pratiche, collettive e individuali, saranno molto varie e comprenderanno qualsiasi tipo di lavoro manuale, purché sia eseguito con interesse e portato a termine: giardinaggio, allevamenti, lavori di falegnameria, giochi, sports, escursioni e viaggi”9. Queste comunità particolari mantengono però sempre il doppio obiettivo : il primo è l’apprendimento delle forme e delle regole della socialità stessa, tramite l’esperienza vissuta nel gruppo della comunità di bambini, che comporta un lavoro di organizzazione, di scansione dei propri ritmi e di coordinamento con gli altri bambini. Secondo obiettivo è lo sviluppo armonico e regolato della personalità, delle capacità e delle abilità individuali, nonché la loro inserzione nel sistema generale della comunità infantile.

6 Tra i principali William Kilpatrick (Il metodo dei progetti, 1918), Helen Parkhurst (L’educazione secondo il Piano Dalton, 1922), Carleton Washburne (Una filosofia vivente dell’educazione, 1940, e Le scuole di Winnetka, 1952), Ovide Decroly (Verso la scuola rinnovata, 1921, e La funzione della globalizzazione e l’insegnamento, 1929), Roger Cousinet (Un metodo di lavoro libero per gruppi, 1925), Célestin Freinet (La stamperia a scuola, 1937 e Nascita di una pedagogia popolare, 1949), Georg Kerschensteiner (Il concetto della scuola del lavoro, 1912).

7 Su queste esperienze cfr. E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1946, pp. 7-18 ; F. De Bartolomeis, La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953, pp. 98-130 ; F. Cambi, Storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 426-429.

8 Cfr. R. Pellerey, “Didattiche dell’extrascolastico”, in M. Gennari (a cura di), Didattica Generale, Milano, Bompiani, 1996.

9 M. Marchiaro, Adolphe Ferrière, Bologna, Leonardi, 1967, p. 18.

In tutta questa storia di modelli e pratiche educative che precedono le scuole nel bosco questi due grandi ordini di obiettivi si intersecano e si appoggiano continuamente. La comunità infantile dell’Attivismo mira infatti a un obiettivo ambizioso : “compito dell’educazione è quello di (…) educare alla vita sociale [in modo che] l’intelligenza sia esercitata non a fini puramente speculativi od utilitari, ma sia resa salda energia, costruttrice socialmente e culturalmente, [e crei] personalità libere ed autonome in una società libera e aperta”10. È lo stesso compito che Dewey attribuiva alla pratica educativa nel suo complesso.

10 G.M. Bertin, Educazione alla ragione. Lezioni di pedagogia generale, Roma, Armando, p. 54.

Asili e scuole nel bosco riprendono dunque una tradizione già esistente, quella dell’École Nouvelle dell’Attivismo, in cui l’educazione in natura è già considerata benefica sia per la personalità individuale che per la sua partecipazione a una vita sociale collettiva. Nel passaggio alla pratica e alla teoria delle scuole nel bosco però i punti principali di queste tradizioni subiscono un adattamento che ne modifica in parte il senso, poiché risulta oscurato il collegamento con la propria società. Oscurato questo obiettivo, resta una serie di punti relativi allo sviluppo della personalità :

a) l’ipotesi che le capacità e la personalità si sviluppino completamente nell’esperienza in natura ;
b) la potenza dell’esperienza diretta come fonte di conoscenza ;
c) il potenziamento del “fare” tramite l’esperire la realtà naturale ;
d) la tesi che il potenziamento delle capacità percettivo-sensoriali al completo riguardi la totalità dei cinque sensi tramite l’esperienza di diverse materie naturali e in condizioni diverse (di temperatura, umidità, sole, pioggia, vento, orario, luce…) ;
e) la centralità delle “comunità di bambini” come fenomeno educativo particolare, anche quando siano temporanee come una classe, o un asilo nel bosco ;
f) l’uguaglianza dei partecipanti alla comunità e all’esperienza, compresi gli adulti, come gli educatori, in quanto partecipanti alle attività.

L’idea di fondo è quindi che lo sviluppo completo, reale, autentico, libero e naturale del bambino si abbia in questa esperienza in condizioni di maggiore libertà e naturalezza, in una foresta ritrovata e riscoperta accanto al mondo addomesticato delle città e delle metropoli.

Esaminando le pratiche e le affermazioni teoriche degli asili nel bosco di oggi si osserva però che è invece assai meno presente negli asili nel bosco l’altro caposaldo della tradizione dell’attivismo: imparare a collaborare e a svolgere un proprio ruolo insieme a quello degli altri per il buon funzionamento della vita collettiva, ovvero l’educazione a trovare il proprio posto nella vita organizzata e collettiva della comunità sociale e nazionale in cui si vive, insieme alla necessità di far progredire l’organismo sociale di cui si è parte. Non appare chiara l’idea che sia destino naturale dei singoli sbocciare nella vita collettiva comune : di conseguenza le scuole nel bosco appaiono restie ad ammettere la natura sociale stessa dell’uomo. La condizione della vita sociale appare piuttosto come un condizionamento da cui si cerca di liberarsi, e a questo serve lo sviluppo completo della personalità individuale : la foresta ritrovata della pedagogia del bosco è antiautoritaria in quanto ribelle ai condizionamenti sociali, mentre la selva naturale dell’attivismo è antiautoritaria in quanto armonizzatrice sociale. Resta comune l’idea profonda che i bambini vivano un momento di crescita perché viene risvegliata o ricostituita in loro, tramite l’esperienza in natura, la qualità sopita della competenza naturale all’azione adatta nella natura, l’ambiente in cui si è formata, in fondo, la specie umana.

Quale sarà allora il futuro di questo risvegliarsi naturale che trasforma il bosco in un organismo liberatore ? In questo momento c’è agitazione, fermento e slanci passionali nei sostenitori e negli educatori delle scuole nel bosco. C’è insoddisfazione tra gli insegnanti di scuola, che si dibattono nelle strettoie di una scuola che sembra essersi addormentata un trentennio fa, e c’è un movimento di soddisfazione e insoddisfazione tra chi la scuola nel bosco la fa, che la vorrebbe allo stesso tempo più protetta nella legislazione e più diffusa, ma più indipendente e meno frequentata da genitori inadatti, che la cercano per motivi sbagliati e avanzano pretese e richieste incompatibili con la sua ratio di fondo. La sperimentazione sul campo è favorita da una somma di circostanze che comprendono l’emergenza sanitaria così come l’insoddisfazione degli insegnanti per la scuola ordinaria, ma comprendono anche esperienze straordinarie condotte nella normale scuola pubblica elementare, che ha alcune volte rivissuto la sua natura di innovazione culturale ed educativa continua11.

11 Si vedano ad esempio le esperienze condotte in Umbria nella scuola elementare da Franco Lorenzoni, narrate con straordinario rispetto e precisione in diversi testi (tra cui L’ospite bambino : l’educazione come viaggio tra le culture nel diario di un maestro, Roma-Napoli, Theoria, 1995, e I bambini ci guardano : una esperienza educativa controvento, Palermo, Sellerio, 2019).

La prima necessità sembra oggi la ripresa della coerenza con la finalità civica, nel senso di Dewey, dell’educazione. Coerenza che c’è, e che viene richiesta a gran voce come possibile sviluppo nella situazione attuale, come è mostrato dalla forte presenza, dal forte interscambio con le istituzioni pubbliche e con gli insegnanti di scuola che si sono visti all’incontro di Greve in Chianti, là dove le esperienze in corso di asili e scuole nel bosco, e quelle che si stanno progettando, orientano una parte significativa del loro lavoro verso questa finalità. Insegnanti di scuola e educatori nel bosco lavorano nella stessa direzione, a volte separatamente, a volte parlandosi : è frequente la frequentazione reciproca tra scuole elementari e scuole nel bosco, con scambi di giornate simili a gemellaggi. La comunità infantile è pensata come posta al centro di una rete di comunità a cerchi concentrici (il gruppo dei genitori, le istituzioni educative, città, regione, società, Stato in cui si vive) in comunità sempre più allargate, dove la sorpresa e l’imprevisto, e gli incontri sorprendenti e inattesi, sono in agguato in ogni momento, anziché restringersi su se stesse come club privé degli eletti a una pretesa vera educazione, ma ad accesso chiuso per altre esperienze portatrici di diversità. Questo ritrovare pienamente il senso civico dell’educazione in natura appare la scommessa necessaria oggi. Per non smarrire i “bambini del bosco” in una foresta ridiventata oscura.

 

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1 E. Alessandrini, “Waldkindergarten : l’asilo nel bosco. Un modello alternativo di scuola dell’infanzia”, Infanzia, 2, 2010.

2 Le principali pubblicazioni utilizzate come riferimento, e a cui rimandiamo, sono E. Manes, L’asilo nel bosco. Un nuovo paradigma educativo, Roma, Edizioni Tlon, 2018 ; S. Negro, Pedagogia del bosco, Firenze, Terranuova Edizioni, 2019 ; M. Schenetti, I. Salvaterra e B. Rossini, La scuola nel bosco. Pedagogia, didattica e natura, Trento, Erickson, 2015.

3 L’osservazione diretta di un asilo nel bosco nella sua pratica effettiva sia quotidiana che nel tempo di un anno (2020-21) è stata effettuata presso l’asilo dell’Associazione Libelle con sede a Pietra Ligure (SV).

4 Cfr. R. Pellerey, “Il teatro incorporato e la sua trasmissione : interferenze e interventi sociali”, in Reti e storie per innovare in educazione. Approcci di ricerca e complessità, a cura di A. Traverso, Pisa, ETS, 2014. Tra i numerosi testi sull’Animazione si può vedere E. Casini-Ropa, “Il punto. I percorsi dell’animazione”, in G. Scabia, E. Casini-Ropa (a cura di), L’animazione teatrale, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1978 ; G.R. Morteo, “Attuali rapporti tra animazione e teatro per ragazzi”, in Educazione attraverso il teatro. Atti del convegno del Settore Scuola-Ragazzi del Teatro Stabile di Torino (Torino, 4-6 maggio 1979), Milano, Emme, 1979 ; F. Passatore, Animazione dopo. Le esperienze di animazione dal teatro alla scuola, dalla scuola al sociale, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976 ; R. Rostagno, “Animazione”, in A. Attisani (a cura di), Enciclopedia del teatro del ’900, Milano, Feltrinelli, 1980.

5 U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990.

6 Tra i principali William Kilpatrick (Il metodo dei progetti, 1918), Helen Parkhurst (L’educazione secondo il Piano Dalton, 1922), Carleton Washburne (Una filosofia vivente dell’educazione, 1940, e Le scuole di Winnetka, 1952), Ovide Decroly (Verso la scuola rinnovata, 1921, e La funzione della globalizzazione e l’insegnamento, 1929), Roger Cousinet (Un metodo di lavoro libero per gruppi, 1925), Célestin Freinet (La stamperia a scuola, 1937 e Nascita di una pedagogia popolare, 1949), Georg Kerschensteiner (Il concetto della scuola del lavoro, 1912).

7 Su queste esperienze cfr. E. Codignola, Le scuole nuove e i loro problemi, Firenze, La Nuova Italia, 1946, pp. 7-18 ; F. De Bartolomeis, La pedagogia come scienza, Firenze, La Nuova Italia, 1953, pp. 98-130 ; F. Cambi, Storia della pedagogia, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 426-429.

8 Cfr. R. Pellerey, “Didattiche dell’extrascolastico”, in M. Gennari (a cura di), Didattica Generale, Milano, Bompiani, 1996.

9 M. Marchiaro, Adolphe Ferrière, Bologna, Leonardi, 1967, p. 18.

10 G.M. Bertin, Educazione alla ragione. Lezioni di pedagogia generale, Roma, Armando, p. 54.

11 Si vedano ad esempio le esperienze condotte in Umbria nella scuola elementare da Franco Lorenzoni, narrate con straordinario rispetto e precisione in diversi testi (tra cui L’ospite bambino : l’educazione come viaggio tra le culture nel diario di un maestro, Roma-Napoli, Theoria, 1995, e I bambini ci guardano : una esperienza educativa controvento, Palermo, Sellerio, 2019).

 

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Mots clefs : asili nel bosco, attivismo, comunità, didattica, educazione, esperienza, pedagogia, socialità.

Auteurs cités : Roger Cousinet, Ovide Decroly, John Dewey, Umberto Eco, Adolphe Ferrière, Célestine Freinet, William Kilpatrick, Franco Lorenzoni, Paolo Mai, Emilio Manes, Selima Negro, Helen Parkhurst, Carleton Washburne.


Plan :

1. Il bosco ritrovato : il selvatico quotidiano

2. Nel cuore del bosco

3. La comunità del bosco

 

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Recebido em 21/09/2021. / Aceito em 21/10/2021.